C’è una cura per ebola

Due nuovi trattamenti hanno ridotto i tassi di mortalità anche al 6 per cento: potrebbero essere decisivi per fermare la gravissima epidemia in Congo

Un centro per il trattamento di ebola a Beni, in Congo (AP Photo/Jerome Delay)
Un centro per il trattamento di ebola a Beni, in Congo (AP Photo/Jerome Delay)

Due nuovi trattamenti per curare ebola si sono rivelati estremamente efficaci, con tassi di mortalità tra chi ha contratto il virus ridotti anche al 6 per cento: verranno usati per trattare tutti i casi di ebola nella Repubblica Democratica del Congo, con la speranza che si riesca a fermare l’epidemia che nell’ultimo anno ha ucciso quasi 1.900 persone.

I nuovi trattamenti sono stati testati dall’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) e dall’Istituto nazionale di allergie e malattie infettive degli Stati Uniti (NIAID). Sono un insieme di anticorpi monoclonali, il REGN-EB3 e il mAb-114, che vanno iniettati nel sangue dei pazienti: il primo è stato sviluppato dalla Regeneron Pharmaceuticals di Tarrytown, nello stato di New York, il secondo è stato sviluppato dallo NIAID e dato in licenza alla Ridgeback Biotherapeutics di Miami, in Florida. I test inizialmente riguardavano quattro possibili trattamenti, ma i risultati preliminari hanno mostrato la maggiore efficacia del REGN-EB3 e del mAb-114, spingendo l’OMS a interrompere i test sugli altri, lo ZMapp della Mapp Biopharmaceutical e il remdesivir della Gilead Sciences.

I risultati più incoraggianti con i nuovi trattamenti si sono avuti tra i pazienti che avevano contratto da poco il virus ebola e per i quali il trattamento è cominciato con rapidità. In questi casi, il tasso di mortalità per i pazienti trattati con il REGN-EB3 è stato del 6 per cento, mentre quello per i pazienti trattati con il mAb-114 è stato dell’11 per cento: una differenza troppo piccola per stabilire quale trattamento sia migliore, che ha spinto i ricercatori a dichiararli egualmente efficaci. Durante i test il tasso di mortalità tra i pazienti che avevano ricevuto lo ZMapp era stato del 24 per cento, mentre tra quelli che avevano ricevuto il remdesivir era stato del 33 per cento. Considerando anche i trattamenti a pazienti che avevano contratto il virus da molti giorni, i tassi di mortalità sono stati del 29 per cento per il REGN-EB3 e del 34 per cento per il mAb-114; mentre hanno superato il 50 per cento con i due trattamenti poi scartati.

Il successo dei due nuovi trattamenti potrebbe essere decisivo per fermare l’epidemia di ebola iniziata nell’agosto 2018 in Congo e che fino a oggi secondo l’OMS ha ucciso 1.891 persone. Ebola, identificato per la prima volta nel 1976, è un virus che causa febbre, vomito, disturbi intestinali con forte disidratazione ed emorragie interne, che possono causare la morte. In Africa, dove è più diffuso, ha causato diverse epidemie, la più grave delle quali provocò la morte di più di 10.000 persone tra il 2014 e il 2016 nell’Africa occidentale. Per contrastare ebola non c’erano molte possibilità se non terapie per ridurre il più possibile la febbre e mantenere idratati i pazienti: chi guariva lo doveva principalmente al suo sistema immunitario. Nel 2015 era stato sviluppato un vaccino, poi risultato estremamente efficace: la sua diffusione è però stata lenta e non sufficiente a bloccare la nuova epidemia.

Una persona morta a causa di ebola viene seppellita a Beni, in Congo, il 17 luglio 2019 (AP Photo/Jerome Delay)

Questa percezione di ebola come malattia incurabile è stata anche tra le maggiori difficoltà incontrate dagli operatori internazionali intervenuti in Africa per provare a fermare l’epidemia. La fiducia nei loro confronti da parte della popolazione locale è sempre stata molto bassa; in molti rifiutavano i trattamenti e l’aiuto dei medici, e in più occasioni c’erano stati attacchi contro gli ospedali e il personale. Come ha scritto efficacemente il New York Times, «fino a ora, molti credevano che chiunque contraesse il virus era destinato a morire da solo in mezzo a stranieri vestiti con tute da astronauti ed essere seppellito senza cerimonia in una sacca da morto coperta di candeggina». Ora, con le percentuali di guarigione che potrebbero superare anche il 90 per cento, sarà più facile convincere la popolazione a farsi curare, evitando di nascondere la malattia e aumentarne così la diffusione.

Ad annunciare i risultati dei test sui nuovi trattamenti, insieme al direttore dello NIAID Anthony Fauci, c’era anche il dottor Jean-Jacques Muyembe, 77enne direttore dell’Istituto nazionale di ricerca biomedica del Congo. Muyembe – che Fauci ha definito «un vero eroe» – ha dedicato gran parte della sua carriera alla lotta a ebola, su cui aveva cominciato a lavorare già nel 1976, quando il virus fu identificato per la prima volta. Le ricerche che hanno portato ai nuovi trattamenti, spiega il New York Times, sono in parte derivate dai primi esperimenti di Muyembe per trattare i malati usando il siero di altri pazienti guariti dalla malattia. Regeneron Pharmaceuticals ha detto che per il momento distribuirà il REGN-EB3 gratuitamente, per scopi umanitari.