Cosa succede adesso

C'è da formalizzare la crisi di governo, armarsi di calendario e fare un po' di conti

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella (ANSA/ALESSANDRO DI MEO)
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella (ANSA/ALESSANDRO DI MEO)

Partiamo da qui: tecnicamente l’Italia non è ancora in un momento di “crisi di governo”. L’espressione infatti ha un significato ben preciso, e si apre quando viene meno il rapporto di fiducia tra il Parlamento e il governo, o quando il presidente del Consiglio presenta le sue dimissioni. In questo momento non è ancora accaduta nessuna delle due cose, anche se sembra solo questione di tempo: la Lega ha presentato una mozione di sfiducia e Matteo Salvini, leader della Lega e ministro dell’Interno, ha detto che bisogna andare «subito in Parlamento per prendere atto che non c’è più una maggioranza». La prima risposta alla domanda “cosa succede adesso?” passa dall’ufficializzazione della crisi di governo.

Bisogna aprire la crisi davvero
Non può succedere niente, infatti, se prima la crisi non viene formalizzata: il presidente della Repubblica non può iniziare le consultazioni, per capirci, se c’è ancora un governo pienamente in carica. E non bastano un post su Facebook o un comizio per far cadere un governo. Per formalizzare la crisi può servire un passaggio parlamentare, cioè un voto di sfiducia del Parlamento, ma niente vieta al presidente del Consiglio di presentare direttamente le proprie dimissioni al presidente della Repubblica (come fece Matteo Renzi dopo la sconfitta al referendum costituzionale, per fare un esempio).

Quando?
Prima della crisi, i lavori parlamentari erano stati sospesi fino al 9 settembre per la Camera e fino al 10 settembre per il Senato. Le camere possono essere riconvocate prima, ovviamente, ma l’agenda dei lavori sarà decisa dalla conferenza dei capigruppo, che è stata convocata per lunedì 12 agosto alle 16. È probabile che si decida di convocare i parlamentari a Roma subito dopo Ferragosto, cioè dal 19 agosto in poi. A quel punto, se Conte non deciderà prima di dimettersi, bisognerà discutere e votare la mozione di sfiducia. Se verrà approvata, come sembra, Conte salirà al Quirinale a dare le dimissioni.

A quel punto decide Mattarella
Formalizzata la crisi di governo, il presidente della Repubblica aprirebbe le consultazioni, cioè quella fase di incontri e colloqui con leader politici e istituzionali che ha l’obiettivo di capire se il Parlamento è ancora in grado di esprimere una maggioranza oppure no.

Cosa può succedere alle consultazioni
Se durante le consultazioni dovesse venir fuori che c’è una maggioranza parlamentare possibile (anche con nuove alleanze) e che c’è una persona in grado di avere la fiducia di quella maggioranza per formare un governo (che sia Giuseppe Conte o chiunque altro), allora il presidente della Repubblica darebbe a quella persona l’incarico di formare un governo e chiedere la fiducia del Parlamento. Altrimenti, se durante le consultazioni dovesse emergere che non esiste un’altra maggioranza possibile in questo Parlamento, il presidente della Repubblica scioglierà le camere: il primo passo verso le elezioni politiche.

Cosa c’è in ballo?
Bisogna tenere presente che la Costituzione italiana assegna molti poteri e autonomie al presidente della Repubblica in questa fase: è lui e soltanto lui a decidere a chi affidare l’incarico di formare un governo, così come è lui e solo lui che nomina i ministri, ovviamente tenendo conto delle opinioni del Parlamento perché senza il sostegno del Parlamento non può esserci nessun governo. Dove vogliamo arrivare: durante e dopo le consultazioni Mattarella potrebbe anche avere un ruolo attivo, e sondare le forze politiche sulla possibilità di sostenere un governo non politico – “tecnico” o “neutrale” – per un periodo limitato di tempo.

Non è un caso, infatti, se nella nostra memoria ricordiamo soprattutto elezioni politiche tenute in inverno o in primavera: in Italia si può votare tutto l’anno, non ci sono “finestre” per tenere le elezioni politiche, ma non tutti i momenti sono uguali. Durante l’estate e l’autunno siamo in piena sessione di bilancio, cioè quel momento dell’anno in cui bisogna decidere i piani economici triennali del paese. Il governo deve presentare la nota di aggiornamento del DEF entro il 27 settembre; deve mandare alla Commissione europea il Documento programmatico di bilancio entro il 15 ottobre (ma potrebbe chiedere un rinvio); deve portare la legge di bilancio in Parlamento entro il 20 ottobre; deve far approvare la legge di bilancio dal Parlamento entro il 31 dicembre. Ne riparliamo tra poco.

Dobbiamo parlare di nuovo di tempi
La Costituzione prevede che le elezioni politiche debbano essere fissate dopo almeno 45 giorni dallo scioglimento delle camere, e dopo non più di 70, ma per organizzare il voto all’estero servono 60 giorni.

Supponiamo che le consultazioni durino molto poco e che non ci sia nessuna alternativa alle elezioni anticipate: non un altro governo M5S-Lega, non un governo politico con un’altra maggioranza, non un governo “tecnico” o “neutrale”. Facendo qualche facile conto, e prendendo in considerazione il limite dei 60 giorni, questo vuol dire che per andare a votare domenica 13 ottobre bisognerebbe sciogliere le camere entro il 14 agosto. Oggi sembra impossibile. Per votare domenica 20 ottobre, invece, bisognerebbe sciogliere le camere entro il 20 agosto. Oggi sembra molto improbabile. La data del 27 ottobre, con le camere sciolte entro il 26 agosto, sembra invece complessa ma raggiungibile.

Fermi tutti: c’è la legge di bilancio
Dal momento del voto all’insediamento del nuovo Parlamento devono passare circa venti giorni, quindi andremmo intorno al 17 novembre; a quel punto il nuovo Parlamento dovrebbe eleggere i suoi presidenti e solo allora si aprirebbero le nuove consultazioni del presidente della Repubblica per formare un nuovo governo. Le consultazioni potrebbero essere rapide, qualora le elezioni avessero prodotto una chiara maggioranza, ma nel migliore dei casi si arriverebbe comunque a dicembre. Inoltre, le consultazioni potrebbero anche non essere rapide: nel 2018, come ricordate, ci vollero molti mesi.

Insomma, in questo scenario si può escludere che l’Italia riesca ad approvare la legge di bilancio entro il 31 dicembre 2019. Andremmo in esercizio provvisorio, probabilmente per diversi mesi, e con pessime conseguenze: basti pensare che, per decisione del governo Conte, scatterà automaticamente un aumento dell’IVA dal 22 al 25,2 per l’aliquota ordinaria e dal 10 al 13 per cento per l’aliquota agevolata. Insomma, aumenteranno i prezzi di praticamente tutti i prodotti in commercio. Senza contare tutto il resto che normalmente fa parte di una legge di bilancio, e che verrebbe a mancare. Se volete saperne di più, leggete qui.

C’è un piano B?
Questa è una delle ragioni per cui il presidente della Repubblica potrebbe decidere di non sciogliere subito le camere, annunciando che – per il bene di tutti – il paese tornerà a votare soltanto dopo l’approvazione della legge di bilancio. E chi dovrebbe scriverla questa legge di bilancio, eventualmente?

Potrebbe scriverla il governo Conte, che per quanto dimissionario resterebbe in carica per il disbrigo degli affari correnti, come si dice, fino all’insediamento del nuovo governo; oppure potrebbe scriverla un governo “tecnico” o “neutrale”, un “governo del presidente”, senza stravolgere nulla nei conti pubblici italiani ma limitando i danni. La seconda ipotesi rassicurerebbe anche chi oggi si dice preoccupato dall’eventualità che si vada alle elezioni politiche con un ministro dell’Interno (cioè la persona incaricata di organizzare il voto e vigilare sulla sua regolarità) che è anche il principale candidato e leader politico nazionale, un fatto mai successo nella storia della Repubblica italiana.

Anche un governo “neutrale” avrebbe bisogno di un voto di fiducia del Parlamento, per entrare in carica, e oggi non si vede una maggioranza di parlamentari disposta a sostenerlo; ma teoricamente una volta nominato dal presidente il governo “neutrale” resterebbe comunque in carica per il disbrigo degli affari correnti, che in questo caso sarebbero essenzialmente approvare una legge di bilancio entro la fine dell’anno e poi portare il paese a votare.

E quella riforma sul numero dei parlamentari?
Il capo del Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio, ha invitato il Parlamento ad approvare la riforma che vuole ridurre il numero dei parlamentari, prima di sfiduciare il governo e andare alle elezioni anticipate. La riforma costituzionale in questione – che porterebbe i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200 – è stata già approvata in prima lettura, e in seconda lettura solo dal Senato; ora dovrà essere approvata in seconda lettura dalla Camera. Il voto è previsto per il 9 settembre. Dovesse essere approvata anche alla Camera a maggioranza semplice, come è avvenuto in Senato, la riforma sarebbe promulgata dopo tre mesi, durante i quali sarebbe possibile chiedere un referendum popolare (potranno farlo un quinto dei membri di una camera o cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali).

Potremmo andare a votare per le elezioni politiche prima di quei tre mesi di attesa, eleggendo un ultimo “grosso” Parlamento prima che la riforma “dimagrante” entri in vigore? Potremmo aspettare i tre mesi e poi, se nessuno dovesse chiedere un referendum, votare per le elezioni politiche? Potremmo aspettare quei tre mesi e poi organizzare il referendum, con tutti i suoi tempi, e soltanto dopo andare a votare per le elezioni politiche? La risposta a queste domande è: boh. Non ci sono precedenti e ci sarebbero probabilmente grossi dibattiti tra costituzionalisti. Dipenderebbe in ultima istanza dalla volontà delle principali forze parlamentari e da quella del presidente della Repubblica. In ogni caso a quel punto si voterebbe probabilmente nel 2020.

Detto questo, perché questo scenario si realizzi servirebbe arrivare al 9 settembre senza che siano state sciolte le camere, circostanza che oggi sembra improbabile; e servirebbe che la Lega – o altre forze parlamentari – decidessero di votare quella riforma con il Movimento 5 Stelle, pur sapendo che potrebbe comportare un corposo rinvio del voto. Un’altra cosa che oggi sembra alquanto improbabile: Salvini ha già detto che è uno scenario che non esiste.

Infine, c’è qualcosa di molto più importante che condizionerà i tempi di questa crisi di governo: la scrittura e l’approvazione della nuova legge di bilancio. Sarà quella decisione a condizionare le altre, probabilmente, e non il contrario.