• Domenica 14 luglio 2019

Il viaggio dell’Apollo 11

Come la NASA riuscì a mandare tre persone sulla Luna e farle tornare indietro, spiegato passo passo

di Raffaella Tallarico

Il Saturn V nelle fasi preparatorie della missione Apollo 11, nel 1969 (Space Frontiers/Getty Images)
Il Saturn V nelle fasi preparatorie della missione Apollo 11, nel 1969 (Space Frontiers/Getty Images)

Il 16 luglio del 1969 circa un milione di persone con binocoli e macchine fotografiche affollò le spiagge nei pressi del Kennedy Space Center, in Florida, per assistere al lancio dell’Apollo 11, l’ambiziosa missione per portare i primi esseri umani sulla Luna. Approvato dal Congresso statunitense otto anni prima, il programma spaziale della NASA aveva superato dieci missioni preparatorie, con uno sforzo economico e umano senza precedenti nella storia delle esplorazioni spaziali. In cima al razzo, nella loro capsula spaziale, gli astronauti Neil Armstrong, Michael Collins ed Edwin “Buzz” Aldrin attendevano la fine del conto alla rovescia per la partenza.

Il presidente John Kennedy, promotore al Congresso del programma Apollo, era stato ucciso sei anni prima; alla guida del paese c’era Richard Nixon, che quel giorno avrebbe seguito l’evento alla televisione – come milioni di altre persone in giro per il mondo – dallo Studio Ovale della Casa Bianca. Oltre all’alto valore scientifico, l’allunaggio aveva un rilevante significato politico: Stati Uniti e Unione Sovietica erano nel pieno della Guerra fredda e avevano ingaggiato diverse sfide, compresa quella dell’esplorazione dello Spazio.

L’Apollo 11 decollò alle 9:32 in Florida (le 15:32 in Italia), fra rombi assordanti e spettacolari crepitii di fuoco e luce. Il Saturn V, il razzo colossale messo a punto nelle precedenti missioni Apollo 4 e Apollo 8, misurava 111 metri di lunghezza (come un palazzo di oltre 3o piani) ed era 100 volte più potente di quello che nel 1961 aveva permesso di portare in orbita Alan Shepard, il primo astronauta statunitense.

Il momento della partenza della missione Apollo 11, il 16 luglio 1969 (NASA)

L’accensione del razzo rese la fase del decollo particolarmente delicata, tanto da far dire anni dopo a Michael Neufeld, curatore dello Smithsonian National Air and Space Museum di Washington, che “se il Saturn V fosse esploso in volo o durante il momento del lancio, avrebbe avuto la forza di una bomba nucleare in miniatura”.


Il razzo, costituito da tre stadi, consentì ai tre astronauti della spedizione e alla loro attrezzatura di compiere la prima, fondamentale fase del viaggio: raggiungere l’orbita terrestre a circa 166 km di altitudine. Una volta raggiunto l’obiettivo, i primi due stadi del Saturn V si staccarono e precipitarono. Dopo aver compiuto un’orbita e mezzo della Terra e dopo 2 ore e 44 minuti dal decollo, l’accensione del terzo componente del Saturn V diede all’Apollo 11 la propulsione necessaria per uscire dall’orbita terrestre e porsi in direzione dell’orbita lunare.

Il viaggio dell’Apollo 11 verso la Luna durò tre giorni, precisamente 75 ore e 56 minuti. La navicella consisteva di tre componenti, chiamati Moduli.

– Il Modulo di Comando, dove i tre astronauti alloggiarono nella prima parte del viaggio e durante il ritorno.
– Il Modulo di Servizio Columbia, motore e centro di controllo della navicella. Una volta raggiunta la Luna, questo componente avrebbe continuato a ruotare intorno alla sua orbita e avrebbe dato la spinta propulsiva per il viaggio di ritorno sulla Terra.
– Il Modulo Lunare Eagle sarebbe atterrato sulla Luna. Inizialmente alloggiato in un guscio protettivo, successivamente la sua posizione fu riconfigurata insieme agli altri due Moduli per permetterne l’uso sulla Luna.

Durante il viaggio verso la Luna, Michael Collins dispose la rotazione del Columbia e del Modulo di Comando di 180 gradi e l’aggancio all’Eagle. In questo modo i portelli del Columbia e dell’Eagle sarebbero stati tra di loro comunicanti, ed Armstrong e Aldrin – i due che sarebbero scesi sulla Luna – avrebbero potuto trasferirsi nel Modulo Lunare. La rotazione era la soluzione imposta dalle necessità di posizionamento diverso durante il lancio e il viaggio. Contemporaneamente, anche il terzo stadio del Saturn V si staccò dalla navicella.

Il 20 luglio i tre astronauti raggiunsero l’orbita lunare, quindi uscirono dal Modulo di Comando e si separarono per prepararsi all’allunaggio. Armstrong e Aldrin si spostarono nell’Eagle, mentre Collins entrò nel Columbia.

I due astronauti scelti per perlustrare il suolo lunare presero tempo prima di compiere le delicate manovre di allunaggio perché un computer iniziò a segnalare un errore di funzionamento, guidando Armstrong e Aldrin verso un terreno sassoso, inadatto per la discesa. La base NASA indicò agli astronauti di ignorare il computer ed Armstrong pilotò la navicella usando il controllo semi-automatico.

Alle 22:17 italiane, a una distanza di ormai 400mila chilometri dalla Terra e a carburante quasi esaurito, l’Eagle riuscì a compiere l’allunaggio su un’area pianeggiante, il Mare della Tranquillità. Armstrong comunicò l’obiettivo raggiunto al centro di controllo della NASA con le parole: “Houston, Tranquility Base here. The Eagle has landed” (“Houston, qui Base della Tranquillità. La Eagle è atterrata”: quest’ultima espressione significa anche “L’aquila si è posata”). Diversamente da quanto programmato e com’era prevedibile, Armstrong e Aldrin non riuscirono a riposare prima dell’escursione sulla Luna.

Quando ormai in Italia era il 21 luglio, alle 4:56 – sei ore dopo l’allunaggio – una telecamera applicata all’esterno della navicella riprese in diretta televisiva mondiale l’astronauta mentre scendeva dal Modulo Lunare per mettere piede sulla Luna.

L’escursione di Armstrong e Aldrin (“moonwalk”) durò all’incirca due ore e mezza. Gli astronauti issarono la bandiera statunitense e ricevettero una telefonata dal Presidente Nixon, in collegamento con loro dalla Casa Bianca. Durante la permanenza sul satellite si dedicarono prevalentemente ad attività di ricerca scientifica. Prelevarono campioni del suolo lunare da riportare sulla Terra e piazzarono un set di dispositivi per esperimenti, per individuare eventuali scosse sismiche e per effettuare misurazioni più accurate della distanza tra la Luna e la Terra.

Buzz Aldrin sulla superficie lunare, sullo sfondo il modulo Eagle (NASA)

Se Armstrong fu il primo uomo a mettere piede sulla Luna, c’è dibattito sul fatto che Aldrin sia stato il primo a farci la pipì (nel tubo incorporato alla tuta). Durante una conferenza sul quarantesimo anniversario dell’allunaggio al Newseum di Washington, lo stesso Aldrin dichiarò: “It’s lonely as hell out there […] I pissed in my pants” (“Ci si sentiva soli da morire là fuori […] Mi sono pisciato nei pantaloni”): che lo intendesse letteralmente o metaforicamente non è mai stato chiarito.

Infine i due, per lasciare una testimonianza della loro missione, depositarono sul suolo lunare lo stemma dell’Apollo 1 in memoria degli astronauti morti durante quella missione nel gennaio 1967, un ramoscello d’ulivo in oro, segno di pace, e un disco con incise frasi benauguranti di alcuni presidenti statunitensi (fra cui Eisenhower, Kennedy e lo stesso Nixon) e di altri leader mondiali.

Trascorse 21 ore sul suolo lunare, i due astronauti dell’Eagle iniziarono le manovre di decollo. Anche questa fase fu molto delicata, la navicella aveva a disposizione un solo motore di risalita e con questo avrebbe dovuto raggiungere l’orbita e riagganciarsi in volo col Modulo di Comando. L’operazione andò a buon fine: Armstrong e Aldrin raggiunsero Collins nel Modulo di Comando e fu disposto il distacco dell’Eagle, che aveva ormai esaurito la sua funzione.

Il Modulo Lunare, poco dopo avere lasciato la Luna, prima del ricongiungimento col Modulo di Comando (NASA)

Successivamente la navicella uscì dall’orbita lunare e proseguì il viaggio in direzione della Terra. Il Modulo di Comando in cui si trovavano gli astronauti si separò dal Columbia e, protetto da uno scudo termico, iniziò la manovra d’ingresso nell’atmosfera. 
Superata la fase più turbolenta del rientro, si aprirono i tre paracadute per rallentare la discesa della capsula spaziale in vista dell’ammaraggio.

Dopo circa 71 ore dall’allunaggio, alle 6:50 del mattino del 24 luglio (ora locale), il Modulo si tuffò nell’oceano Pacifico a circa 1448 km dalle isole Hawaii e a 19 km dalla USS Hornet, la nave che avrebbe recuperato i tre astronauti in mare.

L’ammaraggio del Modulo di Comando nell’Oceano Pacifico, il 24 luglio 1969 (NASA)

Questo e gli altri articoli della sezione Come andammo sulla Luna sono un progetto del workshop di giornalismo 2019 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.

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