L’enorme massa di alghe che attraversa l’Atlantico
I ricercatori stimano che ci siano 20 milioni di tonnellate di sargasso, cresciuto enormemente a causa dei fertilizzanti finiti nell'oceano
Negli ultimi anni nell’oceano Atlantico è stata registrata una crescita anomala del sargasso (Sargassum), un genere di alga che, trasportata dai moti ondosi, raggiunge le coste causando seri problemi alle località che vivono di turismo balneare. Secondo una ricerca da poco pubblicata sulla rivista scientifica Science, il picco degli ultimi anni ha portato alla formazione di enormi quantità di alghe, che occupano un’ampia fascia dell’oceano Atlantico tra il Golfo del Messico e l’Africa occidentale. L’ipotesi è che la grande abbondanza del sargasso sia causata dalla maggiore concentrazione di fertilizzanti nelle acque oceaniche, dovuta alle attività agricole.
Le specie di alghe appartenenti al sargasso raggiungono la lunghezza di diversi metri e hanno di solito un colore che varia tra il marrone e il verde scuro. Alcune specie hanno vescicole che aiutano la pianta a mantenere le sue fronde verso l’alto, aumentando la loro esposizione alla luce solare.
Le alghe di questo genere sono piuttosto resistenti e, quando muoiono, possono essere trasportate a grandi distanze dai moti ondosi, fino sulle spiagge. Il Mar dei Sargassi, cioè la parte dell’oceano Atlantico tra gli arcipelaghi delle Azzorre a est e delle Grandi Antille a ovest, deve il suo nome proprio alla presenza di queste alghe, avvistate per la prima volta intorno al Quindicesimo secolo dagli esploratori portoghesi.
Un gruppo di ricercatori guidato da Mengqiu Wang della University of South Florida (Stati Uniti), ha messo a confronto le immagini satellitari di diversi anni dell’oceano Atlantico, alla ricerca delle chiazze verdi/marroni formate dal sargasso sull’acqua. Dal 2011 al 2018, scrivono nel loro studio, la quantità di alghe è aumentata enormemente, arrivando ad avere una massa stimata intorno ai 20 milioni di tonnellate la scorsa estate.
L’immagine qui sotto mostra efficacemente quanto sia aumentato il sargasso in pochi anni, seppure con qualche oscillazione. La rilevazione è stata effettuata sempre nel mese di luglio, cioè nel periodo in cui il sargasso raggiunge il proprio massimo. Le zone colorate di rosso indicano i punti in cui la concentrazione di alghe era più alta, mentre i colori più freddi indicano una presenza meno massiccia.
(Mengqiu Wang et al., Science)Questa lunga zona che attraversa l’Atlantico è stata chiamata “grande fascia del sargasso” e, sempre secondo i ricercatori, è dovuta alla presenza di una maggiore quantità di sostanze nutrienti, come azoto e fosforo, provenienti dalle coste dell’Africa occidentale e del Sudamerica orientale nei mesi invernali. I nutrienti in eccesso derivano dall’impiego sempre più massiccio di fertilizzanti, che sono poi trasportati dai fiumi verso le coste e infine nell’oceano. In presenza di queste sostanze, il sargasso diventa più florido e produce quindi più alghe.
La ricerca pubblicata su Science si ferma allo scorso luglio, ma le cronache delle ultime settimane soprattutto dal Golfo del Messico sembrano indicare che il fenomeno si sia ripresentato anche quest’anno. In Messico molte spiagge sono state invase dal sargasso, che andando in decomposizione produce un odore simile a quello delle uova marce (o allo zolfo), diventando impraticabili per i turisti. La bonifica delle spiagge su una scala così grande implica investimenti e spese da svariati milioni di euro.
In condizioni normali, il sargasso riveste un importante ruolo nel mantenimento degli ecosistemi marini nella zona del Golfo del Messico e poco oltre verso oriente. Le tartarughe marine nidificano tra le fronde del sargasso, dove vivono anche gamberetti, granchi e diverse altre specie marine. Il Mar dei Sargassi ha una grande biodiversità, ma oscillazioni eccessive nella quantità delle alghe possono avere effetti pericolosi per gli ecosistemi. Le alghe che non vengono trasportate verso le coste, per esempio, una volta morte tendono a inabissarsi ricoprendo i coralli, con il rischio di danneggiarli.
L’influsso dei fertilizzanti sulle piante acquatiche è noto da tempo, ed era stato già osservato in passato sia nei mari sia nei laghi. Queste sostanze sono il frutto delle attività umane, quanto lo sono numerosi altri rifiuti che finiscono giornalmente negli oceani, a cominciare dalla plastica, con effetti negativi per gli ecosistemi marini che i ricercatori devono ancora comprendere nella loro interezza.