I siti di news che hanno cambiato la Svezia
Da qualche anno una serie di siti legati all'estrema destra e alla Russia ha condizionato il modo in cui si parla di immigrazione, con conseguenze concrete
Da qualche tempo giornali e movimenti dell’estrema destra in Europa e negli Stati Uniti hanno incluso nella loro retorica un paese che fino a qualche tempo fa sarebbe stato insospettabile: la Svezia.
Due anni fa, infatti, il presidente statunitense Donald Trump durante un comizio criticò la Svezia per avere accolto troppi migranti, citando un inesistente attentato terroristico avvenuto nel paese. I tabloid conservatori britannici parlano spesso del fatto che la Svezia abbia «sbagliato» ad accogliere decine di migliaia di richiedenti asilo durante il flusso del 2015. Pochi mesi fa il Tg2, che da circa un anno riprende spesso temi e toni della destra radicale, ha trasmesso un surreale servizio pieno di notizie false sul presunto fallimento sul modello di integrazione svedese. Il servizio fu ripreso dalla pagina Facebook di Matteo Salvini, che lo commentò scrivendo: «STOP EURABIA!». A oggi ha più di 600mila visualizzazioni.
Il dibattito interno della Svezia non è stato immune a questa retorica, e anzi ne è stato pesantemente influenzato. Alle elezioni politiche del 2018 un partito anti-immigrazione di origini neonaziste, i Democratici Svedesi, ha ottenuto il 17,5 per cento. Secondo un’inchiesta del New York Times, il merito è anche di una rete di siti complottisti legati sia alla destra radicale sia alla Russia.
In tutta Europa la destra radicale critica molto duramente il modello di tolleranza e convivenza pacifica delle democrazie liberali, che secondo le teorie nazionaliste ha abbassato la qualità della vita degli abitanti bianchi e non musulmani. I bersagli della destra sono gli stessi della Russia di Vladimir Putin, che da anni ha avviato un piano per destabilizzare le democrazie occidentali con approcci diversi da paese a paese.
Negli Stati Uniti e in Francia, il governo russo ha provato a condizionare la campagna elettorale (con successo, nel primo caso) rubando e diffondendo documenti privati di importanti uomini politici. In Austria, Germania e Italia ha stretto legami con i più popolari partiti di destra radicale, offrendo fondi e appoggi. In Svezia, secondo funzionari dell’intelligence locale contattati dal New York Times, «la campagna di influenza ha adottato un approccio più subdolo: coltivare l’ecosistema digitale dell’estrema destra».
I Democratici Svedesi per molti anni sono stati tenuti alla larga dai media tradizionali: giornali e tv tradizionali non accettavano i loro spot elettorali, e il partito aveva difficoltà persino ad accedere al servizio postale per distribuire i propri volantini, racconta il New York Times. Per bypassare il problema si decise di usare canali alternativi, cioè pagine Facebook e siti di news amatoriali.
Furono dei membri dei Democratici Svedesi a creare per esempio i siti Samhallsnytt e Nyheter Idag, che insieme a Fria Tider nel 2018 finirono nella classifica dei primi dieci siti di news con più condivisioni sui social network. I contenuti pubblicati da questi siti sono simili a quelli che circolano nei siti di news legati all’estrema destra in tutta Europa: fra le altre cose trovano spazio presunte notizie e analisi sui danni creati dall’immigrazione, brutalità varie commesse da stranieri, articoli allusivi sul filantropo e imprenditore George Soros – al centro di varie teorie complottiste a sfondo antisemita – e più in generale forzature e notizie false.
L’elettorato svedese era già piuttosto ricettivo sul tema dell’immigrazione. Per anni la Svezia è stata uno dei paesi più accoglienti e tolleranti d’Europa, ma negli ultimi tempi il suo modello si è quantomeno inceppato. Parlando con l’Atlantic, l’economista svedese Patrick Joyce ha fatto notare che il mercato del lavoro svedese offre soltanto il 5 per cento dei posti a persone senza competenze particolari, mentre si stima che circa la metà delle persone arrivate nel paese negli ultimi anni – soprattutto dal Medio Oriente – abbia livelli di scolarizzazione piuttosto bassi. Per gestire e integrare persone in situazioni del genere servono tempo e risorse, che non sempre si trovano.
Vanessa Barker, una sociologa dell’Università di Stoccolma, ha aggiunto che il contesto internazionale spinge le persone a una maggiore intolleranza: «Abbiamo sofferto gli effetti della recessione economica globale, di guerre infinite, di sfollamenti di massa in giro per il mondo, assistito a fallimenti di politiche e di governi, declino della fiducia, deboli difese dei diritti umani e della sicurezza, e aumento di nazionalismo, razzismo e xenofobia incontrollati. Tutti questi fattori poggiano sulla rottura dell’inclusione sociale. I migranti sono diventati dei “comodi nemici” – per usare una formula resa celebre dal sociologo Nils Christie – per le malattie e le ansie della nostra epoca».
È sempre difficile stabilire dove finisca il legittimo interesse dei giornali a occuparsi di immigrazione e dove inizi un interesse morboso e la sovraesposizione di alcuni fatti di cronaca a scopo di guadagnare – ascolti, clic, attenzioni – dalla creazione ad arte di rabbia e indignazione. In Svezia però, così come in altri paesi europei, la copertura mediatica sui migranti è stata colonizzata da siti e testate con scarsa propensione alla verifica delle fonti e dei fatti, e che anzi avevano tutto l’interesse a enfatizzare toni e temi che producessero timori e paure, e quindi clic. Il New York Times ha stimato che nel 2018 Samhallsnytt, Nyheter Idag e Fria Tider hanno raggiunto ciascuno, ogni settimana, circa un decimo di tutti gli utenti svedesi di Internet.
In Svezia, poi, questi siti hanno anche ricevuto un aiuto esterno. «La mano della Russia in tutto questo è perlopiù nascosta, ma le impronte che hanno lasciato sono molte», scrive il New York Times.
A uno dei giornalisti di Samhallsnytt è stato negato il tesserino per entrare in Parlamento dopo che la polizia ha accertato alcuni suoi contatti con l’intelligence russa. Fria Tider riprende spesso articoli distribuiti sui canali di propaganda del governo russo, come la rete di siti Sputnik (come peraltro fanno in Italia pagine Facebook legate alla Lega e al Movimento 5 Stelle). Il direttore del magazine Nya Tider, famoso per dar credito a varie teorie del complotto, ha lavorato come “osservatore elettorale” a Mosca e in Siria, dove secondo il New York Times «ha realizzato reportage della guerra civile favorevoli alla Russia».
Oltre ai legami di singoli giornalisti con la Russia, c’è anche qualcosa di più solido. Almeno sei siti svedesi complottisti hanno ricevuto soldi attraverso inserzioni pubblicitarie da una misteriosa azienda tedesca che ha due proprietari russi e due ucraini, la Autodoc GmbH. Il New York Times ha scoperto che la stessa azienda, che vende online pezzi di ricambio di auto, ha finanziato inserzioni pubblicitarie su siti radicali e antisemiti in varie parti d’Europa, comprese Germania, Ungheria e Austria. Un portavoce di Autodoc ha detto al New York Times che l’azienda «non ha alcun interesse ad appoggiare i siti dell’estrema destra», ma non ha fornito ulteriori dettagli.
«La Russia e alcune testate dell’estrema destra sono un po’ in combutta», ha raccontato Chang Frick, un ex funzionario dei Democratici Svedesi che ha fondato un proprio sito di news che si proclama indipendente. Secondo Frick, il fatto che il suo sito metta in cattiva luce i migranti è una semplice convergenza di interessi con quelli dei Democratici Svedesi e della Russia. «La gente si è accorta di quello che succede per le strade. Sono stato accusato di essere razzista, di essere pagato dai Democratici Svedesi e di essere una spia russa. Questo mi dice soltanto che ho toccato un nervo scoperto».