Cosa è accaduto a Syriza
Cinque anni fa Tsipras era la speranza della nuova sinistra: oggi in molti si chiedono cosa abbia causato la sua sconfitta e cosa possa insegnare agli altri partiti progressisti europei
di Davide Maria De Luca
Cinque anni fa, tutta Europa guardava alla Grecia e al suo giovane e carismatico candidato primo ministro, Alexis Tsipras, leader della coalizione di sinistra Syriza. Alcuni lo definivano un pericoloso populista anti-europeo. Per altri era la nuova speranza di una sinistra che da più di un decennio assisteva soltanto a sconfitte.
Oggi di quell’entusiasmo e di quei timori non c’è quasi più traccia. Dopo quattro anni trascorsi al governo, Tsipras si è trasformato in un partner apprezzato dai leader europei e in un esecutore fedele delle richieste dei creditori del suo paese. Alle elezioni di domenica scorsa, la sua coalizione Syriza è stata però battuta duramente da Nuova Democrazia, il principale partito di centrodestra del paese e Tsipras è stato sostituito alla guida del paese dal rampollo di una delle dinastie politiche più potenti della Grecia, Kyriakos Mitsotakis.
La sconfitta ha inevitabilmente aperto un dibattito in tutta Europa su quali siano state le cause di un così rapido declino e su cosa possa insegnare agli altri partiti progressisti del continente.
Quasi tutti gli osservatori attribuiscono una grossa parte in questa storia a quello che molti chiamano il “tradimento” di Tsipras, tramutatosi da enfant terrible che minacciava la sopravvivenza stessa della moneta unica in partner affidabile dell’establishment europeo, descritto con parole amichevoli dalla cancelliera tedesca Angela Merkel e persino dal suo ex ministro delle finanze, il superfalco Wolfgang Schauble.
Il cosiddetto “tradimento” avvenne nell’estate del 2015, poco dopo la vittoria di Syriza alle elezioni di gennaio di quell’anno. Quando Tsipras arrivò al governo, la Grecia aveva perso un quarto del suo PIL, più di un terzo della popolazione era a rischio di povertà o di esclusione sociale, mentre la disoccupazione aveva raggiunto quasi il 25 per cento. Nel frattempo, i creditori si aspettavano dal paese ulteriori misure di austerità: tagli ai servizi sociali, alla sanità, alle pensioni, licenziamento di migliaia di dipendenti pubblici, privatizzazioni, diminuzione delle tutele sul lavoro e aumento delle tasse.
Tsipras promise che avrebbe impedito tutto questo, ma le trattative con i creditori non andarono come si aspettava. Gli stati membri dell’Unione presentarono un fronte compatto e non cedettero a quasi nessuna delle richieste della delegazione greca. Nemmeno i governi europei di sinistra, come quello italiano e quello francese, né i socialdemocratici che sostenevano il governo tedesco, fornirono molto aiuto e, anzi, si lamentarono del capo negoziatore greco, Yanis Varoufakis, una sorta di economista-rockstar che Tsipras aveva a sorpresa chiamato come suo ministro delle Finanze.
In risposta, Tsipras convocò un referendum in cui chiedeva al popolo greco se il governo avrebbe dovuto o meno accettare le dure condizioni che gli erano state imposte, suscitando lo scandalo e la preoccupazione dei partner europei. Vinsero i No, ma Tsipras non fece quello che gli avevano chiesto gli elettori e quello che consigliavano i duri del suo partito, compreso lo stesso Varaoufakis: rifiutare il pacchetto di aiuti, non importa quali fossero le conseguenze.
Tornò a negoziare con i leader europei e accettò un pacchetto sostanzialmente identico a quello che gli era stato precedentemente proposto. Subito dopo, con un’altra mossa a sorpresa, Tsipras convocò elezioni anticipate e, approfittando della totale confusione e divisione dei suoi avversari, compresi quelli interni, le vinse nuovamente, raccogliendo all’incirca gli stessi voti che aveva ottenuto alle elezioni di gennaio (in termini percentuali, in termini assoluti ne perse poco meno di 300 mila). Fu un’abile manovra politica, che diede una doppia legittimazione alle sue azioni seguenti, ma i cui effetti durarono poco. All’inizio del 2016, Nuova Democrazia superò per la prima volta Syriza nei sondaggi, una posizione dalla quale non si sarebbe più mossa fino alle elezioni della settimana scorsa.
L’analisi principale della sconfitta è che Tsipras ha perso perché ha deluso gli elettori. «Abbiamo messo la barra molto in alto e non l’abbiamo raggiunta», ha spiegato a BBC l’eurodeputato di Syriza Dimitri Rapides, mentre per il giornalista del Guardian Gary Younge il “tradimento” insegna che quando in futuro la sinistra vorrà mettersi di nuovo contro poteri forti internazionali dovrà come minimo «procurarsi una strategia per combatterli e dotarsi della volontà di farlo fino in fondo».
Anche i commentatori più conservatori danno molta importanza al “tradimento” di Tsipras per spiegarne la sconfitta, ma ne traggono una lezione opposta. Alla fine, sostengono, il pragmatismo è destinato a vincere sulle illusioni alimentate dai populisti. Stanchi delle promesse non mantenute da Tsipras, i greci avrebbero preferito tornare a votare un rassicurante partito tradizionale. La sconfitta di Tsipras, quindi, dimostrerebbe che «gli elettori possono arrivare ad averne abbastanza dei populisti», ha scritto Ferdinando Giugliano, editorialista politico di Bloomberg.
Ma ci sono anche molti commentatori che continuano a difendere Syriza e Tsipras e che sostengono che il vero “tradimento” fu quello dei leader socialdemocratici europei dai quali Tsipras si aspettava un sostegno e che invece si allinearono rapidamente alle richieste della Germania. Senza speranza di ottenere condizioni migliori, Tsipras aveva due scelte: seguire i consigli di Varoufakis o dei membri ancora più radicali di Syriza e rischiare l’uscita immediata della Grecia dall’euro, oppure accettare l’offerta dei creditori e implementare le inevitabili misure di austerità.
Chi ritiene invece che il “tradimento” del 2015 non sia l’elemento principale della sua sconfitta punta il dito contro quello che Tsipras ha fatto dopo il 2015. Sempre sul Guardian, David Adler, uno degli organizzatori del movimento di Varoufakis, ha scritto che Tsipras ha perso non solo perché ha accettato le condizioni dei creditori internazionali, ma anche perché lo ha fatto con troppa convinzione, cedendo anche dove non era obbligato a farlo:
«Non era necessario dare in concessione enormi tratti di mare a società petrolifere come ExxonMobil affinché si mettessero alla ricerca di idrocarburi. Non erano necessari il sovraffollamento, le violenze sessuali, la cronica mancanza di dottori, medicine, cibo e acqua nei campi dei migranti. Non era necessario vendere armi all’Arabia Saudita, stringere amicizia e fornire supporto a Benjamin Netanyahu e acquistare cacciabombardieri dall’America di Donald Trump»
Molti altri hanno espresso lo stesso indignato stupore di Adler quando durante la campagna elettorale Tsipras è stato fotografato in vacanza sullo yacht di un ricco armatore greco, una categoria universalmente disprezzata dalla sinistra greca, accusata di aver contribuito a generare la crisi, senza però pagarne il prezzo. Sono in molti ad accusare Syriza di un ulteriore tradimento: aver stretto rapporti fin troppo amichevoli con gli oligarchi greci mentre si trovava al governo.
Altri sostengono un tesi apparentemente bizzarra e cioè che alla fine Tsipras sia andato tutto sommato meglio del previsto. Domenica scorsa Syriza ha raccolto il 31,5 per cento dei voti, contro il 36 di quattro anni fa. Significa che nonostante si sia rimangiato gran parte delle promesse fatte in campagna elettorale, nonostante le foto sugli yacht e le sue amicizie compromettenti con gli oligarchi, Tsipras ha perso poco più del 4 per cento dei voti. Con il risultato, ha scritto su Twitter lo scienziato politico olandese Cas Mudde, uno dei principali esperti di populismo, che «oggi Syriza ha più probabilità di vincere le prossime elezioni che di collassare su sé stessa».
La vittoria di Nuova Democrazia non è stata così spettacolare come ci si immaginava all’inizio, anche se Mitsotakis ha ottenuto un ottimo risultato tra i giovani (raccogliendo il 30 per cento dei voti tra chi aveva tra i 18 e i 24 anni contro il 25 per cento di Syriza). In tutto Nuova Democrazia ha raccolto 2,2 milioni di voti, esattamente lo stesso numero raccolto da Syrizia nel 2015 (i due partiti hanno invertito esattamente il numero di voti raccolti: gli 1,7 milioni di voti presi da Syriza a luglio sono pari agli 1,7 raccolti da Nuova Democrazia nel 2015).
Complessivamente la sinistra è andata meglio del centrodestra. Quasi un milione di voti – abbastanza da superare nettamente Nuova Democrazia se sommati a quelli di Syriza – è stato raccolto dalle altre forze di centrosinistra e dalla sinistra radicale. Mezzo milione di voti in tutto è andato al Partito Comunista greco e al movimento dell’ex ministro delle Finanze Varoufakis, mentre altri 450 mila sono stati raccolti da KINEL, la nuova alleanza di cui fa parte il PASOK, il vecchio partito socialista greco che ha governato il paese per decenni (nonostante la sinistra abbia preso complessivamente più voti, Nuova Democrazia ha ottenuto la maggioranza dei seggi grazie al premio di maggioranza previsto dalla legge elettorale).
E questo nonostante Mitsotakis abbia fatto campagna elettorale ammiccando più di una volta a classici temi considerati “populisti”. Ad esempio, ha detto di aver intenzione di rinegoziare gli accordi con i creditori, di abbassare le tasse alle imprese e ai redditi frutto di investimenti (già oggi tra i più bassi d’Europa, anche grazie al governo Tsipras), ha lasciato intendere che i nuovi controlli fiscali sulle imprese e gli esercizi commerciali introdotti dal governo Tsipras potrebbero essere abbandonati e si è opposto a quello che è riconosciuto a livello internazionale come il principale successo di Tsipras: l’accordo raggiunto sul cambio di nome della Repubblica di Macedonia, oggi diventata Macedonia Settentrionale.
Con lo spostamento di Syriza verso il centro nei quattro anni trascorsi al governo, insomma, molti giovani e radicali hanno abbandonato il partito, preferendo le ricette di Nuova Democrazia, le nuove formazioni di sinistra radicale o scegliendo di astenersi (l’affluenza è stata storicamente bassa, appena il 56 per cento). Ma Tsipras è riuscito a limitare la sconfitta, riuscendo a presentarsi come il leader di un partito di governo responsabile, ancora capace di usare una retorica populista in alcune occasioni, ma comunque considerato un partner affidabile. In altre parole è riuscito a occupare lo spazio politico che un tempo apparteneva al moderato PASOK di centrosinistra, scrive Mudde, nonostante avesse molte meno risorse da spendere sia nella macchina del partito che nei bilanci pubblici.
Anche se sconfitta, Syriza continua a rimanere il principale partito di opposizione in Grecia e, in percentuale, uno dei più grandi partiti di sinistra in Europa, battuto solo dai partiti socialisti di Spagna e Portogallo. Anche se il suo “tradimento” sembra aver avuto una parte importante nella sua sconfitta, non sembra essere l’unico fattore. Alla fine quella di Syriza e di Tsipras è una lezione sorprendente, considerato le premesse: dimostra che per un abile leader politico è possibile farsi eleggere con un programma radicale e, una volta arrivato al governo, spostarsi al centro senza finire con il distruggere completamente il proprio partito.