Egan Bernal, vincitore del Tour de France
Breve storia di una corsa interessante e vivace come non succedeva da un po', e del giovane colombiano – descritto come un predestinato – che l'ha vinta
Si sapeva ormai da sabato pomeriggio, ma ieri sera il colombiano Egan Bernal, 22enne del Team Ineos, ha vinto il Tour de France, la più importante competizione ciclistica al mondo. È il primo sudamericano – e quindi anche il primo colombiano – a vincere il Tour, e per trovare un vincitore più giovane di lui bisogna andare indietro di più di cento anni. La sua vittoria è arrivata grazie a un paio di attacchi negli ultimi giorni di un Tour vivace e apertissimo, descritto da molti come il migliore di questo secolo. “Egan Bernal” è un nome che fino a qualche giorno fa conoscevano quasi solo gli appassionati; sebbene un po’ in anticipo sui tempi, la sua vittoria però non è una sorpresa per gli esperti di ciclismo. Quando in questi ultimi mesi si parlava di lui tra gli addetti ai lavori, più che chiedersi se avrebbe mai vinto un Tour, molti si chiedevano infatti quando sarebbe successo. E ora molti si chiedono già quanti altri ne vincerà.
Fino a prima della 17ª tappa, corsa il 24 luglio, Bernal era quinto in classifica con più di due minuti di ritardo dal francese in maglia gialla, Julian Alaphilippe, e con una trentina di secondi di ritardo dal suo compagno di squadra Geraint Thomas, vincitore del Tour di un anno fa. Bernal era uno dei sei corridori con la possibilità di vincere il Tour, ma c’erano alcune cose che sembravano rendere non particolarmente concreta quella possibilità. Per cominciare, non era chiaro se Bernal avrebbe potuto fare liberamente la sua corsa o se si sarebbe invece dovuto sacrificare per aiutare Thomas, il capitano di 33 anni che già aveva mostrato di saper vincere il Tour. Poi bisognava recuperare il distacco nei confronti di Alaphilippe, che pur non essendo uno scalatore fino a quel momento era sempre stato insieme ai migliori in salita. Infine, tra i sei c’era Thibaut Pinot, uno scalatore francese che in un paio di salite era andato più forte di tutti, anche di Bernal.
Dalla 18ª tappa in poi, quando sono arrivate le Alpi e alcune vette oltre i duemila metri, Bernal ha ribaltato la situazione. Alaphilippe, che è comunque sorprendentemente rimasto in maglia gialla per due settimane, con la legittima esaltazione di tanti tifosi francesi, ha iniziato a cedere e perdere giorno dopo giorno il vantaggio che aveva accumulato. Thomas, probabilmente capendo che Bernal era più in forma di lui, ha lasciato che il giovane compagno facesse la sua corsa. Bernal quindi ha attaccato, dimostrandosi migliore di tutti in salita: anche di Pinot, che forse gli avrebbe tenuto testa, ma che si è dovuto ritirare per un problema muscolare. Bernal ha vestito la sua prima maglia gialla alla fine della 19ª tappa, tra l’altro sospesa prima del traguardo causa maltempo, e l’ha mantenuta nella 20ª, a sua volta accorciata per i problemi meteorologici che avevano reso impraticabili alcune strade. Queste due tappe sono state quindi in parte troncate, diventando meno difficili del previsto. Nonostante questo, sono bastate a Bernal per recuperare il suo svantaggio e difendere la maglia gialla fino alla 21ª tappa corsa ieri, con arrivo a Parigi.
Al secondo posto è arrivato Thomas, al terzo l’olandese Steven Kruijswijk. Alaphilippe, che nell’ultima tappa è arrivato tre minuti dopo Bernal, ha terminato il Tour al quinto posto in classifica generale. Il migliore degli italiani è stato Fabio Aru, che al rientro dopo un complicato problema fisico è arrivato 14º. Gli italiani hanno vinto tre tappe: con Matteo Trentin, Elia Viviani e Vincenzo Nibali, che in questo Tour non ha puntato alla classifica generale. La maglia a pois, che premia il miglior scalatore, è andata al francese Romain Bardet e la maglia verde, che premia la classifica a punti (e quindi spesso i velocisti), è andata allo slovacco Peter Sagan, che l’ha vinta per la settima volta. Grazie a Bernal il Team Ineos, il nuovo nome di quello che fino a pochi mesi fa era il Team Sky, ha vinto il suo settimo Tour de France in otto anni: il primo lo vinse con Bradley Wiggins, poi quattro con Chris Froome e uno con Thomas.
Wiggins, Froome e Thomas sono tutti e tre britannici (uno inglese nato in Belgio, uno cresciuto in Africa e uno gallese) e hanno molto in comune. Tutti e tre hanno infatti costruito una parte notevole delle loro vittorie a cronometro, dominando la corsa anche grazie a una squadra fortissima, capace di programmare ogni minimo dettaglio e di minimizzare i possibili imprevisti. In tutti e tre i casi i corridori erano arrivati alla vittoria nell’età della piena maturità sportiva, al termine di un calcolato processo di crescita all’interno della squadra.
La vittoria di Bernal è stata diversa: un po’ perché Bernal non è fortissimo a cronometro, e quindi ha dovuto attaccare in salita per recuperare terreno. Poi perché la sua squadra (che si chiama Ineos ma è fatta dalle stesse persone che facevano la Sky) si è dimostrata molto meno dominante e capace di controllare la corsa rispetto a quanto fatto dalle squadre di Wiggins, Froome e Thomas. Non si direbbe, visto che il Team Ineos ha finito il Tour con un corridore al primo posto e uno al secondo, ma ci sono stati diversi momenti in cui la squadra è sembrata molto più “attaccabile” che in passato. La vittoria di Bernal è arrivata alla fine, grazie agli attacchi negli ultimi giorni. Le vittorie dei suoi predecessori erano arrivate dominando quasi dall’inizio, limitandosi negli ultimi giorni a gestire la difesa.
Un’altra cosa che differenzia Bernal dai precedenti vincitori del Tour, suoi compagni e non, è la sua biografia. Bernalinfatti è nato a Zipaquirá, una città a circa 50 chilometri da Bogotà, a quasi tremila metri d’altitudine. Iniziò a correre a otto anni, in mountain bike, e tra il 2014 e il 2015 partecipò alle prime competizioni a livello mondiale. Al ciclismo professionistico su strada arrivò grazie a Gianni Savio – direttore sportivo piemontese, grandissimo conoscitore del ciclismo sudamericano – che lo mise sotto contratto per la sua squadra, la Androni Giocattoli-Sidermec. Savio ha raccontato che, oltre al suo già ottimo curriculum sportivo, fu convinto dalla serietà di Bernal – si dice che sia molto educato, più maturo della sua età – ma anche da alcuni suoi valori fisici notevoli. Di Bernal si dice per esempio che abbia eccellenti valori di VO2max, un dato che misura il massimo volume di ossigeno che un corpo può consumare in un dato periodo di tempo, e che più è alto più permette di sopportare certi sforzi in salita. Data l’altitudine a cui è cresciuto e vissuto per molti anni, Bernal è poi particolarmente a suo agio nelle strade che – come molte in cui si è corso in questo Tour – superano i duemila metri di altezza.
Bernal quindi ha scoperto il ciclismo professionistico correndo in Italia e vivendo in Piemonte: ma la Androni Giocattoli-Sidermec era una squadra relativamente piccola e, dopo alcuni buoni risultati nel 2016 e nel 2017, Bernal passò al Team Sky, che pagò alla squadra di Savio una sorta di ricompensa per averlo scoperto e formato. Fino a un mese fa, parlando di Bernal, si parlava della sua vittoria del 2017 al Tour de l’Avenir (il Tour dei giovani, riservato ai corridori con meno di 23 anni), delle sue vittorie alla Parigi-Nizza e ai giri di Svizzera e California; del suo 15° posto al Tour del 2018, corso facendo da gregario a Thomas e Froome.
Ora però Bernal ha vinto il Tour de France, la gara più importante di tutte. E più che della sua storia fin qui, si parla di quello che potrà fare da qui in avanti. Esagerando un po’, ma non troppo, Thomas – che da campione in carica si è messo al servizio del compagno senza mai fare una polemica – ha detto di lui: «Ha 22 anni, chissà quanti altri Tour può vincere. È il futuro, e quando io avrò 45 anni e sarò grasso e seduto al pub a guardargli vincere il suo decimo Tour, potrò dire di averlo aiutato dicendogli tutto ciò che sapevo».