Boris Johnson poteva sospendere il Parlamento?
Se lo chiedono in molti e la risposta più diffusa è che poteva, ma ha forzato molto la mano
Giovedì il primo ministro britannico, il conservatore Boris Johnson, ha chiesto e ottenuto dalla Regina la sospensione delle attività parlamentari per cinque settimane, in un periodo che inizierà tra il 9 e il 12 settembre e terminerà il 14 ottobre, giorno del Queen’s Speech, tradizionale discorso che tiene la Regina di fronte al Parlamento a cadenza quasi annuale.
La mossa di Johnson è stata criticata moltissimo ed è stata definita da politici e osservatori «antidemocratica», e in alcuni casi una violazione delle norme costituzionali, un tentativo di ridurre il ruolo del Parlamento. La sospensione, infatti, toglierà tempo al Parlamento per approvare una legge che provi a impedire il cosiddetto “no deal“, cioè la possibilità che il Regno Unito esca dall’Unione Europea senza un accordo, scenario ritenuto catastrofico da molti ma considerato praticabile da Johnson. In altre parole, le opposizioni ritengono che Johnson abbia usato la pratica della sospensione per evitare ulteriori interferenze del Parlamento nel dibattito su Brexit, la cui nuova scadenza è fissata per il 31 ottobre. Per questa ragione molti si sono chiesti: Johnson poteva fare quello che ha fatto?
Secondo alcuni la risposta è no. John Bercow, speaker della Camera noto tra le altre cose per i suoi scontri con i governi in carica, ha parlato di «oltraggio alla Costituzione», mentre una parlamentare dello Scottish National Party (SNP) ha detto di avere avviato una causa legale in un tribunale scozzese con l’obiettivo di bloccare il provvedimento di Johnson. La questione è piuttosto complicata, anche per la particolarità della Costituzione britannica, che non è una Costituzione codificata in un unico documento: è piuttosto un insieme di statuti, trattati e decisioni giuridiche, ma anche di norme consuetudinarie e prerogative reali, che lasciano ampio spazio a interpretazioni e forzature.
Anzitutto c’è da capire cosa sia la sospensione del Parlamento, che ha un nome preciso: si chiama “proroguing” e non è una pratica eccezionale nella politica britannica.
La sospensione, che serve per ravvivare l’attività del Parlamento, è quel periodo di tempo compreso tra la fine di una sessione parlamentare e l’inizio di un’altra. Solitamente si tiene una volta all’anno, verso aprile o maggio, anche se non c’è una data precisa e nemmeno l’obbligo di rispettare la cadenza dei 12 mesi: prevede il blocco delle attività parlamentari e la cancellazione di tutte le leggi che non hanno completato il loro iter parlamentare (con qualche eccezione). Termina con la cerimonia di apertura della nuova sessione, la cui parte principale è occupata dal Queen’s Speech, il discorso della Regina, che però è scritto dal governo in carica ed è una specie di presentazione delle politiche che il primo ministro ha intenzione di portare avanti durante l’anno successivo. In passato la durata della sospensione – cioè la questione al centro del dibattito di questi giorni – è stata variabile, ma da più di 70 anni inferiore alle cinque settimane chieste da Boris Johnson: nel 2016, per esempio, il Parlamento rimase chiuso per quattro giorni feriali, nel 2014 per 13. Quest’anno i giorni di chiusura saranno 23, per lo più nel mezzo della crisi su Brexit.
Tecnicamente, hanno scritto in diversi, tra cui il giornalista Daniel Finkelstein sul Times, il governo di Johnson non ha agito violando le norme costituzionali, che danno al governo ampi poteri di controllare i tempi dei lavori parlamentari, inclusa la data fissata per il Queen’s Speech.
Gli stessi membri del governo Johnson hanno cercato di ridimensionare la polemica e hanno sostenuto come l’inizio di una nuova sessione parlamentare fosse necessario per due motivi. Primo, perché nel Regno Unito è consuetudine che i lavori parlamentari vengano sospesi all’insediamento di un nuovo governo, e Johnson ha preso il posto dell’ex prima ministra Theresa May poco prima della chiusura estiva del Parlamento. Secondo, perché l’attuale sessione parlamentare dura dal giugno 2017 ed è la più lunga nel paese negli ultimi 400 anni. I ministri del governo hanno anche sottolineato che il Parlamento avrebbe comunque sospeso le sue attività parlamentari per tre settimane, anche senza l’intervento di Johnson: per inizio settembre erano infatti previsti i congressi dei principali partiti britannici, che si tengono ogni anno e coincidono con una chiusura parziale del Parlamento.
Nonostante le ragioni del governo, le opposizioni e diversi commentatori hanno definito la mossa di Johnson antidemocratica, perché finalizzata a ridurre il ruolo del Parlamento nella discussione su Brexit, questione di importanza vitale per il futuro del paese. Mercoledì sera in diverse città britanniche si sono tenute manifestazioni contro la decisione di Johnson, con lo slogan «Stop the coup», «fermate il colpo di stato».
Finkelstein ha scritto sul Times che quella iniziata da Johnson è una crisi democratica e politica, e riferendosi all’ipotesi del “no deal” ha aggiunto: «Oggi abbiamo un nuovo governo con una nuova politica. Un governo che sta cercando di ridurre il tempo che il Parlamento ha a disposizione per decidere se appoggiare o no questa nuova politica, quando sembra chiara a tutti la sua posizione contraria». Il Financial Times ha pubblicato un editoriale che parla di «un intollerabile tentativo di mettere a tacere il Parlamento»: «Alla sede della democrazia britannica, a lungo ammirata in tutto il mondo, è negata la possibilità di esprimersi su una delle questioni più importanti che ha dovuto affrontare il paese in più di quattro decenni».
In un editoriale del Guardian si legge invece: «Questo è un cinico e premeditato colpo contro il principio della democrazia parlamentare, ma non è una sovversione totale dell’ordine costituzionale alla pari di un golpe militare». Secondo il Guardian, Johnson avrebbe ragione a sostenere che l’attuale sessione dei lavori parlamentari sia stata inusualmente lunga e che il nuovo governo abbia tutto il diritto di presentare al Parlamento quello che intende fare nel prossimo anno. In una situazione normale sospendere i lavori parlamentari tra settembre e ottobre non sarebbe uno scandalo, «ma nessuna delle circostanze attuali è normale. Nel giro di poche settimane, il Regno Unito dovrà rivedere completamente le sue relazioni economiche, diplomatiche e strategiche con il resto del mondo. […] Questo è il momento in cui il bilanciamento dei poteri della democrazia parlamentare dovrebbe operare nel miglior modo possibile».
La decisione di Johnson di sospendere il Parlamento, anche se non contraria alle norme costituzionali, ha già provocato una crisi profonda nella politica britannica, e potrebbe anche causare l’inizio di una crisi costituzionale, con una forte contrapposizione tra Parlamento e governo.
Con meno di tre settimane effettive a disposizione da oggi al 31 ottobre, i parlamentari britannici di opposizione, ma anche alcuni della maggioranza, dovranno decidere come muoversi per tentare di frenare il “no deal”, e quindi costringere Johnson a trovare un accordo su Brexit con l’Unione Europea o convincere la stessa UE a concedere una ulteriore proroga (approvare una legge che vieti il “no deal” non garantisce comunque al Regno Unito che non avvenga il “no deal”, scenario che si verificherà in ogni caso se si arrivasse al 31 ottobre senza accordo e senza ulteriori proroghe). L’alternativa è che il Parlamento riesca a votare una mozione di sfiducia a Johnson, appoggiando un nuovo governo: anche in questo caso però le incertezze sono molte, e ci sarebbe comunque il rischio di una crisi costituzionale.