L’accordo segreto che Bolsonaro non è riuscito a fare
Avrebbe favorito il Brasile – e sfavorito il Paraguay – nello sfruttamento dell'enorme centrale idroelettrica che i due paesi gestiscono insieme: è una storia ancora aperta
Sul fiume Paraná, al confine tra Brasile e Paraguay, c’è la centrale idroelettrica della diga di Itaipu, la cui energia è di fondamentale importanza per i due paesi, che la costruirono insieme più di trent’anni fa. È la diga che in un anno produce più energia al mondo e quindi ci girano intorno tantissimi soldi e interessi. Negli ultimi mesi, un tentato accordo segreto tra Brasile e Paraguay per la gestione dell’energia prodotta dalla diga ha creato grandi problemi al governo del Paraguay e potrebbe crearne a quello del Brasile. Sarebbe stato un accordo molto svantaggioso per il Paraguay e per questo, dopo che la vicenda è diventata pubblica, alcuni ministri si sono dimessi e l’accordo è stato annullato. Ma non è una storia chiusa: perché in Paraguay e Brasile se ne continua a parlare e perché tra pochi anni scadrà il mandato che finora ha regolato la gestione condivisa della diga e si dovrà provare a farne uno nuovo.
Brasile e Paraguay – due stati che in passato si erano scontrati nella Guerra della triplice alleanza, la più violenta nella storia dell’America Latina – negli anni Sessanta iniziarono a pensare a una centrale idroelettrica cogestita. Nel 1973 il dittatore brasiliano Emílio Garrastazu Médici e quello paraguaiano Alfredo Stroessner finalizzarono l’accordo. Fu creato un consorzio, fu modificato il corso del fiume Paraná, furono fatte spostare 10mila persone, fu creato un bacino idrico su una superficie di 1.350 chilometri quadrati e nel 1984 fu inaugurata la centrale idroelettrica, il cui solo ferro sarebbe bastato per costruire 380 Tour Eiffel. Si dovette trovare anche un accordo con l’Argentina, nel cui territorio scorre il fiume Paranà: il paese temeva che il Brasile avrebbe potuto usare l’apertura della diga come atto ostile, finendo addirittura per allagare Buenos Aires.
L’accordo bilaterale tra Brasile e Paraguay prevedeva che l’energia prodotta dalla centrale sarebbe stata equamente divisa tra i due paesi. C’era però il problema che il Paraguay è molto più piccolo e ha quindi bisogno di molta meno energia del Brasile. Si decise quindi che il Paraguay avrebbe venduto al Brasile la sua energia in eccesso e che l’avrebbe fatto a un prezzo di favore, cioè a prezzo di produzione, più basso del prezzo di mercato.
In breve, funziona ancora così. Il Paraguay ha 7 milioni di abitanti e un’industria non particolarmente sviluppata: il 15 per cento dell’energia della centrale gli basta per il 90 per cento dell’elettricità di cui ha bisogno. Il resto va tutto al Brasile, in modo diretto (il 50 per cento che gli spetta) e indiretto (quello che spetterebbe al Paraguay ma finisce al Brasile). Il Brasile, i cui abitanti sono più di 200 milioni, usa l’energia della centrale idroelettrica di Itaipu per il 15 per cento del suo fabbisogno elettrico.
Nel 2009 l’allora presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva accettò di aumentare la quota che il Brasile pagava al Paraguay per l’energia in più che comprava, facendo anche aperture in merito alla possibilità che il Paraguay potesse vendere direttamente a aziende private brasiliane la sua energia, senza una mediazione da parte del governo brasiliano. Voleva dire, per il Paraguay, poter vendere al miglior offerente, guadagnando quindi di più. Insomma, un accordo vantaggioso per il Paraguay; che Lula faceva perché il Brasile aveva un gran bisogno di quella energia.
Ed eccoci al 2019 e all’accordo segreto fatto a maggio, scoperto a luglio e disdetto ad agosto. Semplificando un po’, l’accordo imponeva al Paraguay di non vendere la sua energia al miglior offerente tra le aziende energetiche brasiliane e di doverla vendere, per almeno un triennio, a un prezzo del 18 per cento inferiore rispetto a quello precedente all’accordo. Secondo Reuters, si trattava di un accordo che avrebbe fatto perdere al Paraguay almeno 180 milioni di euro.
L’accordo segreto divenne pubblico a luglio quando Pedro Ferreira – ex presidente di ANDE, la compagnia elettrica statale del Paraguay – si rifiutò di firmarlo, si dimise e accusò di alto tradimento Mario Abdo Benítez, l’attuale presidente del Paraguay, amico del presidente brasiliano Jair Bolsonaro.
Nello specifico, Ferreira spiegò che secondo lui erano stati fatti “negoziati paralleli” all’accordo di giugno per far sì che il Paraguay vendesse in modo esclusivo la sua energia in eccesso alla società privata brasiliana Léros, considerata vicina a esponenti del partito di Bolsonaro, che in quel periodo avevano fatto tre viaggi in Paraguay per conto di Léros. Ferreira fece anche avere alla stampa messaggi che mostravano che un consigliere del vicepresidente paraguaiano Hugo Velázquez aveva organizzato gli incontri con gli emissari di Léros.
Seguirono le dimissioni del ministro degli Esteri e di altri importanti funzionari governativi e iniziò il tentativo di impeachment nei confronti di Benítez, che rischiava di essere sfiduciato anche da alcuni suoi alleati di governo. Ci sono poi state proteste e manifestazioni a cui hanno partecipato migliaia di persone e l’1 agosto l’accordo di giugno è stato annullato, cosa che ha permesso a Benítez di restare al suo posto.
Intanto, già si sta parlando della rinegoziazione dell’accordo per la gestione condivisa della centrale, che scadrà nel 2023. In Paraguay c’è chi dice che il paese debba tenere più energia per provare a venderla a qualcuno che non sia il Brasile o puntare su una maggiore industrializzazione. Si tratterebbe di energia prodotta direttamente e quindi a prezzi bassi, che potrebbe essere usata come incentivo per invogliare società straniere a andare nel paese o anche, per simili motivi, per puntare sulla cosiddetta “estrazione di bitcoin“, un’attività che richiede moltissima elettricità. Più in generale, c’è chi sostiene che sia lecito aspettarsi che più passerà il tempo e più il Paraguay avrà bisogno di energia, e che quindi debba pensare fin da subito di tenersene il più possibile. Tutto questo, ovviamente, non è nell’interesse del Brasile.