Perché lo Stretto di Hormuz è così importante
E soprattutto, lo sapete dov'è? Il tratto di mare al centro della grave crisi tra Iran e Stati Uniti è una delle rotte marittime più importanti al mondo
Da qualche settimana lo Stretto di Hormuz, un limitato tratto di mare che divide il Golfo Persico dal Golfo dell’Oman, è al centro delle cronache di mezzo mondo. Qui, tra attacchi alle petroliere e abbattimenti di droni, si sta sviluppando la competizione tra Iran da una parte e Stati Uniti e alleati dall’altra, in quella che è diventata una delle più gravi crisi politiche internazionali in corso. Non è la prima volta che lo Stretto di Hormuz è luogo di competizione tra paesi: il motivo è la sua enorme importanza strategica, legata sia alla posizione geografica – si trova tra Iran e penisola arabica – sia al fatto di essere una delle rotte marittime più importanti al mondo, soprattutto per il commercio del petrolio.
Lo Stretto di Hormuz ha una conformazione particolare. A sud è delimitato dalla provincia di Musandam, una exclave dell’Oman negli Emirati Arabi Uniti dove vive un misto di persiani e arabi sunniti immigrati dalla Penisola arabica; a nord confina con l’Iran, e con diverse isole e isolotti non troppo ospitali, alcuni dei quali disabitati. Come ha scritto lo storico statunitense Allen James Fromherz su Foreign Affairs, nessuno è mai riuscito a controllare interamente lo Stretto, che nel corso degli anni è diventato oggetto delle ambizioni di diversi paesi della regione.
In realtà lo Stretto di Hormuz cominciò a essere importante diversi secoli fa. Prima dell’ascesa degli imperi marittimi europei del Quindicesimo e Sedicesimo secolo, dallo Stretto passavano le porcellane cinesi e le spezie della penisola indocinese dirette verso l’Europa e l’Asia centrale. Questo tratto di mare, lungo 150 chilometri e nel suo punto più stretto largo 33, aveva collegato da sempre le civiltà arabe e persiane con il subcontinente indiano, l’Asia Pacifica e le Americhe. Quando si iniziò a sfruttare e commercializzare il petrolio, la sua importanza crebbe ulteriormente.
Da molti anni lo Stretto di Hormuz è considerato il posto più importante al mondo per il commercio del petrolio. Nel 2018 da qui è passato un quinto del petrolio mondiale, circa 21 milioni di barili al giorno, una quantità leggermente superiore a quella che ha attraversato lo Stretto di Malacca, che si trova nell’Oceano Indiano e separa l’isola indonesiana di Sumatra e la costa occidentale della penisola malese. È una quantità superiore anche a quella che nello stesso periodo ha attraversato altri importanti passaggi marittimi in passato molto contesi o al centro di gravi crisi internazionali, come il Canale di Suez e lo stretto di Bab el Mandeb nel Mar Rosso, e gli stretti che separano la Turchia dall’Europa.
Lo Stretto di Hormuz è fondamentale soprattutto per i grandi esportatori di petrolio nella regione del Golfo Persico, paesi le cui economie sono state costruite per decenni attorno alla produzione e vendita di petrolio e gas. Nel 2018, per esempio, l’Arabia Saudita ha fatto passare nello stretto 6,4 milioni di barili di petrolio al giorno, l’Iraq 3,4, gli Emirati Arabi Uniti 2,7, il Kuwait 2. Il Qatar, il più grande produttore mondiale di gas naturale liquefatto (LNG), esporta quasi tutto il suo gas attraverso lo Stretto. Allo stesso modo, la stabilità dello Stretto di Hormuz è fondamentale per i principali importatori di petrolio mediorientale, soprattutto Cina, Giappone, Corea del Sud e India. Anche gli Stati Uniti importano petrolio che attraversa lo Stretto (1,4 milioni di barili al giorno), ma in proporzione minore rispetto ad altri paesi, se si guarda al fabbisogno energetico nazionale.
Il problema per molti stati coinvolti in questi commerci è che lo Stretto di Hormuz non è un passaggio marittimo stabile e sicuro e già in passato era stato luogo di competizione e conflitti di vario tipo. C’è anche da considerare che a ogni fase di instabilità corrisponde un aumento del prezzo globale del petrolio.
Nel 1984, per esempio, durante la guerra tra Iran e Iraq, nello Stretto si combatté la cosiddetta “tanker war”, la “guerra delle petroliere”, che iniziò quando gli iracheni attaccarono i terminali petroliferi e altre infrastrutture iraniane nel nord del Golfo Persico e l’Iran rispose attaccando le petroliere che trasportavano petrolio iracheno. La situazione peggiorò progressivamente fino a che intervennero gli Stati Uniti, mettendo in piedi il più grande convoglio navale dalla Seconda guerra mondiale, scortando le navi dal Golfo Persico fino allo Stretto di Hormuz. In una di queste operazioni, nel 1987, ci fu anche uno scontro militare diretto tra Stati Uniti e Iran.
Alcuni temono che uno scenario simile si possa verificare anche oggi, con una escalation di tensione che porti a uno scontro militare diretto finora evitato. Al momento diversi paesi stanno ragionando su come garantire la sicurezza delle petroliere che attraversano lo Stretto, mentre gli Stati Uniti hanno incaricato la Quinta Flotta, che ha base in Bahrein, di proteggere le navi commerciali nell’area.
Il problema però è che lo Stretto di Hormuz è un tratto di mare su cui il regime iraniano può fare il bello e il cattivo tempo, e nel quale può agire con attacchi e sabotaggi per ottenere qualcosa che poco c’entra con le petroliere in transito: in questo caso, può agire per colpire gli Stati Uniti di Trump, responsabili di essersi ritirati dallo storico accordo sul nucleare iraniano firmato nel 2015 dal presidente Barack Obama e di avere reintrodotto le sanzioni all’Iran. Secondo il diritto internazionale, gli stati possono esercitare il controllo fino a 12 miglia nautiche dalle loro coste: questo significa che nel suo punto meno largo, lo Stretto e le rotte marittime che lo attraversano sono interamente all’interno delle acque territoriali dell’Iran o dell’Oman.
Negli ultimi anni Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita hanno provato a individuare altre rotte per commerciare il loro petrolio: tra le altre cose, hanno costruito oleodotti per portare il greggio nell’emirato più settentrionale, Fujairah, nel Golfo dell’Oman, e verso l’Oman stesso e lo Yemen, di modo da tagliare fuori lo Stretto. Al momento però la capacità di queste rotte alternative non è tale da assorbire tutte le esportazioni di greggio dei paesi produttori.