I sei che possono ancora vincere il Tour de France
Dopo 17 tappe è tutto ancora apertissimo, e le prossime tre – su e giù per le Alpi – saranno decisive
Poco più di trent’anni fa, il 23 luglio 1989, ci fu uno dei più grandi finali nella storia del Tour de France. Lo statunitense Greg LeMond lo terminò in 87 ore, 38 minuti e 35 secondi: otto secondi in meno del francese Laurent Fignon, che fino al giorno prima era primo in maglia gialla. LeMond riuscì a recuperare il suo distacco nell’ultima cronometro, vincendo con il minor margine nella storia del Tour. Quest’anno il Tour finirà, come ormai è tradizione, con la “passerella finale” di domenica: una tappa pianeggiante, da velocisti, con arrivo sugli Champs-Élysées. Ma prima di domenica – oggi, domani e sabato – ci saranno tre difficili tappe alpine e, comunque vada, anche quest’anno ci sarà un gran finale: perché i corridori con concrete possibilità di vincere il Tour de France sono ancora sei, e per ognuno c’è qualcosa che fa pensare che possa vincerlo e qualcos’altro che invece sembra giocare a sfavore.
Si fa presto a presentare le tre tappe alpine che stanno per arrivare al Tour de France: saranno tutte tappe di alta montagna, con ben più di una montagna per tappa. Ci saranno diverse migliaia di metri di dislivello, quattro salite hors catégorie (cioé così difficili da essere “fuori categoria”) e sei passi alpini sopra i duemila metri, compreso il Col de l’Iseran, che con i suoi 2.770 metri e il passo alpino con strada asfaltata più alto d’Europa. Per non farsi mancare niente, i corridori passeranno anche da salite storiche come l’Izoard e il Galibier. La tappa di oggi avrà un arrivo in discesa a Valloire, preceduto da molte salite; la tappe di venerdì avrà un arrivo in salita a Tignes e quella di sabato terminerà a Val Thrones, dopo 35 chilometri di ascesa.
Si fa molto meno presto a provare a capirci qualcosa su chi diamine potrà vincerlo, questo Tour. Tra il primo e il sesto in classifica ci sono infatti solo 134 secondi di distacco. Ma soprattutto il primo, al momento in maglia gialla, è quello che probabilmente avrà più problemi degli altri su tutte le salite che stanno per arrivare, e tra il secondo e il sesto ci sono 39 secondi di distacco. Può davvero ancora succedere di tutto, e molto di sicuro succederà: per la difficoltà del percorso, per il sostanziale equilibrio tra molti corridori, per il gran caldo e per le tante possibili tattiche e dinamiche che potranno entrare in gioco.
I sei che ancora possono vincere il Tour de France sono, in ordine di classifica: Julian Alaphilippe, Geraint Thomas, Steven Kruijswijk, Thibaut Pinot, Egan Bernal e Emanuel Buchmann.
Julian Alaphilippe
È francese, ha 27 anni, è noto per i suoi attacchi arrembanti e uno stile estroso – un po’ alla Peter Sagan, diciamo – e la cosa notevole è che due settimane fa il suo nome non era tra nessuna delle previsioni su chi avrebbe potuto vincere il Tour de France. Alaphilippe è forte, ma finora era stato forte soprattutto in gare di altro tipo: semplificando un po’, tappe con salite brevi e comunque corse di un giorno (e non, come il Tour, di tre settimane). Quest’anno per esempio ha vinto la Milano-Sanremo. In questo Tour ha ottenuto la maglia gialla nelle prime tappe, conservandola – con sorpresa di molti appassionati e addetti ai lavori – anche sulle difficili tappe pirenaiche, con salite lunghe, che richiedono resistenza più che l’esplosività necessaria per vincere una corsa come la Milano-Sanremo. In passato Alaphilippe aveva mostrato di sapersela cavare in montagna, ma non al punto di potersela giocare con gli uomini da classifica, abituati alla resistenza giorno dopo giorno. Insomma, Alaphilippe non salta fuori dal niente, ma non era mai stato forte come in questi giorni in tappe di questo tipo; probabilmente però non aveva nemmeno pensato di puntare alla maglia gialla, e quindi non ci aveva davvero provato.
Ora invece è lì, primo con un minuto e mezzo di vantaggio sul secondo. Nell’ultima tappa pirenaica, domenica scorsa, è stato staccato da alcuni avversari, ma ha comunque saputo gestire la situazione perdendo giusto qualche secondo. Molti pensano che non riuscirà a reggere alle tappe alpine che stanno per arrivare, ma è anche vero che molti pensavano che non avrebbe retto a quelle pirenaiche che sono già arrivate. Lui stesso dice della sua maglia gialla che è «appesa a un filo».
Quindi: Alaphilippe è primo ma è tutt’altro che favorito. Ed è quasi impossibile che vinca attaccando: una sua vittoria finale potrebbe arrivare se riuscisse a perdere pochi secondi ogni giorno, gestendo il suo vantaggio sui rivali. Dalla sua ha il fatto che non ha niente da perdere, perché il suo Tour già così è andato ben oltre ogni più rosea previsione. In più è francese e i francesi non vincono un Tour da più di trent’anni. Molti pensano però che a un certo punto si troverà senza energie, e che possa quindi perdere anche diversi minuti in una sola salita, mandando all’aria i sogni di gloria.
Geraint Thomas
È gallese, ha 33 anni e tra i sei è l’unico ad aver già vinto un Tour: un anno fa, nonostante il favorito fosse il suo compagno Chris Froome. Corre per la Ineos, la squadra che l’anno scorso si chiamava Sky, ed è esperto e analitico nel suo approccio alla corsa. Quest’anno è meno in forma dell’anno scorso, ma nell’ultima tappa dei Pirenei è comunque riuscito a recuperare qualche secondo su Alaphilippe. Se molti temono che la forma di Alaphilippe sia in calo, diversi osservatori ritengono invece che quella di Thomas possa essere in crescita. Dalla sua ha l’esperienza e una squadra che sa come si vince un Tour, perché ne ha vinti sei degli ultimi sette. Il problema è che non deve solo recuperare secondi su Alaphilippe, deve anche non farsene recuperare da quelli dietro di lui, alcuni dei quali sembrano averne più di lui in salita. Va anche detto che quest’anno la sua squadra è meno in palla rispetto al passato e che dentro la sua squadra si trova un compagno, Egan Bernal, che come lui potrebbe vincere il Tour, e fare a lui quello che lui l’anno scorso fece a Froome. È una situazione tattica intrigante e intricata.
Steven Kruijswijk
È olandese, ha 32 anni e non ha mai vinto un Tour, un Giro o una Vuelta; non è mai nemmeno arrivato sul podio. Ci è però andato vicino più di una volta: come nel 2016, quando al Giro era in maglia rosa ma, messo sotto pressione da un attacco di Vincenzo Nibali, finì contro un muro di neve. Contro una ipotetica vittoria di Kruijswijk c’è quindi il fatto che, per una ragione o per l’altra, nella sua carriera non ha mai vinto corse davvero importanti: però è un ottimo scalatore, capace di grande regolarità e tenuta anche in altitudine e, in certi casi, di coraggiosi attacchi da lontano. Corre tra l’altro per la squadra fin qui migliore, la Jumbo-Visma, che per il suo uso della tecnologia applicata allo sport ha ricevuto i complimenti di Tim Cook, CEO di Apple. Kruijswijk non è un corridore da scatti fulminei, ma di certo ha tenuta ed esperienza, e probabilmente preferisce rischiare quel che può per provare a vincere invece di accontentarsi di un buon piazzamento. Di recente ha detto: «Finché la maglia gialla sarà una possibilità, ci proverò».
Thibaut Pinot
Ha 29 anni, è francese e arrivò terzo al Tour de France del 2014. È un ottimo scalatore – uno dei migliori in attività, e il migliore nelle tappe pirenaiche di questo Tour – e l’inerzia degli ultimi giorni è dalla sua, perché ha guadagnato su tutti e ha anche vinto la tappa con arrivo sul Tourmalet. Pinot è francese, è in forma, va forte in salita e non ha paura di attaccare. Ma anche lui ha i suoi problemi: il primo è che è noto per soffrire il caldo più di altri (al punto che la sua squadra gli ha consigliato di mettersi una sauna in casa, per abituarsi), il secondo è che in molti casi si è dimostrato cagionevole di salute (l’anno scorso finì una tappa del Giro in ospedale, perché disidratato e con febbre alta) e, dicono alcuni, non particolarmente forte mentalmente. Stanno per arrivare giorni in cui farà un gran caldo e in cui le pressioni su Pinot saranno tante, perché – come detto – sono più di trent’anni che un francese non vince il Tour de France. Riguardo alla salute: un corridore che corre il Tour de France ha un fisico tirato al massimo, con conseguenti scarse difese immunitarie. Un paio di anni fa il Wall Street Journal raccontò in un articolo che «la sostanza più usata al Tour è il disinfettante per mani». Di Pinot si dice che sia particolarmente predisposto ad ammalarsi e che, sapendolo, la sua squadra è particolarmente puntigliosa nelle precauzioni necessarie: come coprirlo subito dopo l’arrivo e addirittura disinfettare le stanze in cui dorme, comprese le maniglie delle porte.
Un’altra cosa da sapere su Pinot è che un tipo piuttosto restio alla fama e alla vita mondana: vive sui Vosgi, in una casa con capre e pecore (aveva anche un lama, ma non si trovava bene con le capre e allora l’ha regalato a dei vicini).
Egan Bernal
È colombiano, è compagno di squadra di Thomas alla Ineos ed è il più giovane dei sei: ha solo 22 anni. Al Tour di un anno fa, la sua prima grande corsa a tappe, si mise con gran dedizione al servizio di Thomas e riuscì anche ad arrivare 15° in classifica generale. Quest’anno si può addirittura giocare la maglia gialla, ma bisogna capire cosa intende fare la Ineos. Bernal fin qui è stato uno dei pochi a riuscire a reggere, almeno per un po’, agli attacchi di Pinot, ed è anche andato un po’ meglio di Thomas. È un fortissimo scalatore, è abituato alle altitudini, quest’anno ha vinto due importanti corse a tappe di una settimana e ha notevoli capacita di resistenza (il suo VO2max, che misura il massimo volume di ossigeno che un corpo può consumare in un dato periodo di tempo, è davvero notevole). Ma anche lui in questo Tour ha avuto momenti di leggera difficoltà e c’è da vedere come se la caverà con la fatica fisica e nervosa che si accumula dopo tre settimane di Tour de France corso al vertice.
Nei prossimi tre giorni Bernal e Thomas potrebbero collaborare, oppure provare attacchi incrociati per mettere in crisi gli avversari, oppure dimenticare di essere compagni e correre ognuno per sé. È impossibile sapere cosa succederà, perché dipende da come si sentiranno uno e l’altro, da cosa faranno gli altri e da quanto e come uno dei due potrebbe eventualmente accettare di mettersi al servizio dell’altro. Fin qui, per carriera e precedenti, Thomas ha avuto la priorità; ma le cose potrebbero cambiare.
Emanuel Buchmann
Ha 26 anni, è tedesco e se seguite il ciclismo solo ogni tanto potreste non averne mai sentito parlare, perché fin qui non ha ottenuto grandissime vittorie e non è nemmeno mai arrivato tra i primi dieci di una grande corsa a tappe. Però, zitto-zitto, è lì, a poche decine di secondi da Thomas e a meno di due minuti da Alaphilippe. Quest’anno ha però dimostrato di saper reggere bene in salita e in questo Tour è quasi sempre riuscito a rimanere con i migliori. È difficile immaginarselo che recupera secondi su tutti quelli che lo precedono, ma è anche vero che è quello che sarà meno marcato stretto, e potrebbe quindi riuscire ad avvantaggiarsi delle varie situazioni che si verranno a creare, sempre che le gambe reggano. Per vincere deve sperare che qualcuno davanti a lui incappi in acciacchi e giornate no, e poi attaccare, sperando che gli altri non gli vadano dietro, curandosi a vicenda. Il recente Giro d’Italia è stato, in parte, vinto così.