Dodici grandi canzoni dei Dire Straits
Da riascoltare oggi che Mark Knopfler compie 70 anni
Oggi compie 70 anni anni Mark Knopfler: cantautore, produttore, compositore di colonne sonore, ma soprattutto chitarrista e fondatore dei Dire Straits, di cui era frontman e leader-carismatico, come dicono quelli. I Dire Straits non esistono più dal 1995 (lui ha poi continuato da solo), ma hanno lasciato parecchie grandi canzoni: queste sono le migliori dodici secondo il peraltro direttore del Post Luca Sofri, che le aveva scelte per il suo libro Playlist, La musica è cambiata.
Dire Straits (1977 -1995, Londra, Inghilterra)
Troppo poco duri e puri per i duri e puri, troppo affezionati a fare quello che gli pareva per diventare dei veri divi del pop. Eppure hanno stravenduto (ma stravenduto stravenduto), hanno spopolato con almeno un paio di canzoni, e riempivano gli stadi a forza di rock da adulti in tempi di rivoluzioni punk o involuzioni adolescenziali. Ma se vi guardate in giro, non sembra esserne rimasto quasi niente: rarissimi fans devoti, nessuna mitizzazione, nessun revival di loro vecchie composizioni. Totalmente privi di glamour, fuori moda da sempre, lasciano decine di belle canzoni costruite intorno ai virtuosismi chitarristici di Mark Knopfler.
Sultans of swing
(Dire Straits, 1978)
Fece un inatteso botto alcuni mesi dopo l’uscita del primo disco dei Dire Straits. Non ha la forma di regina delle classifiche, il ritornello praticamente non esiste, e ha un andamento monotono, ripetitivo e segnato solo dall’invadenza delle chitarre. Cose che, grazie al cielo, capitano. Negli anni, Knopfler si è divertito parecchio con l’assolo: purtroppo però in nessuna incisione ufficiale compare la versione dal vivo con la coda di pianoforte e sassofono, quella da dieci minuti e passa.
(La band con cui esordì assai giovane Cristiano De André si chiamò Tempi duri, come la loro prima canzone: che era una pedissequa imitazione di “Sultans of swing”).
Wild west end
(Dire Straits, 1978)
Certe canzoni sono onomatopeiche: suonano come ciò di cui parlano. Questa dondola dondola pigramente come la passeggiata nel West End di cui racconta.
Once upon a time in the west
(Communiqué, 1979)
Lunga introduzione al loro secondo disco, che divenne poi lunghissima introduzione a uno dei più grandi doppi live di tutti i tempi, Alchemy, con virtuosismi adagiati un po’ ovunque.
Where do you think you’re going
(Communiqué, 1979)
La strofa è del solito genere Dire Straits: gran calma, quasi una chiacchiera sopra un tranquillo giro di chitarra blueseggiante. Ragione di più per apprezzare il riff che sostituisce in pratica il ritornello.
Romeo and Juliet
(Making movies, 1980)
La Giulietta di Knopfler si chiamava Holly Vincent e cantava in una band. Lo lasciò al telefono mentre lui era in tour, e una volta definì così le loro storie, in un’intervista: “I had a scene with Mark Knopfler”. Lui se la segnò: “oh Romeo, yeah, you know I used to have a scene with him”.
Private investigations
(Love over gold, 1982)
Non si può dimenticare la totalmente incongrua esibizione dei Dire Straits sul palco del teatro Ariston a Sanremo. Reduci dal disco del grande successo mondiale con le sue canzonette ancora nelle orecchie di tutti, presentarono il primo stralunato singolo del nuovo album, dai suoni che bisognava andarli a cercare con l’apparecchio acustico, mescolati a improvvise schitarrate che sembravano scritte col solo intento di far sobbalzare i dirigenti Rai appisolati in platea, tramortiti dalla nenia degli arpeggi spagnoleggianti. Sanremo a parte, ci volle un gran coraggio. Bravi.
Telegraph road
(Love over gold, 1982)
Love over gold fu detto il tentativo progressive rock dei Dire Straits. Quattro canzoni sopra i sei minuti e la quinta sopra i cinque, con nessuna concessione a un pezzullo facile (quello più facile, è il più brutto). Si apriva con “Telegraph road”, quattordici minuti e passa in cui facevano un po’ tutto quello che gli pareva.
Love over gold
(Love over gold, 1982)
Ma c’era anche un tentativo di canzone d’amore, benché anche questa non avesse trama convenzionale, né refrain, e fosse gravata dalla solita vena malinconica. È uno dei rari casi in cui il pianoforte prevale sulla chitarra, benché il passaggio più dolce sia di nuovo restituito a quest’ultima.
Going home
(Local hero, 1983)
Strumentale, epico e liberatorio, fu scritto da Knopfler per la bella colonna sonora di un buon film con un anziano Burt Lancaster, Local hero. Poi la band la fece sua per chiudere i concerti. Il film è ambientato in Scozia, e la musica suona molto acque agitate e brughiere battute dal vento, prima di andarsene via ariosa per i cieli.
Brothers in arms
(Brothers in arms, 1985)
Sì, somiglia molto a “Bird of paradise” di Snowy White. Alla quale informazione potete ribattere:
– di chi?
– embè?
– “these mist covered mountains are a home now for me…”.
Your latest trick
(Brothers in arms, 1985)
Bel-lis-si-ma. Paraculissima, ruffiana, jazzata da intorto. Bel-lis-si-ma, sì. Imperdibile il prologo col sax, che su alcune versioni del vinile mancava. E come suona caramella in bocca “like a bowery-bum when he finally understand”.
On every street
(On every street, 1991)
«Parla di diverse cose: una è il cercare di mantenere il senso dell’umorismo e non diventare cinici; un’altra è il diventare adulti ma cercare di tenersi dei sogni». Gli ultimi Dire Straits non avevano più molte idee, ma sapevano ancora fare cose come il grande passaggio dove entra la batteria, e via tutti sui titoli di coda.