Gli incendi sull’Artico non si fermano
E non hanno precedenti: il fumo sta arrivando anche negli Stati Uniti, mentre il governo russo ha deciso di mandare l'esercito
Le decine e decine di grossi incendi che da giugno si sono sviluppati lungo le coste del mar Glaciale Artico, in Groenlandia, Russia, Canada e Alaska, non danno segno di diminuire d’intensità. Mercoledì, riporta BBC, il presidente russo Vladimir Putin ha ordinato che anche l’esercito intervenga per aiutare i vigili del fuoco e i forestali per arginare le fiamme. Gli incendi si sono sviluppati principalmente in Siberia, dove sono stati inviati dieci aerei e dieci elicotteri per cercare di spegnerli.
Nel frattempo è stato dichiarato lo stato d’emergenza anche nelle regioni di Irkutsk e Krasnoyarsk, e il primo ministro Dimitry Medvedev è andato nella città di Krasnoyarsk per tenere un vertice con le autorità locali e decidere come intervenire. «La cosa più importante da fare è impedire che il fuoco si diffonda nelle aree popolate», ha detto. Nei giorni scorsi circa 800mila persone avevano firmato una petizione online per chiedere un intervento del governo, dopo che le autorità locali nelle scorse settimane avevano tardato a intervenire sostenendo che non ci fosse nessuna emergenza, dato che gli incendi avevano colpito per lo più aree disabitate.
Al momento si stima che soltanto in Russia gli incendi abbiano bruciato circa 3 milioni di ettari di foresta, e la situazione per ora non sembra migliorare. Le aree colpite dagli incendi sono scarsamente popolate, ma i fumi stanno raggiungendo anche le maggiori città della Siberia, aumentando i rischi per la popolazione dovuti all’inquinamento dell’aria. Le immagini raccolte dai satelliti mostrano una densa nube che avvolge vaste zone dell’Asia centrale e settentrionale, che lo scienziato Santiago Gassó la scorsa settimana ha stimato su Twitter possa avere un’ampiezza di 4 milioni e mezzo di chilometri quadrati.
Siberia e Alaska sono state le zone più colpite dagli incendi di giugno e luglio, ma alcuni di questi si sono sviluppati anche in Groenlandia. I fumi degli incendi, inoltre, sono stati spinti dai venti anche a molti chilometri di distanza da dove si sono originati. Dai dati rilevati dal satellite Suomi NPP della NASA è emerso come i fumi degli incendi che si sono sviluppati in Alaska e in Canada sono arrivati fino alle regioni sud-occidentali degli Stati Uniti, concentrandosi in particolare a Salt Lake City, nello Utah, a causa delle proprietà riflettenti del sale del Gran Lago Salato, che si trova poco a nord della città.
Cosa ha causato gli incendi?
È consueto che tra maggio e ottobre in queste zone, così come nel resto dell’emisfero boreale, ci siano degli incendi, ma quest’anno la loro intensità e durata sono inusuali, motivo per cui gli scienziati hanno parlato di un fenomeno «senza precedenti». La causa degli incendi è da imputare principalmente all’aumento delle temperature, aveva spiegato la scorsa settimana a CNN Mark Parrington, uno scienziato di Copernicus, l’iniziativa dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) per monitorare l’atmosfera: nella regione artica, infatti, le temperature stanno aumentando più rapidamente che nel resto del mondo.
Claudia Volosciuk, una scienziata dell’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO), ha aggiunto che la temperatura media registrata in Siberia a giugno è di 10 gradi più alta della media del mese tra il 1981 e il 2010. In generale, il mese scorso è stato il giugno più caldo mai registrato, considerando le temperature medie mondiali, e secondo la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), l’agenzia federale statunitense che si occupa di meteo e clima, anche luglio risulterà il luglio più caldo mai registrato. Nove dei dieci mesi di giugno più caldi da quando si iniziò a registrare le temperature mondiali, nel 1880, sono avvenuti negli ultimi nove anni; l’ultimo record era del giugno 2016.
Le altre conseguenze
Se da un lato gli incendi sono causati dall’aumento delle temperature, dall’altro contribuiscono a aumentarle ulteriormente. I roghi diffondono infatti nell’atmosfera anidride carbonica (CO2), aveva spiegato Claudia Volosciuk, scienziata dell’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO), e il fumo e le particelle inquinanti diffuse dagli incendi aumentano la capacità di assorbimento dei raggi solari da parte dei ghiacci del nord – che normalmente riflettono la luce, ma smettono di farlo se si scuriscono – il cui scioglimento così accelera.
All that burning has a cumulative effect, releasing particles of black carbon into the air. Black carbon 💨 is bad for people, animals and the planet. It’s associated with numerous health problems in humans and contributes to continued global warming 🌡. pic.twitter.com/HGOraXNa15
— NASA Earth (@NASAEarth) August 1, 2019
La WMO stima che nel solo mese di giugno gli incendi nella regione del mar Glaciale Artico abbiano prodotto 50 milioni di tonnellate di CO2, una quantità equivalente alle emissioni prodotte dalla Svezia in un anno e più di tutta la CO2 rilasciata nell’atmosfera dagli incendi che si sono sviluppati nelle stesse zone tra il 2010 e il 2018.