Non potevamo inventarla prima, la bicicletta?
Teoricamente avremmo potuto farla molto prima del 1817: non c'è una vera risposta, ma le ipotesi non mancano
La bicicletta – intesa come mezzo a propulsione umana con due ruote, una dietro l’altra – fu inventata nel 1817. Le biciclette come le intendiamo oggi – con una catena, una sella e due pedali – arrivarono circa settant’anni dopo, pochi decenni prima del primo volo dei fratelli Wright. Eppure la bicicletta, per materiali impiegati e tecnologia applicata, avrebbe potuto essere inventata molti secoli prima, se non addirittura un paio di millenni. Prima della bicicletta, infatti, furono pensate e realizzate cose ben più complicate, come gli orologi. Perché greci o romani non aggiunsero telai alle loro ruote? Perché le truppe di Napoleone non si spostavano in bicicletta? Perché nessuno inventò la bicicletta prima del 1817?
Si è posto questa domanda di recente l’ingegnere e blogger Jason Crawford, che ne ha scritto sul sito The Roots of Progress. Secondo Crawford, la bicicletta non è stata inventata prima per via di un errato approccio al concetto stesso di quello che sarebbe poi diventata la bicicletta; prima ancora, però, ci sono ragioni economiche e culturali. Prima della risposta giusta, comunque, conviene passare in rassegna un po’ di risposte sbagliate.
Risposte sbagliate
Per cominciare, è certo che la risposta non ha ragioni tecniche. La prima bicicletta – che quando fu inventata non si chiamava ancora bicicletta, ma “draisina” – era in legno, pesava 45 chili e non prevedeva materiali o lavorazioni particolari. Tutto quello che è arrivato dopo – le ruote con i raggi, la gomma vulcanizzata, gli pneumatici gonfiabili, le catene e la possibilità di cambiare rapporti – sono stati notevoli avanzamenti di qualcosa che si sarebbe potuto fare però anche molto prima.
Un’altra argomentazione riguarda le strade, ma non è vero che le biciclette non furono inventate prima perché prima non c’erano le strade. A inizio Ottocento le strade erano pessime, e non erano particolarmente più pessime di quanto fossero 100 o 500 anni prima. Crawford ricorda poi che il macadam, che iniziò a rendere le strade leggermente migliori, fu inventato solo nel 1820, tre anni dopo la bicicletta. Ci sono semmai ragioni per credere che nei primi anni del Novecento furono le biciclette, e i ciclisti che le usavano, a contribuire a rendere migliori le strade.
Un’altra ipotesi dice, in breve, che le biciclette furono inventate per sostituire i cavalli. Ma anche in questo caso le cose non tornano. Evidentemente i cavalli esistevano già da molto prima dell’Ottocento, e così l’utilità di inventare qualcosa che andasse più veloce e non avesse bisogno di fermarsi a mangiare, bere e dormire. Nei primi anni dell’Ottocento, peraltro, i cavalli continuavano comunque a essere un ottimo mezzo di trasporto: i treni ancora dovevano diffondersi, e comunque offrivano un servizio di tutt’altro tipo. Infine, le biciclette ci misero decenni a diventare anche solo competitive, come velocità, con i cavalli.
Più in generale, anche provando a guardare altri fattori storici, non sembra proprio che le biciclette furono inventate per una impellente necessità. Non furono la rivoluzionaria risposta a un pressante problema. L’aumento della popolazione mondiale, la rivoluzione industriale, la crescita della classe media e fattori come questi spiegano perché la bicicletta si diffuse diversi decenni dopo la sua invenzione e durante il suo perfezionamento; non perché fu inventata in un certo momento e non prima.
Per fare una bicicletta bisognava pensare una bicicletta
Come spiega Crawford, il primo motivo per cui nessuno inventò una bicicletta è che nessuno ci provò. Mettendo da parte il falso storico su Leonardo Da Vinci e la bicicletta, già diversi secoli prima dell’Ottocento alcuni inventori pensarono a veicoli che si muovessero da soli, senza cavalli. Tra i primi ci fu lo scienziato e inventore Giovanni Fontana, che progettò – anche se probabilmente non la costruì – una carrozza a quattro ruote che si sarebbe dovuta spostare grazie a un sistema di ingranaggi messi in movimento da una corda tirata da un “guidatore”. Il francese Jacques Ozanam, morto nel 1718, teorizzò una carrozza «senza cavalli» e molti altri pensarono a mezzi di trasporto che potessero garantire lo spostamento senza usare il vento o il vapore, ma solo la forza umana. Qualcuno progettò anche mezzi di spostamento con due persone, in cui uno sterzava e l’altro forniva la forza necessaria alla locomozione, ma non se ne fece mai niente.
Crawford racconta che tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento qualcuno finalmente costruì qualcosa: tra loro l’inventore francese Jean-Pierre Blanchard, la cui carrozza-umana pare percorse la ventina di chilometri che separano il centro di Parigi da Versailles. Ma lo stesso Blanchard non ci credette granché e si dedicò invece alle mongolfiere, diventando tra l’altro il primo a sorvolare la Manica con un pallone aerostatico. Insomma: finiva sempre che il mezzo progettato, e a volte persino costruito, era troppo pesante e ingombrante perché un essere umano riuscisse a farlo spostare in modo soddisfacente.
Una prima risposta è quindi che la bicicletta non fu inventata prima del 1817 perché per secoli ci si concentrò su mezzi a quattro ruote. In effetti, fu piuttosto sorprendente scoprire che un mezzo di trasporto con due ruote una dietro l’altra potesse muoversi stando in equilibro. Chi lo scoprì, probabilmente, ci credeva tanto quanto ci crede un bambino al primo tentativo di uso di una bicicletta senza rotelle: pochissimo.
La prima invenzione della bicicletta
L’inventore della bicicletta fu il barone e inventore tedesco Karl von Drais, che a sua volte aveva iniziato ad arrovellarsi pensando a un mezzo a quattro ruote e poi, dopo aver per un po’ pensato alle tre ruote, si convinse che ne bastavano due. Qualcuno associa la sua invenzione alla terribile eruzione del vulcano Tambora in Indonesia, nel 1815. Un’eruzione che cambiò il clima del mondo, che rese il 1816 un “anno senza estate” e che generò una brutta carestia che fece morire molti cavalli (mentre molti altri li uccidevano per mangiarli). Per farla breve: c’è chi sostiene che Von Drais inventò la bicicletta, che lui all’iniziò chiamò “macchina per correre” (Laufmaschine, in tedesco), per sopperire all’assenza di cavalli. Ma è una questione dibattuta, smentita tra l’altro dal fatto che Von Drais iniziò probabilmente a lavorare alla sua invenzione nel 1813, prima della serie di eventi generati dall’eruzione di un vulcano indonesiano.
Inoltre, la draisina difficilmente poteva fare concorrenza a un cavallo: in discesa sfiorava i venti chilometri orari, ma in salita bisognava spingerla. Le cronache del tempo dicono che nel suo giro inaugurale Von Drais percorse circa 15 chilometri, ma la draisina, che in seguito qualcuno prese a chiamare velocipede, rimase un divertimento per aristocratici e niente più, anche perché qualche pedone iniziò a lamentarsi della pericolosità di chi “sfrecciava” per le città con i velocipedi (un po’ come oggi succede con i monopattini elettrici). Qualcuno scrisse anche: «Il signor Drais merita i ringraziamenti dei calzolai di tutto il mondo, perché ha inventato un ottimo modo per consumare le scarpe».
La seconda invenzione della bicicletta
Per quasi cinquant’anni si smise praticamente di parlare di biciclette, e pochissimi continuarono a trovare divertenti i velocipedi. Tra il 1860 e il 1880 arrivarono però delle nuove biciclette e in una ventina d’anni nacquero i bicicli: le biciclette con la sella sopra la ruota anteriore, e con la ruota anteriore molto più grande della posteriore. La ruota era così grande per sfruttare il movimento dei pedali, la vera grande novità dei bicicli.
I bicicli però erano pericolosi (uno dei loro nomi inglesi fu boneshaker, “spaccaossa”) e poco pratici, quindi qualcuno pensò di aggiungere una catena che permettesse ai ciclisti di stare comodamente seduti tra due ruote di simile dimensione e di far muovere le ruote grazie alla trasmissione tra queste e i pedali. La bicicletta con catena, nota come safety bicycle (la “bicicletta di sicurezza”, perché finalmente molto più sicura dei modelli precedenti), si diffuse negli anni Ottanta dell’Ottocento. Sembra facile, visto da qui, ma per passare dalla prima draisina alle vere e proprie safety bicycle ci vollero più anni quanti ce ne vollero per passare dal primo volo dei fratelli Wright al primo passo di Neil Armstrong sulla Luna.
Con la safety bicycle si arrivò davvero a qualcosa di simile a quello a cui oggi pensiamo quando pensiamo a una bicicletta: chiunque oggi sappia guidare una bicicletta avrebbe saputo guidare una safety bicycle di fine Ottocento. Da quel momento le biciclette iniziarono la loro seconda vita. In quegli anni la tecnologia contribuì al successo commerciale delle biciclette, alla possibilità di produrle in massa e all’abbattimento del loro prezzo. Ma anche quella non fu la condizione necessaria alla sua invenzione. Si torna quindi alla vecchia domanda: perché nessuno inventò la bicicletta prima di quando fu inventata?
Una risposta univoca e certa non c’è. Nel suo approfondito articolo, Crawford dice che le uniche teorie secondo lui non confutabili sono quelle che parlano di ragioni economiche e culturali, cioè che «serve un certo livello di surplus per supportare la ricerca culturale e gli sforzi di crescita necessari a generare delle invenzioni». Von Drais, insomma, inventò la bicicletta perché stava bene e aveva del tempo libero da occupare. Tra tutte le cose, inventò la bicicletta – che allora e dal suo punto di vista era solo un passatempo – perché non aveva bisogno di inventare cose per lui più utili. Per quanto riguarda i fattori culturali, la risposta di Crawford è ermetica ma non necessariamente sbagliata: citando l’economista e storico Joel Mokyr, scrive che «il progresso non è naturale». Come spiegò proprio Mokyr qualche anno fa sull’Atlantic, il progresso è a sua volta «stato inventato».