Il disastro dell’Apollo 1
Il programma per l'esplorazione della Luna cominciò con un fallimento che uccise tre astronauti, e di cui ancora non conosciamo tutte le ragioni
di Melania Mosaico
Il 27 gennaio 1967, durante un test preparatorio in vista della missione AS-204, che sarebbe stata rinominata poi Apollo 1, un incendio scoppiato nella cabina di comando dell’astronave uccise i tre astronauti a bordo. La missione finì prima ancora di lasciare la stazione spaziale di Cape Canaveral, in Florida: Virgil Grissom, Ed White e Roger Chaffee furono i primi astronauti statunitensi a morire durante un test precedente alla partenza, e le uniche vittime all’interno del programma Apollo dedicato all’esplorazione della Luna. Quello dell’Apollo 1 fu uno dei più grandi disastri nella storia della NASA, tanto che le missioni Apollo si fermarono per più di un anno mettendo in discussione la possibilità di raggiungere la Luna entro la fine del decennio, come aveva invece promesso il presidente Kennedy nel 1961.
La missione Apollo 1 avrebbe dovuto portare gli astronauti in orbita e farli tornare sulla Terra: serviva a sperimentare l’attrezzatura spaziale che sarebbe stata poi utilizzata per andare sulla Luna. Faceva parte del programma Apollo, un progetto ideato per studiare il suolo lunare e sviluppare la capacità dell’uomo di sopravvivere al di fuori dell’atmosfera terrestre, ma anche per affermare la supremazia degli Stati Uniti nello spazio durante la Guerra fredda e il confronto con la potenza avversaria dell’Unione Sovietica. Il test del 27 gennaio 1967 aveva due funzioni: sperimentare le operazioni di lancio prima della partenza programmata per il 21 febbraio, e verificare il funzionamento del razzo Saturn IB, la versione aggiornata e più potente del precedente Saturn I.
L’equipaggio dell’Apollo 1
Il comandante della missione Virgil “Gus” Grissom aveva combattuto in Vietnam e aveva già preso parte ad altre missioni della NASA. Era stato il secondo statunitense ad andare nello Spazio nel 1961 con la missione Mercury Seven, in cui rischiò la vita quando il portellone si aprì durante il rientro, facendolo precipitare in acqua. Il primo pilota dell’Apollo 1 si chiamava Ed White e la sua carriera da astronauta era iniziata nel 1965 con la missione Gemini 4. Era stato il primo astronauta statunitense a compiere un’escursione all’esterno della capsula spaziale (quelle che presero il nome di passeggiate spaziali). Roger Chaffee era il secondo pilota e aveva 31 anni: se l’Apollo 1 fosse partita sarebbe stato il più giovane statunitense ad andare nello Spazio. Chafee non era stato la prima scelta della NASA, che lo aveva chiamato per sostituire Donn F. Eiselche, infortunato durante un’esercitazione.
L’incidente
Il test cominciò la mattina e alle 13 (le 19 in Italia) i tre astronauti entrarono nella capsula dell’Apollo 1 indossando le loro tute spaziali. I problemi iniziarono fin da subito: dalla trascrizione del dialogo tra i tre astronauti a bordo e il personale alla base di comando, si capisce che ci furono problemi di comunicazione che rallentarono il test. Innervosito dai numerosi contrattempi, Grissom disse a un certo punto: “Come possiamo andare sulla Luna se non riusciamo a parlarci neanche a distanza di tre edifici?”.
Alle 18:31 locali i tre astronauti diedero il primo allarme: “Ci sono fiamme nella cabina di comando”. In trenta secondi l’intera capsula si riempì di fumi tossici, ma ci vollero più di cinque minuti perché i soccorritori che si trovavano all’esterno riuscissero ad aprire il portellone e a trovare i corpi ormai carbonizzati dei tre astronauti.
Il disastro dell’Apollo 1 occupò le prime pagine dei quotidiani americani e internazionali e da allora ogni anno a gennaio la NASA commemora Grissom, White e Chafee durante il Giorno del Ricordo.
Le conseguenze dell’incidente
La NASA cercò di capire cosa fosse successo e cosa fare delle successive missioni Apollo. Chi in precedenza si era opposto al programma trovò nel disastro una conferma alle proprie obiezioni. Anche il governo statunitense, che aveva finanziato la missione e che avrebbe dovuto sostenere le successive, si interrogò sul destino dell’intero programma Apollo, visti i suoi costi molto elevati. D’altra parte però, sospendere le missioni significava tradire la promessa del presidente Kennedy – assassinato nel 1963 e a cui era seguito Lyndon Johnson – di “raggiungere e superare” l’Unione Sovietica nella “corsa allo Spazio”, facendo arrivare un americano sulla Luna prima della fine del decennio.
Le indagini
Le indagini della NASA non riuscirono a risalire esattamente alla causa del disastro dell’Apollo 1: l’incendio venne attribuito a un problema nel sistema elettrico, ma la ragione e il punto della sua detonazione a tutt’oggi sono ignote. Nel rapporto ufficiale furono però elencati sei fattori principali che avevano creato le condizioni per lo scoppio dell’incendio e il fallimento dei soccorsi. La decisione di utilizzare una cabina pressurizzata esclusivamente con l’ossigeno – altamente infiammabile – fece sì che anche una piccola scintilla fosse sufficiente per causare rapidamente un incendio. I materiali combustibili presenti all’interno della capsula, tra cui il liquido che scorreva nell’impianto idraulico, aumentarono il rischio.
Nel suo rapporto, la NASA evidenziò sia l’inadeguatezza dell’impianto elettrico della capsula, sottodimensionato per la corrente elettrica che doveva attraversarlo, che quella delle procedure di evacuazione, che non permisero agli astronauti a bordo di essere liberati in tempo.
Ai problemi tecnici si aggiunse l’impreparazione degli stessi astronauti, che non erano stati addestrati a sufficienza per il salvataggio o per l’assistenza medica dei loro compagni in caso di emergenza.
Secondo storici e analisti, era stato a causa di pressioni politiche ed economiche che la NASA e la North American Aviation – l’azienda prima responsabile della costruzione dell’astronave – avevano di fatto sacrificato la sicurezza a bordo per rispettare i tempi e il budget imposti dal governo.
L’11 ottobre del 1968, venti mesi dopo il disastro dell’Apollo 1, il programma spaziale ripartì con la missione Apollo 7, a cui prese parte anche Donn F. Eisele, l’astronauta che Chaffee aveva sostituito nel 1967.
Due anni dopo il disastro del 1967, il ricordo di Grissom, White e Chaffee arrivò sulla Luna, quando con la missione Apollo 11 Neil Armstrong e Buzz Aldrin scesero sul suolo lunare e vi lasciarono uno stemma commemorativo della missione Apollo 1.
Questo e gli altri articoli della sezione Come andammo sulla Luna sono un progetto del workshop di giornalismo 2019 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.