Quelli che non ci credono
Da dove arrivano le teorie del complotto sull'allunaggio, e perché non possono essere combattute con i fatti
di Beatrice Anfossi
Il 21 luglio 1969 un uomo per la prima volta scese sulla Luna (due, per la precisione). Ma a cinquant’anni di distanza c’è ancora chi non ci crede, nonostante le molte testimonianze, fotografie e prove. La teoria del complotto lunare è una delle più famose e longeve nel vasto contesto del complottismo: la sua diffusione coinvolge ormai tutto il mondo, e da tempo trova molti sostenitori anche in Italia. I teorici del falso allunaggio sostengono che l’arrivo sulla Luna della missione spaziale Apollo 11 non sia mai avvenuto e sia frutto di una messa in scena organizzata dalla NASA all’interno di uno studio cinematografico: come un film. Alcuni sostengono che a girarlo sia stato Stanley Kubrick, il regista di 2001: Odissea nello Spazio. Saremmo quindi tutti vittime di un enorme inganno.
Secondo i complottisti, la NASA avrebbe messo in atto questo piano per diversi motivi: da un lato per non perdere il budget di trenta miliardi di dollari che le era stato destinato dal governo statunitense, dall’altro per la volontà del governo stesso di distogliere l’attenzione pubblica dalla guerra del Vietnam, in cui gli Stati Uniti erano coinvolti dal 1964 e che stava provocando enormi contestazioni da buona parte della società civile statunitense. Erano inoltre gli anni della Guerra fredda, e da diverso tempo gli Stati Uniti erano in competizione con l’Unione Sovietica nell’esplorazione dello Spazio: per il governo americano dire di essere arrivato per primo sulla Luna, sostenevano diverse teorie del complotto, sarebbe stata certamente una importante prova di forza nei confronti dei sovietici (come peraltro fu anche nella realtà).
Dopo i primi dubbi immediatamente successivi all’allunaggio, un dibattito più concreto iniziò a metà degli anni Settanta, quando Bill Kaysing pubblicò il suo libro We Never Went to the Moon: America’s Thirty Billion Dollar Swindle! (“Non siamo mai stati sulla Luna. Una truffa da 30 miliardi di dollari!”). Laureato in letteratura inglese, impiegato dal 1956 al 1963 alla Rocketdyne, azienda fornitrice della NASA, Kaysing sosteneva che la NASA non avesse le competenze tecniche per raggiungere la Luna, oltre a contestare alcune anomalie nelle fotografie, come l’assenza delle stelle sullo sfondo. La NASA rispose alle diverse obiezioni di Kaysing: in particolare spiegò che le stelle non erano visibili poiché il tempo di esposizione della fotocamera non permetteva di riprodurre la loro luce piuttosto debole, considerando anche l’interferenza della luce del Sole.
Gli scetticismi divennero ancora più conosciuti e diffusi dopo che furono ripresi dai media, e in particolare dopo che finirono in alcuni film e documentari. Un riferimento, interpretato però dai più come ironico, era già presente nel film del 1971 Agente 007 – Una cascata di diamanti. Il protagonista James Bond, durante un inseguimento, si ritrovava al centro di un set, simile a quello che la NASA avrebbe creato secondo i complottisti, dal quale scappava a bordo di un “Moon Buggy”, veicolo utilizzato dagli astronauti per spostarsi sulla Luna. Un impatto più serio e rilevante lo ebbe il film del 1978 Capricorn One, che raccontava un falso arrivo su Marte simulato dalla NASA. L’idea che il governo statunitense potesse ingannare i propri cittadini, mentendo anche su questioni importanti, in quegli anni era piuttosto diffusa: nel 1972, non molto tempo dopo la missione Apollo 11, la politica statunitense era stata travolta dallo scandalo Watergate, che aveva portato alle dimissioni del presidente Nixon rivelando un’attitudine a mentire e nascondere le cose da parte del governo.
La NASA si impegnò per smentire le tesi dei complottisti presentando principalmente tre prove: l’esistenza di circa 382 chili di resti di rocce lunari che gli astronauti avevano portato sulla Terra, dove non si sarebbero potute formare con le stesse caratteristiche; le immagini, riprese dalla sonda Lunar Reconnaissance Orbiter (LRO), delle tracce che gli astronauti avevano lasciato esplorando la superficie lunare; ma soprattutto il fatto che altri paesi del mondo, anche avversari degli Stati Uniti come l’Unione Sovietica, avessero seguito da vicino e con i propri mezzi l’intera spedizione, per poi congratularsi del successo raggiunto dagli americani. Se tutto fosse stato inventato, disse la NASA, i sovietici ne avrebbe sicuramente approfittato per screditare gli Stati Uniti.
Nonostante le risposte della NASA nel 2001 il canale statunitense Fox, tradizionalmente conservatore, mandò in onda un documentario intitolato Conspiracy Theory: Did We Land on the Moon? (“Teoria del complotto: siamo sbarcati sulla Luna?”) , che negava tutti i sei viaggi sulla Luna avvenuti tra il 1969 e il 1972, dando di nuovo spazio alle teorie di Kaysing. Kaysing sottolineava alcune stranezze nei fotogrammi delle missioni, come già aveva fatto nel suo libro: l’assenza delle stelle, il fatto che la bandiera si muovesse pur in assenza di aria o che l’atterraggio del razzo non avesse prodotto nessun cratere sulla superficie lunare. La trasmissione ebbe una grande risonanza tra il pubblico e costrinse la NASA a intervenire di nuovo per garantire la propria credibilità. Più di recente Roger Launius, l’allora principale storico della NASA, ha spiegato di essersi trovato in quel periodo a dover rispondere a domande sul presunto falso allunaggio che genitori e insegnanti ricevevano sempre più spesso dai giovani.
Si diffusero poi posizioni che non negavano l’intero sbarco ma contestavano le prove e le immagini dell’evento. Nel 2003 il fotografo francese Philippe Lheureux pubblicò una traduzione inglese del suo libro Lumières sur la Lune (“Luci sulla Luna”), nel quale sosteneva che gli Stati Uniti, pur avendo mandato realmente degli uomini sulla Luna, avessero scelto di non diffondere le vere fotografie per proteggere le informazioni scientifiche che contenevano, sostituendole con dei falsi. Altri fotografi professionisti sono poi intervenuti sostenendo questa tesi all’interno del documentario American Moon dell’italiano Massimo Mazzucco, realizzato nel 2017: commentando alcune presunte stranezze di luci e ombre nelle fotografie delle missioni Apollo, il fotografo tedesco Peter Lindbergh sosteneva che fossero immagini false.
Le prove con cui la NASA ha risposto, pur nella loro evidenza, hanno sempre avuto un limite naturale: i complottisti credono che siano state costruite apposta per ingannare il pubblico, convincendo a prendere parte al piano le centinaia di persone che lavorarono al programma spaziale statunitense. Le tesi complottiste non possono essere combattute con i fatti perché si fondano su un’idea precisa: che vi sia qualcuno, in questo caso il governo degli Stati Uniti, talmente potente da poter ingannare tutti costruendo da zero i fatti stessi. È tipico delle teorie del complotto attribuire allo stesso complotto le smentite della teoria.
Nelle sue varie forme la teoria del complotto sul falso allunaggio è arrivata ai nostri giorni, senza perdere vitalità. In Italia, un recente sondaggio ha stimato che il 20 per cento degli italiani creda nel complotto del falso allunaggio. Negli Stati Uniti, riporta Roger Launius, circa il 5 per cento della popolazione è convinto che l’uomo non abbia mai raggiunto la Luna: una percentuale minima ma agguerrita nel difendere le proprie idee. L’ipotesi del complotto è stata di recente promossa e diffusa da alcuni personaggi pubblici: tra questi il giocatore di basket statunitense Stephen Curry, che dopo averla condivisa l’ha poi ritrattata.
Questo e gli altri articoli della sezione Come andammo sulla Luna sono un progetto del workshop di giornalismo 2019 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.