Come ha fatto la Marvel
Ormai diamo quasi per scontato un successo che poco più di dieci anni fa era impensabile e che esiste grazie a una serie di scelte coraggiose e fuori dagli schemi
di Gabriele Gargantini
In poco più di dieci anni i Marvel Studios, uno studio cinematografico fondato per smistare i diritti della Marvel, una casa editrice di fumetti, sono riusciti a dar vita alla più imponente e fruttuosa serie di film della storia del cinema. In poco più di dieci anni i Marvel Studios hanno costruito una storia composta da più di 20 film e lunga più di 50 ore che ha portato incassi mondiali per oltre 20 miliardi di dollari; nel frattempo hanno rivoluzionato alcune fondamentali dinamiche del cinema, praticamente inventando il concetto stesso di “universo cinematografico“. Un’idea così di successo che in tanti hanno provato a ricreare, ma anche così ambiziosa che nessuno fin qui c’è riuscito in modo minimamente paragonabile.
Oggi può sembrarci normale che un film di supereroi sia l’evento cinematografico dell’anno e che una casa di produzione possa far uscire in modo sistematico almeno un paio di grandi blockbuster ogni 12 mesi. È la Marvel ad avere normalizzato questa cosa, perché tranne qualche rara eccezione fino a non molto tempo fa i film di supereroi sembravano aver annoiato il grande pubblico: erano addirittura «visti come il bacio della morte per un attore con ambizioni artistiche». Per capire la grandezza di quanto successo in questi anni, per il cinema e la cultura popolare, bisogna quindi tornare indietro a prima del 2008: quando chi era Tony Stark lo sapevano solo quelli che leggevano i fumetti.
Prima del 2008 i Marvel Studios erano una casa cinematografica indipendente – cioè non collegata a nessuna grande major – che si occupava perlopiù di gestire la concessione dei diritti per fare film su alcuni personaggi resi più o meno famosi dai fumetti della Marvel. Era stata fondata a New York nel 1939 e nel 1996 aveva dichiarato bancarotta. Dopo quella bancarotta la società se l’era vista brutta e aveva provato a vendere a Sony, per appena 25 milioni di dollari, i diritti per i film su moltissimi dei suoi personaggi, tra cui Iron Man, Thor e Black Panther. Sony rifiutò: le interessava solo Spider-Man.
I Marvel Studios erano quindi piccoli e inesperti, ma soprattutto non navigavano nell’oro. I diritti dei personaggi Marvel più famosi – come gli X-Men, i Fantastici 4 e Spider-Man – erano già stati venduti e bisognava quindi convincere le case cinematografiche a puntare su personaggi minori. L’idea della Marvel era far investire ad altri il denaro per produrre film sui propri personaggi, e guadagnarci in cambio un po’ di soldi in base agli incassi (si parla di percentuali non superiori al 5 per cento) e un po’ di altri soldi dalle vendite di giocattoli, gadget e fumetti sui personaggi protagonisti di quei film.
Insomma: gli anni dopo il Duemila non sembravano promettere bene per i supereroi che non fossero Superman o Spider-Man, e di certo non per la Marvel. Avi Arad, uno dei fondatori dei Marvel Studios, ha raccontato che in quegli anni «l’autostima dell’azienda era davvero molto bassa» perché «sembrava vecchia e i fumetti erano una cosa di nicchia». A partire dal 2003 i Marvel Studios riuscirono però a invertire chiaramente la rotta, e il merito fu soprattutto di due persone: David Maisel e Kevin Feige.
Maisel, laureato a pieni voti ad Harvard ed esperto di finanziamenti, era arrivato nel 2003 per lavorare come assistente di Arad. In poco tempo riuscì a convincere la proprietà a troncare ogni possibile accordo per far fare ad altri film sui personaggi Marvel, e iniziare a produrseli da soli. L’idea di Maisel implicava il fatto di rinunciare a alcuni soldi, e soprattutto di procurarsene molti altri: tutto questo quando, secondo diversi resoconti, i Marvel Studios sembravano sul punto di vendere alla Warner Bros. i diritti di Captain America e a Sony quelli di Thor. Maisel però riuscì a essere convincente: alla fine i Marvel Studios riuscirono a trovare finanziamenti per oltre 500 milioni di dollari, in gran parte dal gruppo bancario Merrill Lynch.
Feige, allora grande appassionato di cinema e discreto consumatore di fumetti con una quasi-venerazione per George Lucas, arrivò ai Marvel Studios per volere di Arad, che ne aveva apprezzato la dedizione mentre lavorava come co-produttore di alcuni film di supereroi dei primi anni Duemila. Feige, che negli anni avrebbe fatto carriera fino a diventare presidente dei Marvel Studios, si occupò in prima persona della preparazione e della produzione dei primi film Marvel. Soprattutto, fu il primo a pensare e credere alla possibilità di un “Universo Cinematografico Marvel”: un unico mondo che collegasse le storie di vari film così come erano collegate nei fumetti.
Partendo dall’approccio di Maisel e dai soldi che il collega era riuscito a racimolare, Feige prese da subito alcune decisioni fuori dagli schemi di Hollywood. Innanzitutto decise che i Marvel Studios avrebbero mantenuto il massimo controllo creativo sui loro film di supereroi e creò una sorta di direttorio di sei persone che avrebbero preso tutte le principali decisioni su quali film fare, che storie raccontare, e quali registi e quali attori chiamare. I Marvel Studios erano relativamente piccoli, ma volevano provare a fare tutto da soli, senza chiedere soldi ad altri produttori, che in cambio avrebbero potuto imporre le loro idee. Oltre allo stesso Feige, nel comitato c’erano persone che nella loro vita si erano occupate di fumetti e non di cinema.
Nel 2007 l’Universo Cinematografico Marvel ancora non esisteva ed era solo qualcosa di più o meno indefinito nella testa di Feige, che intanto stava iniziando a lavorare ai primi film da produrre. Non era un periodo propizio per i film di supereroi: sembravano funzionare solo raramente, solo se a dirigerli era un regista di assoluto livello come Christopher Nolan e se il personaggio era arcinoto come Batman (che insieme a Superman era ed è il personaggio di punta della concorrente DC Comics). Parlando di quel periodo, il regista Jon Favreau ha detto: «Alcune persone stavano dando l’estrema unzione a quel genere di film». Sui personaggi di cui la Marvel aveva ancora i diritti, qualcuno parlò di «fondo di un barile da raschiare».
Dal fondo di quel barile Feige tirò fuori Iron Man, il “supereroe” in cui si trasforma, diciamo, il ricchissimo e geniale imprenditore Tony Stark. Un personaggio di cui pochi anni prima i Marvel Studios erano stati a un passo dal vendere i diritti alla Fox, alla Universal e alla New Line Cinema (al punto che, scrive Polygon, forse «c’è una realtà parallela in cui Tony Stark è Tom Cruise»).
Feige scelse come regista Jon Favreau e come attore Robert Downey Jr., e furono due grandissimi azzardi. Favreau oggi è apprezzatissimo, ma allora era noto soprattutto per aver diretto il film Elf, una scarsa commedia con Will Ferrell, e non aveva mai lavorato a blockbuster d’azione sui supereroi. Downey Jr., che ora è tra le star più pagate al mondo, era un attore talentuoso ma dalla vita complicata e movimentata, e con cui era molto complicato lavorare. Il tutto per un film su un personaggio su cui nessuno aveva puntato fin lì: perché non abbastanza famoso e perché la sua storia non era considerata sufficientemente appassionante. A Feige però piaceva molto, perché lo riteneva uno dei pochi casi di supereroe in cui «il personaggio senza il costume [Tony Stark] è tanto interessante quanto il supereroe che diventa quando mette il costume [Iron Man]».
Jeff Bridges, uno degli attori di Iron Man, disse che sembrava «il film di uno studente, però con 200 milioni di dollari di budget». Eppure il film andò bene: incassò mezzo miliardo di dollari, fu uno dei film più visti dell’anno e soprattutto si fece apprezzare per alcune sue peculiarità. Roger Ebert scrisse per esempio che il personaggio di Tony Stark sembrava «creato partendo dalla personalità di Downey Jr.» e che si vedeva che Favreau non arrivava dai film d’azione, perché non succedeva che dopo un’ora e mezza di trama diventava tutto botte ed esplosioni.
Più che Iron Man, a far partire l’Universo Cinematografico Marvel fu però una breve scena dopo i titoli di coda di Iron Man. Feige ha raccontato che l’agente di Samuel L. Jackson lo chiamò per proporgli di mettere nel film il suo rappresentato e Feige – sapendo che una versione di un personaggio Marvel era stata ridisegnata ispirandosi proprio a Jackson – pensò a una scena in cui inserire un cameo di Jackson che interpreta Nick Fury, capo di una importante organizzazione dell’Universo Cinematografico Marvel. «Lo mettemmo a fine film per farlo vedere solo ai fan più sfegatati», ha detto Feige: «Non volevamo interrompere il film con una sua scena che a molti avrebbe fatto dire: “Perché diamine c’è Sam Jackson con una benda sull’occhio?”».
La cosa piacque, e piacque ancora di più quando alla fine dell’Incredibile Hulk, secondo film della serie, entrò in scena Tony Stark.
Feige ha spiegato che anche allora l’Universo Cinematografico Marvel era comunque una vaga idea, non un chiaro piano di azione: «L’obiettivo iniziale era fare due film che andassero bene, così da poterne fare altri più avanti». A un certo punto Feige iniziò a pensare di trovarsi in quella che ora conosciamo come la Fase 1 (delle 3 finora uscite) di un Universo Cinematografico e che comunque non voleva «fare solo una trilogia di Iron Man o una trilogia di Thor», perché «quella era l’idea che aveva condizionato le persone che fino a quel momento avevano provato a fare franchise», cioè serie di film tra loro collegati.
Nel 2009 Marvel fu comprata da Disney per quattro miliardi di dollari, e film dopo film i Marvel Studios si imposero sempre di più nel mondo del cinema. Feige ha raccontato che all’inizio dovette un po’ lottare con Disney, che su certe cose aveva idee molto diverse dalle sue. Disney, per esempio, voleva ambientare nel medioevo il primo film su Thor e far uscire Avengers – con molti importanti supereroi tutti insieme nello stesso film – prima di film interamente dedicati proprio a quei supereroi, per vedere chi funzionava e chi no. Feige insistette che era invece meglio far prima affezionare gli spettatori a ognuno di quei personaggi.
Disney e Marvel riuscirono comunque a trovare un equilibrio, con Disney che portava soldi e competenze e Marvel che manteneva una certa autonomia progettuale e decisionale.
Avengers uscì nel 2012: fu il primo film della serie a raccogliere davvero quanto seminato qua e là nei precedenti film sui singoli personaggi, e divenne il primo film dell’Universo Cinematografico Marvel a superare il miliardo di dollari di incassi mondiali. Era il sesto film della serie uscito nell’arco di quattro anni e fece capire che gli spettatori non ne erano per niente stanchi, anzi. Da allora, la storia è nota: dal 2012 a oggi sono usciti almeno due film all’anno dell’Universo Cinematografico Marvel. Avengers: Infinity War fu il primo film della serie a superare i due miliardi di incassi e Avengers: Endgame è da poco diventato, con due miliardi e 700 milioni di euro, il film dai maggiori incassi assoluti di sempre. Cinque dei dieci film con i più alti incassi di sempre sono dell’Universo Cinematografico Marvel, e 13 dei 23 film finora usciti sono tra i 100 più visti di sempre.
La bravura e la lungimiranza di Maisel e Feige, una serie di azzeccati azzardi iniziali e il notevole contributo della Disney spiegano però solo in parte come – partendo da un barile da raschiare e da un genere all’estrema unzione – la Marvel abbia tirato fuori il suo Universo Cinematografico da oltre 20 miliardi di dollari.
La questione è stata trattata anche da tre docenti universitari – Spencer Harrison, Arne Carlsen e Miha Škerlavaj – in un lungo articolo pubblicato dall’Harvard Business Review: “La macchina da blockbuster della Marvel“. Per provare a capire dove stia il segreto del successo dell’Universo Cinematografico Marvel, i tre hanno spiegato di aver analizzato centinaia di interviste, di aver digitalizzato e studiato le sceneggiature e lo stile visivo dei film e di aver esaminato quanto e come per tutti i suoi film la Marvel abbia collaborato con più di mille attori e più di 25mila membri della troupe. Hanno poi spiegato di aver trovato quattro «principi chiave», tutti basati sulla capacità di bilanciare «innovazione e tradizione». Detta così sembra un po’ lo slogan di un partito politico senza idee, ma la realtà è ben diversa.
Gli “esperti inesperti”
Nel cinema, scrivono i tre docenti, si ripete spesso la massima secondo la quale “i migliori indicatori dei risultati futuri sono i risultati passati”. Tradotto: se vuoi un blockbuster di successo, chiama un regista di blockbuster di successo. Marvel, da Favreau in poi, ha invece chiamato spesso registi che avessero qualcosa da insegnarle, con un passato nel cinema indipendente. «Non devi aver diretto un gigantesco film con effetti speciali per fare un gigantesco film con effetti speciali», ha detto Feige. Il presupposto di Marvel è stato: noi ce ne intendiamo di fumetti e supereroi, voi insegnateci altro. Marvel si è occupata quindi di gestire la coerenza e la linearità del suo universo narrativo, oltre che – anche grazie alla Disney – di fornire mezzi, assistenza e competenze logistiche. Ai registi è stato chiesto invece di portare qualcosa di loro, di rendere ogni film autonomo e originale.
Anthony Russo, uno dei registi degli ultimi due Avengers, ha detto: «Marvel non viene dicendoti “ecco, questo è il film che farai”, viene da te e dice “qual è il film che vuoi fare?”». In tutto questo Marvel riesce a fare film che sono chiaramente Marvel ma che, come scrisse Ty Burrell parlando di Black Panther sul Boston Globe, «sembrano il lavoro nato da una singola sensibilità individuale».
Una certa continuità
Per bilanciare le novità e le peculiarità che cerca di portare in ogni suoi film, Marvel deve anche mantenere una certa coerenza generale di stile e approccio. Non può, per ogni film, ripartire da zero: non ne avrebbe il tempo e sarebbe un rischio troppo grande.
I tre docenti hanno guardato quindi i nomi delle circa 30 persone più importanti delle troupe di ogni film dell’Universo Cinematografico Marvel e hanno notato che «in media, il 25 per cento dei membri di questo “nucleo principale” rimane da un film all’altro». La percentuale minima registrata dai tre docenti è stata del 14 per cento, quella massima del 68. Vuol dire che c’è sempre qualcuno che dalla lavorazione di un film passa alla lavorazione di un film successivo, e che quindi conosce il tipo di lavoro da fare e può aiutare i nuovi ad ambientarsi.
Sfidare la formula
Il problema di molti sequel è che spesso provano a ricreare il successo del primo film semplicemente aggiungendo o ingrandendo cose: dinosauri, inseguimenti, squali o esplosioni, a seconda dei film. La Marvel non avrebbe mai potuto reggere 23 film in questa maniera, ed è il motivo per cui, specie negli ultimi anni, si è vista un’alternanza di generi tra i film Marvel.
Come ha detto Feige, più che fare film di supereroi la Marvel cerca di fare film di rapine, film spaziali, film ambientati in un liceo, film di spionaggio; però con i supereroi. Dopo Black Panther e Avengers: Infinity War, due film imponenti, la Marvel scelse di far uscire Ant-Man and the Wasp, un film dalla portata minore, descritto dal regista come un «film crime». A film cupi si alternano film molto più allegri, e così via. È facile a dirsi; è meno facile riuscire a cambiare così tanto senza perdere una certa unità stilistica e, soprattutto, non è facile decidere di “cambiare genere” dopo che il film di un certo genere ha avuto un gran successo. Sempre Feige ha detto: «Appena le persone credono di averci capiti, noi facciamo qualcosa di diverso».
La fedeltà dei fan
È forse l’aspetto più determinante, e di certo il meno analizzabile. La forza della Marvel sta infatti in gran parte in come e in quanto sia riuscita a guadagnare la fiducia e la fedeltà di un gran numero di spettatori, che anno dopo anno hanno scelto di entrare nella grande storia del suo Universo Cinematografico. In questi anni la Marvel è riuscita nella difficile impresa di convincere milioni di spettatori di tutto il mondo a guardare un film dopo l’altro, sapendo che quei film erano solo una piccola parte di una storia molto più grande. Allo stesso tempo, però, ha fatto capire che guardare tutti i film non era fondamentale. Ha quindi saputo bilanciare molto bene i riferimenti ai fan sfegatati – che conoscono tutto e non si perdono un film – senza rischiare di perdere per strada gli spettatori occasionali.
La Marvel ha saputo fare tutto questo con una sorprendente costanza e coerenza, film dopo film (ormai non passano più di sei-sette mesi senza un nuovo film Marvel), senza mai perdere la rotta. Partendo quasi dal niente, la Marvel ha gestito una storia grande e complessa come mai prima nel cinema: ha dovuto far firmare agli attori contratti per comparire in dodici film; ha dovuto preparare piani B nel caso un attore volesse smettere di fare un ruolo; ha dovuto, per certi versi, educare il pubblico a un contesto narrativo nuovo, man mano che lo costruiva.
Molti pensano che Avengers: Endgame abbia rappresentato l’apice dell’Universo Cinematografico Marvel, e che da qui in poi si possa solo fare peggio. Bob Iger, CEO di Disney, ricorda a tal proposito che la Marvel ha ancora più di settemila personaggi da cui pescare per le sue prossime storie (e che niente le vieta di inventarsene di nuovi).
Feige una volta ha risposto a questi dubbi citando una frase che Walt Disney disse quando gli chiesero se la costruzione di Disneyland fosse terminata: «Finché c’è immaginazione, non sarà mai terminata». Sempre Feige una volta ha detto, meno prosaicamente: «Tutto ciò che c’è nei fumetti ha il potenziale per essere molto stupido. Ciò non vuol dire che non si possa provare a renderlo cool».