Quante volte avete visto questo posto?
Come uno sfondo per il desktop e Instagram hanno portato milioni di persone a scoprire l'Antelope Canyon in Arizona, e hanno cambiato il contesto intorno
Nel nord dell’Arizona, a pochi chilometri dal confine con lo Utah, c’è un posto che chiunque di noi ha visto riprodotto decine di volte su sfondi del desktop, copertine di riviste, pubblicità di televisori e soprattutto post su Instagram: si chiama Antelope Canyon ed era praticamente sconosciuto fino a una decina di anni fa, quando una serie di eventi – una “tempesta perfetta” – lo ha reso una delle attrazioni più visitate dell’Ovest degli Stati Uniti. È uno stretto e piccolo canyon dove la luce filtra dall’alto, delimitato da pareti che in certi orari precisi si tingono di colori accesi ed estremamente fotogenici, e attraversato annualmente da circa 4 milioni di persone.
Vox ha raccontato la storia dell’ascesa dell’Antelope Canyon, e soprattutto come ha cambiato Page, la piccola città dalla quale passano tutti i turisti che lo visitano, e della comunità di nativi americani che possiede e gestisce quella porzione di Stati Uniti. In un certo senso, il canyon è forse il più lampante esempio al mondo di come Instagram ha cambiato il modo in cui facciamo i turisti e quello in cui scopriamo e ci rapportiamo alle bellezze naturali: quando si visita l’Antelope Canyon, per esempio, la prima cosa che le guide Navajo dicono ai turisti è quale filtro impostare sullo smartphone per tornare a casa con delle foto più riuscite.
L’Antelope Canyon fu creato dal vento, dall’acqua e dalla sabbia circa 190 milioni di anni fa, e sorge su un pezzo di terra che oggi prende il nome di Nazione Navajo, una riserva autogovernata istituita nel 1868 che con i suoi 70mila chilometri quadrati è la più grande di tutti gli Stati Uniti. Un tempo quasi nessuno sapeva dell’Antelope Canyon, che per anni è stato frequentato soltanto dagli abitanti del posto, compresi gli adolescenti che andavano a farci le feste il sabato sera. Il primo a capire le potenzialità commerciali del posto fu un uomo Navajo di nome Rick Begay, che negli anni Settanta aiutò una turista europea in cerca di «un canyon illuminato magicamente»: Begay capì che poteva creare un business accompagnando la gente nel canyon, e lo fece. La sua società esiste ancora oggi e insieme a un pugno di altre agenzie gestisce interamente le visite all’Antelope Canyon, che vanno prenotate con settimane se non mesi di anticipo.
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Dopo che nel 1997 11 escursionisti morirono per un allagamento fulmineo in una sezione del canyon, infatti, la Nazione Navajo trasformò l’area in una zona protetta a cui è possibile accedere soltanto se accompagnati dalle guide locali. Da due anni le agenzie devono essere controllate a maggioranza da persone Navajo: fino a tutti gli anni Duemila, però, il canyon rimase un’attrazione di nicchia, anche perché si trova a poche decine di chilometri da mete popolarissime come il Grand Canyon, Horseshoe Bend, il Bryce Canyon e il parco nazionale di Zion.
Page, la piccola e tranquilla città di 8.000 abitanti a pochi minuti di auto dal canyon, era però già una meta frequentata, seppur principalmente di passaggio: era infatti la città più vicina al lago Powell, un bacino artificiale molto popolare soprattutto per gli americani dell’Ovest degli Stati Uniti, che per decenni lo hanno frequentato nei weekend e nelle vacanze estive. Da alcuni anni però il turismo al lago è calato per via delle gravi siccità che ne hanno ridotto la portata d’acqua. Ma l’afflusso di visitatori a Page non si è interrotto, anzi: più o meno contemporaneamente, infatti, e nel giro di pochissimo tempo, l’Antelope Canyon è diventato una specie di miniera d’oro.
Nel 2002 la cantante Britney Spears ci girò un pezzo del video di “I’m Not A Girl, Not Yet A Woman”, rendendolo familiare a molti, ma la vera svolta arrivò nel 2009, quando il sistema operativo Windows incluse una foto del canyon tra quelle disponibili per gli sfondi dei desktop, portandolo immediatamente nelle case e negli uffici di centinaia di milioni di persone e rendendo l’immagine dei raggi di luce che filtrano attraverso le rocce brune una scena famosissima e riconoscibile.
Oggi prendere parte a uno dei tour che conducono i turisti nel canyon costa tra i 60 e gli 80 dollari, a seconda dell’orario: la più richiesta è la fascia che va dalle 11.30 alle 12.15 delle giornate tra la fine della primavera e l’autunno, quando i raggi di luce filtrano attraverso l’apertura superiore del canyon creando giochi di luce resi famosi anche da una fotografia in bianco e nero che fu venduta per 6,5 milioni di dollari. Da allora l’afflusso di turisti è sempre cresciuto, ma negli ultimi anni il turismo all’Antelope Canyon è cambiato ancora: per via di Instagram.
Come ha spiegato Rebecca Jennings di Vox, l’Antelope Canyon è un posto in cui è facilissimo fare delle foto pazzesche. Non ci sono intralci, dovunque ti giri si vedono rocce bellissime, e quindi è difficile fare foto brutte. L’unica cosa a cui fare attenzione è evitare di inquadrare le altre persone del proprio gruppo che stanno facendo la stessa cosa. Le agenzie seguono orari prestabiliti per evitare di affollare eccessivamente il canyon, che si raggiunge con una semplice passeggiata senza doversi arrampicare, rendendolo accessibile a chiunque.
Come prima cosa, arrivati sul posto, le guide consigliano di impostare sugli iPhone il filtro “Vivido (toni caldi)” per catturare al meglio il colore delle rocce, e indicano lungo il breve percorso gli scorci più fotogenici, davanti ai quali si forma puntualmente una colonna di persone che aspettano di scattare la propria foto. In realtà, spesso molti cedono direttamente il proprio telefono alla guida – le guide stesse a volte li tirano via dalle mani dei turisti – perché scatti la foto al posto loro. Le guide dedicano poche attenzioni alle informazioni sulla storia geologica del posto e su cosa rappresenta per la comunità Navajo, e quasi tutto nella visita ruota intorno alle foto.
Curiosamente, Page è anche la città più vicina a un posto che ha caratteristiche simili: l’Horseshoe Bend, un’ansa spettacolare del fiume Colorado, che parallelamente all’Antelope Canyon è diventata una meta frequentatissima e ritratta in migliaia e migliaia di foto tutte uguali pubblicate quotidianamente su Instagram. I milioni di turisti sono stati attirati anche dalle foto condivise sui social da molti influencer più o meno importanti, dalla modella Kendall Jenner in giù. Nel 2018 la società di cosmetici Glossier ha addirittura costruito una replica del canyon nella propria boutique di Los Angeles, perché i clienti si scattassero dei selfie.
We went to the @glossier canyon today! pic.twitter.com/wYxppHGi90
— erin mallory long (@erinmallorylong) June 7, 2018
L’enorme afflusso di turisti a Page e nella Nazione Navajo ha creato grandi opportunità di lavoro e contemporanee tensioni, come è capitato negli ultimi decenni a moltissimi posti nel mondo che per un motivo o per l’altro sono diventati teatro del turismo di massa. Il nord dell’Arizona è una zona poco abitata, con un pugno di centri urbani per un’area sterminata e quasi interamente povera e desertica, dove per centinaia di chilometri non c’è segnale sul cellulare (nemmeno a Page, sostanzialmente), eppure visitata da milioni e milioni di persone ogni anno per via dei parchi naturali tra i più belli degli Stati Uniti. Per questo, buona parte dei turisti che visitano l’Antelope Canyon si ferma a dormire nei molti hotel, motel e resort di lusso nati negli ultimi anni a Page, visto che le città più vicine sono a decine di chilometri di distanza.
A rendere un po’ più complicate le cose, a Page, ci fu il fatto che le poche agenzie locali non erano pronte a gestire l’enorme afflusso di turisti, hanno raccontato diverse persone del posto a Vox, e la Nazione Navajo ci mise qualche anno a capire che erano necessarie delle limitazioni per gestire la quantità di persone che volevano visitare l’Antelope Canyon. Oggi, racconta Vox, è in corso un vivace dibattito nella comunità Navajo su quale sia il modo migliore per costruire un’infrastruttura turistica adeguata che rispetti però l’identità dei nativi americani che abitano queste terre e che sia sostenibile dal punto di vista ambientale.