Facebook ha pagato delle persone per trascrivere i messaggi audio degli utenti
Più o meno come facevano Google e Apple, al fine di migliorare gli algoritmi che analizzano i comandi vocali: ora però dice di aver sospeso la pratica
Un’inchiesta di Bloomberg sostiene che Facebook abbia pagato centinaia di collaboratori esterni per trascrivere i file audio degli utenti che hanno usato i suoi servizi: alle persone assunte per questo specifico lavoro non veniva detto da dove i file provenissero né quale fosse lo scopo della trascrizione.
Facebook ha confermato la pratica dicendo però che è stata interrotta «più di una settimana fa» e che non verrà ripresa. Bloomberg ha scritto che tra le società pagate da Facebook per esaminare i messaggi c’è TaskUs Inc, con sede a Santa Monica, in California, la quale ha confermato di aver sospeso il proprio lavoro.
Facebook non è l’unica società di tecnologia che pagava un’azienda esterna per ascoltare e analizzare messaggi vocali creati dai propri utenti: la pratica era considerata necessaria per migliorare gli algoritmi che analizzano i comandi vocali che gli utenti impartiscono allo smartphone o ad alcune app. Dopo diverse inchieste giornalistiche che hanno evidenziato possibili violazioni della privacy, sia Apple sia Google hanno interrotto l’analisi “umana” dei messaggi vocali.
Nel caso di Facebook, comunque, non è chiaro se si possa parlare di violazione della privacy. Facebook ha infatti spiegato che gli utenti interessati sono solamente coloro che dettavano a voce i propri messaggi all’app Messenger. La politica sull’uso dei dati di Facebook, rivista lo scorso anno per renderla più comprensibile, non fa alcun riferimento ai file audio ma precisa che la società raccoglierà «contenuti, comunicazioni e altre informazioni fornite dall’utente» quando gli utenti «inviano messaggi o comunicano con altri». Eppure, nell’elenco delle terze parti con cui condivide le informazioni, Facebook non parla di un team di trascrizione ma fa vagamente riferimento a «distributori e fornitori di servizi che supportano la nostra attività» analizzando «come vengono usati i nostri prodotti».
Nell’aprile del 2018 davanti al congresso degli Stati Uniti, durante un’indagine sulle pratiche sulla privacy, rispondendo a un senatore Mark Zuckerberg dichiarò: «Lei sta parlando di questa teoria del complotto secondo cui noi ascoltiamo quello che passa per il microfono degli utenti e lo usiamo per la pubblicità. Non lo facciamo». Zuckerberg aveva anche precisato che Facebook accedeva al microfono degli utenti solo se quegli utenti avevano dato l’assenso al momento di utilizzare l’app e se usavano una funzione specifica che richiede l’audio, come i messaggi vocali.
Le critiche per la raccolta e l’ascolto da parte di terzi di frammenti audio tramite gli assistenti vocali avevano coinvolto, nelle scorse settimane, anche Amazon e Apple. All’inizio di agosto un articolo del Guardian aveva rivelato come Apple inviasse una piccola parte delle conversazioni a dipendenti in diverse parti del mondo che avevano l’obiettivo di ascoltarle per valutare l’efficienza del servizio (per esempio per capire se Siri si fosse attivato in risposta a un comando vocale intenzionale o per errore).
Questo, secondo quanto raccontato da una fonte anonima al giornale, aveva fatto sì che alcuni dipendenti di Apple avessero ascoltato conversazioni private registrate casualmente da Siri, come visite mediche, incontri sessuali e attività criminali. In seguito alle proteste di diversi utenti per i possibili danni alla privacy, Apple aveva deciso di sospendere il programma. Bloomberg aveva poi rivelato che anche Amazon impiegava migliaia di persone in tutto il mondo per rendere più efficiente l’assistente Alexa: per ascoltare le registrazioni vocali, trascriverle e inserirle nel software per eliminare le lacune nella comprensione.