Il suono della “batteria anni Ottanta”

Scoperto per errore, il “gated reverb” ha caratterizzato un decennio ed è ricomparso nel pop contemporaneo

Il batterista inglese Phil Collins. (AP Photo/PATRICK AVIOLAT)
Il batterista inglese Phil Collins. (AP Photo/PATRICK AVIOLAT)

Ci sono suoni che identificano la musica di un decennio, di solito più di uno: le chitarre distorte per gli anni Settanta o i suoni grezzi e “inscatolati” delle band degli anni Novanta, per esempio. Gli anni Ottanta non fanno eccezione: dai sintetizzatori alle drum machine, sono tanti gli strumenti – elettronici – che hanno caratterizzato per sempre la musica di quel decennio. Un vecchio video di Vox aveva raccontato la storia di come un errore casuale in uno studio di registrazione fece nascere quel tipico suono di batteria che viene in mente se si pensa a gente come Phil Collins, Peter Gabriel o ai dischi di un certo periodo di Bruce Springsteen: il cosiddetto “gated reverb”. Per capirsi immediatamente, basta ascoltare i primi colpi di batteria di “Born in the U.S.A.” di Springsteen.


Fino alla fine degli anni Settanta, le batterie rock venivano amplificate con un gran numero di microfoni, per ottenere un suono secco e pulito. Nel 1979, il cantante dei Genesis Peter Gabriel stava registrando Melt, il suo terzo disco da solista: alla batteria c’era Phil Collins, a sua volta storico membro dei Genesis. Secondo quanto ha raccontato Hugh Padgham, ingegnere del suono che lavorò al disco, la band stava provando il nuovo mixer dello studio, che aveva un tasto per parlare tra tecnici e musicisti attraverso un microfono appeso nella sala di registrazione. A un certo punto, durante uno di questi dialoghi, il microfono catturò un passaggio alla batteria di Collins, con un suono però molto strano. Al microfono, infatti, era stata applicata una forte compressione, un effetto che sostanzialmente abbassa il volume dei suoni più forti e alza quello dei suoni più deboli, omogeneizzando il tutto. E c’era un ulteriore effetto, un “noise gate”, che registra soltanto i suoni sopra un certo volume. Il risultato di quello che registrò quel microfono piacque così tanto che finì nella canzone “Intruder” di Melt.


Questo nuovo suono di batteria era molto artificiale, quasi spaziale, due caratteristiche molto ricercate dai musicisti degli anni Ottanta. Ma era il risultato di una alterazione del suono di una vera batteria, e quindi consentiva possibilità diverse rispetto alle drum machine, dei piccoli sintetizzatori che riproducevano una sezione ritmica con sonorità vagamente simili, ma che si suonavano con dei tasti su un piccolo aggeggio in plastica. Il compressore e il “noise gate” sono due effetti tipicamente usati per ridurre le imprecisioni e la dinamica (cioè la differenza tra suoni forti e suoni deboli), ed è per questo che il risultato sembrava quasi il lavoro di un computer, in un tempo in cui si stava da poco cominciando a capire come costruire e usare gli strumenti elettronici.

Due anni dopo, Collins usò di nuovo quell’effetto nella sua canzone “In the Air Tonight”, di fatto consegnando quel suono alla storia. L’esempio più famoso del “gated reverb” arriva dopo 3.15 minuti di canzone: prima lo si sente, più piano, insieme per altro all’inconfondibile suono di una drum machine Roland (i primissimi suoni della canzone, per capirci).


Collins registrò la canzone ai Townhouse Studios di Londra, leggendari studi di registrazione famosi anche per una “Stone Room”, una stanza con i muri in pietra che forniva un apprezzatissimo effetto di riverbero. Il riverbero è un fenomeno acustico naturale, risultato della riflessione dell’onda sonora contro gli ostacoli posti nei pressi della fonte: per capirci, è quel classico effetto che trasforma il timbro naturale della voce in un chiesa, per esempio. Da quando abbiamo trovato il modo di aggiungere artificialmente degli effetti ai suoni degli strumenti, abbiamo cominciato ad applicare vari tipi di riverbero alle voci, alle chitarre, alle tastiere, alla ricerca di sonorità nuove. Inizialmente, ci si è serviti di apposite “camere d’eco”, cioè vere stanze costruite per quello scopo, con superfici dure molto riflettenti, talvolta con delle sporgenze che accentuavano l’eco del suono.

Ma le camere d’eco erano molto costose, e perciò venne inventato il riverbero “a lastra”, cioè una specie di grossa e pesante cassa con una lastra di metallo, che vibrava con il suono che si voleva processare e ne restituiva una versione riverberata. Questi strumenti erano però pesantissimi, e fu per questo che nel 1981 l’azienda inglese Advanced Music Systems introdusse la RMX-16 Digital Reverb, un’unità audio in grado di processare digitalmente il suono con decine di tipi di riverberi diversi. Alcuni riproducevano effetti naturali, come l’interno di una chiesa: altri invece ricreavano quegli effetti ricercatamente artificiosi che stavano diventando molto di moda. Un effetto della RMX-16 era specificamente progettato sul “gated reverb” di “In the Air Tonight”.


Da lì in poi, quel suono entrò a pieno titolo nella musica degli anni Ottanta. Musicisti come Prince cominciarono a usarlo abbinato a varie drum machine, creando suoni ancora più forzatamente artificiosi che definirono tutto il pop del decennio. In particolare, iniziò ad andare molto forte il “non-linear reverb”, un effetto della RMX-16 che restituiva una versione totalmente innaturale del riverbero, in cui il volume dell’effetto invece che diminuire naturalmente si innalzava di volume dopo il propagarsi del suono iniziale. Lo si sente bene in “Kiss” di Prince, del 1988.


Negli anni Novanta e Duemila ci fu una specie di rigetto per i suoni che avevano definito gli anni Ottanta, ma oggi questo tipo di effetto sta tornando: nella musica ci sono corsi e ricorsi, e molti artisti negli ultimi anni si sono più o meno direttamente ispirati al pop degli anni Ottanta. Chi lo ha fatto in maniera più esplicita ha ricercato specificamente i suoni che definirono quel periodo: e quindi insieme ai synth, che negli ultimi cinque o sei anni hanno attraversato una nuova popolarità, sono tornate anche le drum machine vintage, e con loro il “gated reverb”.  La si sente distintamente per esempio in “Supercut” di Lorde, dopo il secondo 0.30.


Da Blood Orange a Taylor Swift alle Haim, sono tanti gli artisti contemporanei che hanno fatto ricorso al “gated reverb”, uno dei suoni più anni Ottanta che ci sia, e per questo uno dei migliori per richiamare immediatamente un immaginario musicale definito e molto di moda in questi anni.