Costruire dei robot è un conto, venderli è un altro

Boston Dynamics, la società nota per quei video virali dei suoi robot, ha deciso di metterli sul mercato: sarà interessante vedere se avrà successo

Mark RALSTON / AFP
Mark RALSTON / AFP

Se in questi ultimi anni avete visto online un video di robot fare cose sorprendenti e a volte anche un po’ inquietanti, quasi di sicuro era un video di Boston Dynamics. In questi anni si sono infatti visti su internet, spesso anche sul Post, video dei loro robot che corronosaltano, impugnano e manipolano oggettiinteragiscono con cani coraggiosi, aprono porteaprono porte nonostante qualcuno provi a impedirglielo, trainano camionfanno salti mortali e ballano. Robot con ruote, robot bipedi, robot a quattro zampe: tutti che si muovono con notevole agilità, anche su terreni sconnessi e in ambienti complessi, anche quando qualche coraggioso dipendente di Boston Dynamics prova di proposito a farli cadere.


Insomma, nel complicatissimo campo dell’ingegneria robotica, Boston Dynamics se la sta cavando molto bene e i suoi video – che su YouTube sono più di trenta – sono stati visti e condivisi milioni di volte. Ma una società che eccelle nel complicatissimo mondo dell’ingegneria robotica costa molti soldi e non può accontentarsi di questo: a un certo punto dai video virali bisogna passare al mondo reale. Boston Dynamics, che esiste da più di 25 anni e finora non l’ha praticamente mai fatto, dovrà provarci da qui in poi, e visto quanto è famosa quello che succederà sarà molto importante per il futuro, almeno a breve-medio termine, della robotica.

In un recente articolo sul futuro di Boston Dynamics, The Vergeha scritto che il settore della robotica è «notoriamente spietato» e che negli anni svariate società sono fallite perché per fare robot bisogna avere tantissimi soldi e un’elevatissima competenza, ma soprattutto tanta pazienza per lavorare in un settore dalle prospettive molto grandi seppure per ora ipotetiche. Boston Dynamics è quindi da considerarsi una rarità ed è sopravvissuta perché, come ha sintetizzato Quartz, «è passata da fare robot che sembravano bambini ubriachi a fare robot che sembrano scattanti ninja».


Boston Dynamics fu fondata nel 1992 da un gruppo di ricercatori del MIT, il Massachusetts Institute of Technology (Stati Uniti). Nel 2013 fu acquisita da Alphabet, la holding di Google, che però nel giugno 2017 la vendette al grande gruppo giapponese SoftBank per una cifra non resa pubblica. Negli anni l’azienda non ha avuto denaro solo da Google e SoftBank ma anche, tra gli altri, dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti (che ha rifiutato BigDog, uno dei robot di Boston Dynamics, perché ritenuto troppo rumoroso).

Si trattava però di finanziamenti per la ricerca e lo sviluppo dei robot, non di veri e propri acquisti. «Siamo stati nella fase di Ricerca e Sviluppo per molto tempo, lavorando a più non posso per fare robot che assomiglino a quello che la gente pensa dovrebbe essere un robot», ha detto Raibert. Erik Nieves, fondatore della società di automazione Plus One Robotics, ha detto più o meno la stessa cosa, ma con meno giri di parole: «Prendevano soldi dal governo e da Google, non avevano una vera missione, dovevano solo essere fighi».

Al momento i robot di Boston Dynamics sono di sette tipi e la principale prerogativa dei più interessanti è la mobilità: una cosa che, scrive The Verge, è sfuggita a quasi tutti i robot del passato, che erano magari resistenti, ma goffi nei movimenti al punto da incagliarsi al minimo ostacolo. Come ha detto Hod Lipson, docente di ingegneria della Columbia University: «Pensiamo che saper giocare a scacchi sia un gran cosa, ma ancora di più lo è riuscire a coordinare centinaia di muscoli». Non a caso, la maggior parte dei robot usati oggi sono prevalentemente statici e perlopiù usati nei magazzini o nelle catene di montaggio. Qualcosa passa loro davanti e, spesso con un braccio meccanico, svolgono un incarico che in genere è costante e piuttosto ripetitivo.

Boston Dynamics ha piani di altro tipo. Il robot su cui intende infatti puntare la società nel prossimo futuro è Spot, un robottino a quattro zampe alto 84 centimetri e pesante una trentina di chili. Insieme ad Atlas, un robot bipede e umanoide, Spot è il più agile e sorprendente, quello i cui video hanno finora avuto più successo. Spot è anche il robot che da qualche anno Raibert porta in giro per il mondo, spesso a eventi e conferenze tecnologiche, facendolo saltare, correre e ballare. Raibert ha spiegato a The Verge di voler fare con Spot, e in seguito con Atlas e gli altri robot della società, quello che Android ha fatto con gli smartphone. Vuole cioè che Spot diventi una «piattaforma personalizzabile» sulle quale diversi clienti possano apportare le necessarie modifiche di software o hardware, aggiungendo o togliendo funzionalità a seconda delle loro esigenze.

Spot (Boston Dynamics)

Secondo i piani attuali, Spot sarà quindi venduto solo ad aziende o enti pubblici che, magari ordinando più di un robot, potranno richiedere o apportare le necessarie personalizzazioni, che potranno riguardare bracci meccanici capaci di impugnare, sollevare e spostare diversi tipi di oggetti, sensori, telecamere di diverso tipo o strumenti per comunicare con Spot.

Dopo averne parlato con Raibert, The Verge ha scritto che gli Spot di Boston Dynamics potranno essere usati nei cantieri, nei magazzini e anche come strumenti di sorveglianza. The Verge ha anche chiesto a Raibert se c’è qualcuno a cui non venderebbe gli Spot, «per esempio la polizia o l’esercito» e lui ha risposto che è una questione complicata ma che è «entusiasta di ogni uso responsabile dei robot».

La vendita ai singoli privati sembra al momento non interessare Boston Dynamics e per ora non si sa quanto costerà Spot, né c’è una data precisa per l’inizio della sua commercializzazione. Quando ne parla, Raibert dice che succederà «a breve». Ad aprile Raibert aveva detto che l’obiettivo è arrivare a produrre almeno 100 Spot entro il 2019; a maggio aveva detto di aver pronti 50 Spot in versione beta e di puntare a produrne 1.000 all’anno. Ma nel settore tecnologico e in particolare nel contesto della robotica, questi annunci vanno presi con le pinze. Come fa notare il sito Futurism, già in passato Raibert aveva fatto annunci poi non mantenuti.

Nel frattempo, alcuni robot più semplici e su ruote prodotti da altre società già vengono usati per sorvegliare grandi spazi. I pro sono che i robot risultano meno costosi di un dipendente umano e possono essere usati per compiti particolarmente noiosi o pericolosi, o in luoghi isolati od ostili, come una piattaforma petrolifera in mezzo al mare o una centrale nucleare. Il contro è che non sempre sono efficientissimi, come quella volta in cui un robot usato per la sorveglianza di un complesso di edifici a Washington DC finì in una fontana mentre stava compiendo uno dei suoi giri di ronda.

Boston Dynamics non è comunque l’unica società nel settore dell’ingegneria robotica: tra le più promettenti ci sono la cinese Unitree Robotics, la statunitense Ghost Robotics e la svizzera ANYbotics, il cui prodotto più famoso si chiama ANYmal. Chi si occupa di queste questioni, concorda sul fatto che la presenza di più società sia un buon segno, perché aiuta a legittimare un settore di cui si sa poco e in cui le aziende devono avere il coraggio di investire. Per ora i robot esistono e funzionano quando si tratta di dover automatizzare qualche processo industriale, la sfida dei prossimi anni sarà farli esistere anche in altri contesti che richiedano capacità di movimento, interazione e, per certi versi, improvvisazione.


Tra i suoi prodotti, Boston Dynamics ha Pick, un robot che non si muove e che consiste solo in un braccio meccanico, ma punta molto anche su Handle, un robot di 2 metri e 100 chili montato su ruote che si può quindi spostare dove gli pare. Handle ha molte più potenzialità, ma sarà più caro e presenta una serie di problemi: il fatto che abbia una batteria e che vada quindi caricato e il fatto che il suo braccio meccanico, sostenuto da ruote e quindi non ben fissato al suolo, possa sollevare e spostare solo certi pesi e certi oggetti.


Erik Nieves, il fondatore di Plus One Robotics, ha detto a The Verge, a proposito di Handle: «È come giocare a Tetris in 3D, in tempo reale e metà delle cose che ci sono da spostare non sono nemmeno rigide. Sono convinto che Handle, così com’è fatto al momento, non entrerà mai in un magazzino». Raibert ha commentato la cosa dicendo che in effetti la tecnologia alla base di Handle è ancora da svilupparsi e che per ora non ci sono piani per una sua imminente commercializzazione, ma che le sue potenzialità sono comunque «enormi».

Più in generale, ci sono poi le critiche di quelli che ritengono che in molti casi i robot siano solo una moda che passerà. Gli economisti Daron Acemoglu e Pascual Restrepo hanno per esempio parlato della cosiddetta «automazione così-così», con riferimento ai contesti in cui tecnologia e robotica non portano un effettivo e concreto miglioramento rispetto al lavoro umano, ma solo un risparmio per chi deve comprare robot anziché pagare dipendenti. Raibert ha detto: «Penso che i robot cambieranno le nostre vite in meglio. Penso che aumenteranno la produttività e penso che libereranno le persone da ciò che è noioso, sporco o pericoloso. Sarebbe terribile vedere che una grande opportunità tecnologica come questa venga sprecata a causa della paura dei possibili effetti negativi».