Gli incendi in Siberia sono sempre lì
Interessano un'area più grande della Sardegna, e gli sforzi per spegnerli sembrano fin qui poco efficaci
Il fumo proveniente dagli oltre 400 incendi in corso in Siberia sta continuando a raggiungere le coste canadesi e statunitensi, mentre l’esercito russo sta provando senza troppi successi a contenere le fiamme nelle regioni di Krasnoyarsk, della Buriazia e della Jacuzia, dove è stato dichiarato lo stato di emergenza. Gli incendi nell’Artico continuano ormai da oltre un mese, molto oltre i normali livelli stagionali per motivi che gli scienziati attribuiscono all’aumento delle temperature.
Al momento sembra che gli sforzi per spegnerli e anche solo per contenerli non siano molto efficaci: l’esercito ha detto di aver rovesciato sugli incendi 1.300 tonnellate d’acqua nella sola giornata di domenica, su un’area di circa 1.700 chilometri quadrati nelle regioni di Irkutsk e Krasnoyarsk, sostenendo di aver fatto qualche progresso. Ma l’esercito ha rinunciato fin dall’inizio a occuparsi degli incendi nelle aree considerate più remote e disabitate. In tutto sta bruciando una superficie di foreste pari a quasi 30.000 chilometri quadrati, più della Sardegna.
Steve Rosenberg di BBC News ha visitato alcune foreste lungo il fiume Lena, in una zona isolata della regione di Irkutsk, raccontando che gli abitanti locali hanno provato a isolare gli incendi tracciando con i bulldozer una linea nella foresta, abbattendo gli alberi e rimuovendo ogni tipo di vegetazione, in modo da creare una zona cuscinetto senza materiali infiammabili. Ma non è bastato del tutto a contenere le fiamme, e un pompiere intervistato ha detto che gli incendi potrebbero continuare fino alle piogge autunnali, o addirittura fino alla caduta della prima neve. L’acqua rovesciata dagli aerei e dagli elicotteri è spesso inefficace, ha spiegato il pompiere, perché non riesce a spegnere del tutto le fiamme, che rimangono vive e dopo un po’ tornano a estendersi.
Intere città siberiane sono ricoperte dal fumo degli incendi, ma il vento lo ha portato fino all’Alaska, in Canada e negli Stati Uniti. Alcune compagnie petrolifere russe hanno dovuto evacuare i propri dipendenti da certe stazioni siberiane: un dipendente di un deposito gestito dalla compagnia statale Rosneft a Kuyumba, nel centro della Siberia, ha detto a Reuters che le trivellazioni sono state fermate per diversi giorni dopo che la visibilità e scesa fino a 20 metri, rendendo impossibile lavorare.
È consueto che tra maggio e ottobre in queste zone, così come nel resto dell’emisfero boreale, ci siano degli incendi, ma quest’anno la loro intensità e durata sono inusuali, motivo per cui gli scienziati hanno parlato di un fenomeno «senza precedenti». La causa degli incendi è da imputare principalmente all’aumento delle temperature, che nella regione artica stanno aumentando più rapidamente che nel resto del mondo.
Se da un lato gli incendi sono causati dall’aumento delle temperature, dall’altro contribuiscono a aumentarle ulteriormente. I roghi diffondono infatti nell’atmosfera anidride carbonica (CO2), e il fumo e le particelle inquinanti diffuse dagli incendi aumentano la capacità di assorbimento dei raggi solari da parte dei ghiacci del nord – che normalmente riflettono la luce, ma smettono di farlo se si scuriscono – il cui scioglimento così accelera.