Cosa sappiamo di quella foto
L'immagine che mostra Natale-Hjorth bendato e ammanettato comporta due reati e qualche problema per l'indagine sul carabiniere ucciso
Da domenica si sta cercando di capire che storia abbia la foto che mostra Gabriel Christian Natale-Hjorth, uno dei due americani sospettati di essere coinvolti nell’omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega in centro a Roma, mentre siede ammanettato e bendato nella caserma dove era stato portato subito dopo l’arresto. La foto è stata con ogni probabilità scattata da un militare, non è ancora chiaro con che intenzioni, e mostra un evidente abuso di potere e un’altrettanto evidente violazione dei diritti delle persone sottoposte a misure cautelari: due reati. Sul caso è stata avviata sia un’indagine interna all’Arma dei Carabinieri sia una ufficiale della procura, e secondo i giornali sono già stati presi provvedimenti contro il militare ritenuto responsabile del maltrattamento.
La foto risale a venerdì mattina: alle 11 Natale-Hjorth e il suo compagno di viaggio Finnegan Lee Elder, entrambi statunitensi, erano stati arrestati in una camera d’albergo del quartiere Prati con l’accusa di aver accoltellato poche ore prima Rega, in circostanze che ancora oggi non sono per niente chiare (più precisamente: Elder è l’uomo sospettato di aver fisicamente accoltellato Rega). Su Repubblica di oggi, Carlo Bonini ricostruisce cos’è successo tra quel momento e lo scatto della foto, uno dei due aspetti che si stanno cercando di capire, insieme alle modalità della sua diffusione. Bonini spiega che sul luogo dell’arresto era intervenuto il colonnello Lorenzo D’Aloia, un ufficiale descritto come «avveduto» e con «molti nemici nel Corpo» perché sarebbe tra le persone che hanno contribuito a individuare i responsabili tra i carabinieri dei depistaggi nell’inchiesta sull’omicidio di Stefano Cucchi. D’Aloia, secondo Bonini, si sarebbe trattenuto nella stanza d’albergo ordinando che Elder e Natale-Hjorth fossero portati nella vicina caserma di via in Selci, da due pattuglie in borghese ed entrando dal retro per non attirare attenzioni.
D’Aloia sarebbe quindi arrivato in caserma circa un quarto d’ora dopo, e secondo Bonini è proprio in quest’arco di tempo che è stata scattata la foto. Inizialmente, spiega, Natale-Hjorth è stato portato in una stanza al piano terra della caserma, che si affaccia sul cortile interno. L’indagine della procura, citata da Repubblica, avrebbe già ricostruito che un sottoufficiale avrebbe deciso che a Natale-Hjorth non fossero tolte le manette, e che dovesse «essere anche messo nella condizione di non poter vedere dove i militari lo stanno conducendo». Per questo si sarebbe sfilato dal collo un foulard e glielo avrebbe legato sugli occhi. Nei minuti successivi nella stanza c’era parecchio movimento: con ogni probabilità è stato uno dei carabinieri di passaggio a scattare la foto, che pare abbia iniziato a circolare inizialmente su alcune chat di WhatsApp di membri delle forze dell’ordine.
All’arrivo in caserma di D’Aloia, poi, Natale-Hjorth sarebbe stato condotto in un’altra stanza. Secondo Bonini, la foto potrebbe essere stata fatta circolare proprio per mettere in difficoltà D’Aloia, come forma di ritorsione per aver contribuito all’inchiesta che sta cercando di individuare i responsabili della morte di Cucchi. Questa però è al momento soltanto un’ipotesi.
Sappiamo invece che l’indagine interna ha individuato il responsabile di aver bendato e tenuto ammanettato Natale-Hjorth, che secondo il Corriere della Sera è stato trasferito a un incarico non operativo. L’Arma dei Carabinieri ha definito «inaccettabile» la foto e il trattamento che mostra, sostenendo che il sospettato sia rimasto in quelle condizioni «4 o 5 minuti per non fargli vedere quanto c’era in quell’ufficio, soprattutto sui monitor».
Il trattamento subìto da Natale-Hjorth viola la Costituzione (l’articolo 13 tra le altre cose vieta «ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà») e il Codice penale (nei vari articoli che tutelano i diritti delle persone detenute o arrestate). Come hanno sottolineato in molti, certamente gli avvocati difensori di Elder e Natale-Hjorth cercheranno di fare leva sull’episodio, forse per provare ad annullare la validità della confessione. Uno di loro, Emiliano Sisinni, ha già detto che «la circostanza che un soggetto sia sottoposto ad un trattamento del genere nelle fasi antecedenti l’interrogatorio deve far seriamente riflettere sulle implicazioni che ciò potrebbe avere sulla libera autodeterminazione di un indagato nel rendere dichiarazioni». L’avvocato Giandomenico Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere penali, ha spiegato all’Agi che «perché un atto istruttorio, sia esso una confessione, una testimonianza o un interrogatorio, se svolto con modalità che coartano la libera determinazione di una persona deve essere dichiarato nullo».
Il Corriere della Sera ha intervistato il procuratore Giovanni Salvi, che sta conducendo l’indagine sulla foto, che ha escluso che durante l’interrogatorio – quello al termine del quale Natale-Hjorth ha confessato – ci sia stata «alcuna forma di costrizione». All’interrogatorio erano presenti anche i legali dei sospettati, che secondo Salvi non hanno detto niente a proposito di maltrattamenti subiti in precedenza. Salvi ha però aggiunto che le eventuali sanzioni potranno riguardare anche gli altri carabinieri presenti al momento della foto: «C’è chi ha deciso di bendare l’indagato, ma c’è anche chi non ha fatto nulla per impedirlo. E chi non ha poi denunciato l’accaduto».
La foto è circolata molto sui siti dei principali quotidiani statunitensi, accompagnata da critiche e preoccupazioni per il trattamento riservato ai due sospettati. Secondo Repubblica, il governo statunitense potrebbe arrivare a chiedere l’estradizione dei due sospettati, mentre Salvi ha detto al Corriere che è «quasi scontato» che arriverà qualche tipo di istanza da parte degli Stati Uniti.