Continuano a esserci un sacco di cinghiali in giro
È un problema, provocano danni alle coltivazioni e incidenti stradali: se ne parla da anni, ma non è facile rimediare
Da qualche tempo nel dibattito pubblico locale emerge con regolarità la questione dei cinghiali, animali che di solito vivono nelle zone boschive ma che da qualche anno si inoltrano spesso nei centri abitati, attirando l’attenzione e causando frequenti incidenti. Gli ultimi incidenti in Italia sono avvenuti tra fine luglio e inizio agosto, mentre lo scorso gennaio ce n’era stato uno piuttosto grave causato da un branco di cinghiali che aveva attraversato l’autostrada, a sud di Milano, provocando uno scontro tra tre auto: c’erano stati un morto e dieci feriti. In quell’occasione la Coldiretti, la principale organizzazione di imprenditori agricoli, aveva chiesto un «piano di abbattimenti controllati»: non solo per gli incidenti stradali ma anche perché i cinghiali provocano parecchi danni alle coltivazioni.
Ma perché sono così diffusi in Italia e in Europa? E cosa si può fare per limitare gli effetti della loro presenza?
Le principali caratteristiche del cinghiale
Il cinghiale è il diretto antenato del maiale: qualche millennio fa fu addomesticato dall’uomo e cambiò gradualmente aspetto e caratteristiche, dando vita ai maiali che conosciamo oggi; nonostante questo, il maiale e il cinghiale fanno parte entrambi della stessa specie, chiamata Sus scrofa, a sua volta appartenente alla famiglia dei suidi. Quello che distingue il cinghiale da un maiale domestico sono la forma del cranio più affusolata, il pelo più folto, gli arti più slanciati e la presenza delle zanne. In generale, poi, la stazza è diversa: con la selezione e l’allevamento, il maiale ha sviluppato uno strato più spesso di carne e grasso rispetto al cinghiale.
Un punto di forza del cinghiale è la sua capacità di adattamento: anche se predilige le foreste di montagna, in mancanza di cibo non esita a spostarsi e stanziarsi in pianure con poca vegetazione, anche perché essendo onnivoro non necessita di una precisa fonte di nutrimento. Si ciba principalmente di vegetali come ghiande, frutti, radici, tuberi e funghi, ma talvolta integra con piccoli animali cacciati — serpenti e rane — o carcasse, e quando si trova in prossimità delle città viene attirato dai rifiuti, tra i quali scova il cibo con facilità grazie al suo olfatto molto sviluppato.
Il cinghiale è un animale tendenzialmente notturno: di giorno si riposa in tane ricavate da buche nel terreno, imbottite di foglie e rami secchi, e dopo il tramonto si sposta per cercare cibo e acqua. I maschi anziani vivono da soli, ma è più facile imbattersi in branchi composti da alcuni esemplari di femmine e dai loro cuccioli, guidati dalla femmina più anziana.
Perché ce ne sono così tanti?
Fare un calcolo preciso degli esemplari di cinghiale in Italia è difficile, a causa delle continue fluttuazioni demografiche e del fatto che, come dicevamo, vivono in contesti molto diversi. Le stime dell’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) parlano di oltre un milione di esemplari, ma sono stime approssimative, mentre è più facile capire i motivi di questa ampia diffusione: in Europa e in particolare in Italia sono in netto aumento i parchi e le aree boschive, e questo ha determinato un aumento delle specie che tradizionalmente vivono nei boschi, tra cui gli stessi cinghiali; la crescente urbanizzazione e l’abbandono delle campagne da parte dell’uomo ha lasciato spazio e cibo in abbondanza per le specie selvatiche; contestualmente sono diminuiti alcuni predatori tradizionali dei cinghiali — tra cui gli orsi e i lupi — che ne hanno favorito l’aumento.
Anche l’uomo è un predatore del cinghiale, ma i cacciatori paradossalmente non ostacolano la diffusione della specie, al contrario: secondo Piero Genovesi, dirigente dell’ISPRA che si occupa di fauna selvatica, i cacciatori hanno immesso anzi nuovi esemplari in zone dove il cinghiale era poco diffuso. «Basta introdurre un paio di femmine gravide e si riesce a creare nuove popolazioni», ha detto Genovesi. «Da qualche anno l’introduzione in natura di cinghiali è vietata, ma non è facilissimo controllare che questo non succeda».
L’opinione di Genovesi è confermata da un documentario del 2017 di Vice in cui viene intervistato il presidente di Federcaccia Genova, che di fatto non smentisce il ruolo delle immissioni nell’aumento della popolazione dei cinghiali nella città di Genova. Peraltro le prede preferite dai cacciatori sono i maschi, che sono sensibilmente più grandi delle femmine, ma se si abbattono principalmente maschi la popolazione di cinghiali diminuisce molto più lentamente.
Il problema dei cinghiali negli ambienti urbani esiste da anni ed è comune a molte città d’Europa, soprattutto quelle che hanno estese aree verdi nelle zone circostanti come Berlino, Barcellona e Roma. Dai parchi fuori città, dove si stanziano, i cinghiali fanno incursioni notturne lungo le strade e nei quartieri in cerca di cassonetti o persone che offrono cibo: alcuni pensano infatti – sbagliando – che il cinghiale sia un animale mansueto e che gli si possa dare da mangiare, cosa che fa aumentare la confidenza dei cinghiali con il contesto cittadino, aumentando il rischio di incidenti.
Tra i potenziali pericoli connessi alla presenza dei cinghiali non ci sono solo incidenti stradali e coltivazioni messe a rischio, ma anche la diffusione di morbi come la peste suina e la peste suina africana, virus letali per maiali e cinghiali di cui il cinghiale selvatico è portatore. L’uomo ne è immune, mentre i maiali domestici possono essere infettati, con conseguenti danni all’allevamento e all’industria alimentare: in Cina, per esempio, un’epidemia di peste suina africana ha causato l’uccisione di milioni di esemplari, mentre in Polonia per lo stesso motivo si vorrebbero uccidere tutti gli esemplari di cinghiale nel paese; inoltre, il cinghiale può trasmettere anche il virus dell’epatite E.
Cosa si può fare per rimediare
In un lungo e recente articolo il Guardian ha raccontato come viene affrontato il problema nelle diverse città: a Berlino sono stati assunti degli stadtjäger (letteralmente “cacciatori di città”) per abbattere una parte significativa degli animali che popolano l’area urbana. Finora, scrive il Guardian, ne sono stati uccisi a migliaia ma ce ne sono ancora circa tremila. A Barcellona, invece, è stato adottato un approccio meno drastico: gli addetti che si occupano della questione non sono cacciatori ma veterinari, i quali hanno disposto un piano di abbattimenti controllati (prendendo in considerazione soprattutto le femmine fertili) e una campagna di informazione per la cittadinanza.
In Italia, nelle città, non è sempre chiaro di chi sia la responsabilità: tecnicamente la legge sul tema, del 1992, affida alle regioni la gestione della fauna selvatica, ma per intervenire nelle città serve il coordinamento con le istituzioni locali. Nel caso di Roma – dove il problema emerge ciclicamente – di recente è stato firmato un protocollo tra Regione Lazio, Federparchi, Coldiretti e Legambiente.
Secondo Genovesi sarebbe opportuno coinvolgere tutte le parti in causa, non solo gli enti pubblici locali e nazionali: i cacciatori dovrebbero ovviamente evitare di immettere nuovi esemplari, gli agricoltori dovrebbero recintare e mettere in sicurezza le coltivazioni e soprattutto le autostrade non dovrebbero essere accessibili agli animali selvatici. «Poi bisogna fare una corretta informazione a tutti i cittadini», ha aggiunto Genovesi, «perché c’è chi gli dà da mangiare, chi li fa avvicinare, ma il cinghiale non è un cane, è meglio tenerlo a distanza. L’aumento degli esemplari in città è legato anche alla disponibilità di cibo: se la raccolta dei rifiuti non è ottimale, se ci sono cassonetti nelle vicinanze di attività e ristoranti i cinghiali sono stimolati a entrare».
In questo video è documentata una delle cose da non fare quando dei cinghiali entrano in città: dar loro da mangiare.
Nei casi in cui non si riesce a prevenire l’attività dei cinghiali – circostanza che secondo Genovesi avviene spesso – le regioni o gli enti responsabili delle aree protette possono avviare dei piani di abbattimento controllato, che però devono avere l’approvazione dell’ISPRA e che spesso generano proteste tra gli ambientalisti, come è avvenuto in Toscana tre anni fa, quando si parlò di abbattimenti straordinari dei cinghiali per i danni causati ai vigneti. Questi piani di abbattimento sono comunque piuttosto difficili da realizzare, perché manca il personale che dovrebbe portarli avanti: la polizia provinciale e le guardie forestali.