Chi salverà Alitalia stavolta?
Qualche privato su cui c'è ancora incertezza, ma soprattutto – indovinate – noi
Il ministero dello Sviluppo economico – e lo stesso ministro Luigi Di Maio – hanno fatto sapere questa settimana che la vicenda di Alitalia, la compagnia aerea perennemente sull’orlo del fallimento e da due anni gestita da commissari governativi, sta per arrivare a una soluzione (o almeno a uno sbocco: più volte negli ultimi decenni si è pensato inutilmente di aver trovato una soluzione per Alitalia, per poi tornare al punto di partenza). Entro lunedì 15 luglio il ministero attende le offerte vincolanti d’acquisto per Alitalia e non intende rinviare ulteriormente la scadenza, che nei mesi scorsi era già stata più volte posticipata.
Una parte della cordata che dovrebbe intervenire per salvare Alitalia – che dal 2009 è una società privata – è già nota. La capofila è Ferrovie dello Stato (FS), un’azienda controllata dallo Stato che al momento è destinata a diventare il principale azionista di Alitalia con il 35 per cento delle quote, oltre che il suo futuro partner industriale, in una sorta di integrazione aerei-ferrovie la cui forma non è ancora del tutto chiara. Al momento sono i manager della società ferroviaria che si stanno occupando di elaborare le strategie societarie e industriali per rilanciare la compagnia aerea.
Oltre che attraverso FS, lo Stato interverrà anche direttamente dentro Alitalia: il ministero dell’Economia convertirà in azioni i circa 145 milioni di euro di interessi che si sono accumulati sul prestito ponte da 900 milioni concesso due anni fa ad Alitalia dall’allora ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, e poi sempre rinnovato. In questo modo il ministero diventerà socio della nuova Alitalia con circa il 15 per cento delle azioni.
I 900 milioni di prestito, nel frattempo, sono stati trasformati in un prestito senza scadenza (la Commissione Europea ha aperto un’indagine per verificare che non sia una specie di “regalo” ad Alitalia, cioè un aiuto di stato potenzialmente irregolare). Il giornalista Ettore Livini ha calcolato su Repubblica che se il prestito non sarà mai ripagato, come sembra, il costo totale che lo Stato si sarebbe sobbarcato negli ultimi 20 anni per salvare Alitalia ammonterebbe a circa 9 miliardi di euro.
L’unico socio privato dell’operazione, al momento, è la compagnia aerea americana Delta Airlines, che dovrebbe entrare nella nuova Alitalia con circa il 15 per cento del capitale, per una spesa totale tra i 100 e i 150 milioni di euro. Rimarrebbe così scoperto il 35 per cento delle azioni della nuova società, che corrispondono a circa 300 milioni di euro. Nelle scorse settimane l’imprenditore e presidente della Lazio Claudio Lotito aveva ventilato l’ipotesi di un suo possibile interesse, ma si è scoperto rapidamente che non aveva il denaro necessario a formalizzare la sua offerta.
Ironicamente, quindi, l’offerta più attesa – e che potrebbe risolvere l’intera vicenda – è quella di Atlantia, la holding autostradale delle famiglia Benetton con cui proprio Di Maio e il Movimento 5 Stelle si sono duramente scontrati a proposito della vicenda del ponte Morandi. Da mesi si parla del possibile interesse di Atlantia a entrare nella cordata; fino a questo momento Di Maio – che qualche giorno fa aveva strapazzato Atlantia definendola «decotta» a mercati finanziari aperti – ha minimizzato il possibile arrivo in Alitalia della famiglia Benetton, e ha assicurato che al gruppo non saranno offerte contropartite sulla vicenda autostradale in cambio di quella aeronautica.
Non sarebbe la prima volta che la famiglia Benetton si impegna per salvare Alitalia. In passato aveva già investito (e perso) circa 200 milioni di euro: prima per sostenere la cordata dei cosiddetti “Capitani coraggiosi”, messa insieme da Silvio Berlusconi nel 2008 per salvare la compagnia dopo che lo stesso Berlusconi aveva fatto saltare l’accordo con Air France-KLM; poi attraverso Atlantia aveva versato altri soldi nel corso dell’operazione che portò all’alleanza tra Alitalia ed Etihad, la compagnia aerea degli Emirati Arabi Uniti.
Esperti e giornalisti considerano questo tipo di investimenti – compiuti da Atlantia e da altri importanti industriali – una sorta di operazione diplomatica. Atlantia, per esempio, riesce a fare i suoi altissimi utili (743 milioni di euro nel solo 2018, nonostante il crollo del ponte Morandi a Genova) grazie alle concessioni pubbliche autostradali: una materia altamente soggetta a regolamentazione governativa, cosa che spinge i concessionari a cercare di avere buoni rapporti con i governi in carica, per esempio partecipando a operazioni come quella di Alitalia, nella speranza di ottenerne in cambio un trattamento di favore nella regolamentazione delle concessioni.
Di Maio, che in passato aveva chiesto e auspicato più volte che ad Atlantia venisse tolta la concessione autostradale, ha negato che possa esserci un simile meccanismo di scambio. «Sulla revoca si va avanti, poi se si vuole fare un’offerta, verrà valutata per vedere se è un socio solido e può entrare», ha detto in questi giorni. Anche se Di Maio minimizza il ruolo di Atlantia, i giornali scrivono che di fatto il gruppo autostradale è l’unico disponibile a intervenire e che il suo amministratore delegato avrebbe incontrato diverse volte il presidente del Consiglio Conte e il ministro dell’Economia Tria per trovare un accordo.
Forse anche per evitare di consegnare ad Atlantia un ingresso da “salvatore della patria” in Alitalia, e per diluire la quota che le spetterebbe, in questi giorni Di Maio ha incontrato altri due potenziali investitori: Carlo Toto, ex proprietario di Air One, la compagnia aerea che nel 2014 venne fusa con Alitalia (anche lui concessionario di diverse autostrade), e German Efromovich, un ricco imprenditore boliviano che ha investito in numerose compagnie aeree. La speranza di Di Maio, scrivono i giornali, è che uno di questi investitori presenti un’offerta da almeno il 15 per cento del capitale azionario di Alitalia, così da dimezzare o quasi la quota della compagnia che spetterà ad Atlantia.
In ogni caso è possibile, scrive il Sole 24 Ore, che la scadenza del 15 luglio fissata da Di Maio venga spostata nuovamente, e che lunedì venga soltanto presentata la composizione definitiva della cordata, senza impegni scritti.