25 anni fa osservammo una cosa mai vista
Shoemaker-Levy 9 fu la prima cometa a essere osservata durante la sua caduta su un pianeta – Giove – dove causò la formazione di colossali macchie scure
Stipata con una decina di altri colleghi davanti al monitor di un computer in una saletta dello Space Telescope Science Institute di Baltimora (Stati Uniti), l’astronoma Heidi Hammel attendeva che sullo schermo si formasse la prima immagine di una cosa mai osservata prima nel nostro Sistema Solare. Era il 16 luglio del 1994 e un frammento della cometa Shoemaker-Levy 9 stava per schiantarsi nell’atmosfera di Giove. Il telescopio spaziale Hubble era stato sincronizzato per fotografare la zona prevista dell’impatto, con l’ambizioso obiettivo di osservare direttamente per la prima volta gli effetti di una collisione tra due corpi celesti fuori dall’orbita terrestre.
Dopo qualche minuto, sul monitor iniziò a formarsi l’immagine che stavano attendendo i ricercatori. Hammel notò un punto più chiaro, lo indicò e chiese se quella potesse essere una delle lune del grande pianeta, forse Io. Un collega aprì un almanacco per controllare se in quel periodo, e da quella angolazione, fossero visibili lune in quella zona di Giove: “No, nessuna luna!”. Il punto di luce era quindi il segno di uno dei frammenti della cometa, e quando arrivò la seconda immagine non ci furono più dubbi. Mostrava una gigantesca colonna di polveri e gas che si era sollevata per migliaia di chilometri sopra le nuvole che ricoprono Giove.
Nella saletta insieme ai ricercatori c’era anche una troupe del National Geographic, che stava raccogliendo materiale per un documentario sugli asteroidi. Riprese l’esatto momento in cui videro le prime immagini dell’impatto sullo schermo, e il momento in cui lo annunciarono nel corso di una conferenza stampa. Nel frattempo, altri osservatori in giro per il mondo e alcune sonde spaziali avevano puntato i loro strumenti verso Giove, raccogliendo dati e scattando immagini.
I ricercatori erano entusiasti non solo per il risultato raggiunto, con un’osservazione senza precedenti, ma anche per ciò che li attendeva. Il frammento di Shoemaker-Levy 9 che aveva colpito Giove era infatti relativamente piccolo, ma erano previsti per i sei giorni seguenti diversi altri impatti, con pezzi più grandi della cometa che avrebbero consentito di scattare immagini ancora più accurate, e spettacolari, del pianeta.
Shoemaker-Levy 9 era stata scoperta nel 1993 dagli astronomi Carolyn e Eugene M. Shoemaker con David Levy, mentre erano impegnati nel loro lavoro di ricerca di corpi celesti la cui orbita avrebbe potuto intersecare a un certo punto quella terrestre (“oggetti near-Earth”). Analizzandola, gli Shoemaker e Levy si accorsero che la loro cometa aveva qualcosa di insolito: invece di essere in orbita intorno al Sole, seguiva un percorso orbitale intorno a Giove. I ricercatori calcolarono che la cometa avesse orbitato intorno al Sole fino ai primi anni Settanta e che in seguito fosse finita sotto l’influenza gravitazionale di Giove, cambiando il suo percorso.
L’analisi dell’orbita di Shoemaker-Levy 9 rivelò qualcosa di ancora più interessante, se non entusiasmante, per gli astronomi. La cometa continuava ad avvicinarsi a Giove ed era destinata a collidere col pianeta nel luglio del 1994. Era inoltre costituita da 21 frammenti di varie dimensioni, che in fila seguivano la stessa traiettoria. Alcuni pezzi della cometa avevano il diametro di qualche centinaio di metri, mentre il più grande raggiungeva una larghezza massima di circa 2 chilometri.
Per mesi gli astronomi lavorarono per perfezionare i loro calcoli e le previsioni sui giorni e l’area dell’impatto di Shoemaker-Levy 9 su Giove, per non perdere un’occasione unica. Poi tararono e puntarono i loro strumenti, come il telescopio spaziale Hubble, verso la zona prevista per l’impatto e con l’ulteriore complicazione che sarebbe avvenuto in un punto non visibile dalla Terra.
Il primo impatto avvenne alle 22:13 (ora italiana) del 16 luglio 1994, quando il “frammento A” entrò in collisione con l’emisfero sud di Giove a una velocità di circa 216mila chilometri orari. La veloce rotazione del pianeta rese visibili pochi minuti dopo gli effetti dell’impatto a Hubble e agli altri telescopi: nell’atmosfera di Giove si era formata una gigantesca macchia nera larga 6mila chilometri, pari più o meno al raggio della Terra.
L’osservazione fu ancora più spettacolare dal punto di osservazione della sonda spaziale Galileo della NASA, che in quel periodo si trovava a circa 240 milioni di chilometri da Giove, con un orientamento ideale per osservare direttamente l’impatto della cometa. I suoi strumenti rilevarono una gigantesca palla di fuoco che raggiunse una temperatura di 23.700 °C, altissima se confrontata con le temperature medie degli strati più esterni di Giove di solito intorno ai -143 °C; la colonna di fumo generata dall’impatto raggiunse un’altezza di 3mila chilometri.
La collisione di uno dei frammenti della cometa in basso a sinistra, con la luna Io in alto a destra
Nei giorni seguenti furono osservati altri 21 impatti, il più grande dei quali avvenne il 18 luglio con la formazione di una macchia scura con un diametro di 12mila chilometri. Secondo i ricercatori, l’impatto sprigionò un’energia equivalente a quella di 6 milioni di megatoni di TNT, pari più o meno a 600 volte la capacità dell’intero arsenale nucleare sulla Terra. Le tracce causate dalla collisione rimasero visibili per diversi mesi e osservabili anche con telescopi poco potenti dalla Terra.
Giove è il pianeta più grande del Sistema solare: ci vorrebbero 11 pianeti come il nostro messi in fila per coprire il suo diametro, e ne servirebbero 300 per ottenere una massa pari alla sua. Il pianeta non è però roccioso come la Terra: è una gigantesca palla di gas formata per lo più da idrogeno ed elio (e questo spiega in parte le esplosioni innescate dall’impatto dei frammenti della cometa). Le sue dimensioni suggeriscono che fu il primo pianeta a formarsi nel Sistema solare, quando inglobò gli avanzi dei gas che avevano costituito il Sole. Giove impiega 12 anni per compiere un giro intero intorno al Sole e gira velocissimo su se stesso: un giorno da quelle parti dura appena 10 ore.
Lo studio degli effetti di Shoemaker-Levy 9 su Giove permise agli astronomi di comprendere meglio le caratteristiche del pianeta, e più in generale la fisica degli impatti tra corpi celesti. Furono compresi meglio i movimenti atmosferici più esterni, mentre l’analisi dei materiali emessi nella colonna di gas permise di comprenderne più accuratamente la composizione.
La fine in grande stile di Shoemaker-Levy 9 permise inoltre di capire meglio cosa succede quando un corpo celeste impatta contro un pianeta, come avvenne in passato alla Terra e come potrebbe succedere ancora. Venticinque anni fa, i ricercatori ebbero la conferma più concreta e tangibile degli effetti di un impatto planetario, e del fatto di quanto siano una minaccia reale anche per la Terra. Dopo la scoperta di Shoemaker-Levy 9, la NASA e altre agenzie spaziali rinnovarono il loro impegno per la ricerca e la catalogazione degli oggetti near-Earth, per identificare quelli più a rischio e non fare la fine dei dinosauri.