I 130 anni del Wall Street Journal
È uno dei giornali finanziari più autorevoli al mondo, con una divisione – mai evidente come in questi anni – tra chi si occupa di news e chi di opinioni
L’8 luglio del 1889 uscì il primo numero del Wall Street Journal, nato come giornale finanziario e diventato uno dei quotidiani più letti e autorevoli degli Stati Uniti. Oggi, che compie 130 anni, ha una circolazione media quotidiana di un milione di copie (secondo negli Stati Uniti solo a USA Today, con 1,6 milioni), 2,5 milioni di abbonamenti all’edizione cartacea e digitale, di cui 1,5 milioni solo online (stando a dati del giugno 2018) e una media di 91 milioni di visite al mese sul sito, aperto nel 1996. Oltre che una versione statunitense – pubblicata da sempre a Manhattan, New York – ne ha una europea con sede a Bruxelles e una asiatica a Hong Kong.
Nel corso del tempo il Wall Street Journal ha vinto 37 premi Pulitzer, il primo nel 1947, e ha una rigida divisione tra la redazione che si occupa delle news, rinomata come affidabile e imparziale, e quella che si occupa degli editoriali e dei commenti, che invece ha un evidente orientamento di centrodestra ed è un punto di riferimento per i conservatori. Negli ultimi anni, dopo l’acquisto del giornale da parte dell’editore australiano Rupert Murdoch nel 2007, i suoi opinionisti sono stati accusati di essersi spostati troppo a destra, difendendo faziosamente il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, amico di Murdoch, e di aver sostenuto posizioni anti-scientifiche nel trattare il riscaldamento globale. A livello internazionale il suo rivale principale è il londinese Financial Times, a sua volta specializzato in notizie finanziarie e con varie edizioni internazionali, mentre le sue posizioni economiche – generalmente liberali, pro-capitalismo, pro-mercato e pro-concorrenza – sono affini a quelle dell’Economist. Dopo l’acquisizione da parte di Murdoch il Wall Street Journal ha iniziato a competere anche con il New York Times, in particolare con la sezione “Greater New York”, dedicata alla città con approfondimenti su politica, cultura, arte e sport locali.
La storia del Wall Street Journal (WSJ) iniziò nel 1882, quando i giornalisti Charles Dow, Edward Jones e Charles Bergstresser fondarono la società editoriale Dow Jones & Company. Inizialmente pubblicavano brevi bollettini finanziari, i cosiddetti flimsies, che venivano consegnati a mano agli operatori della borsa di Wall Street a New York. Poi li aggregarono in un riassunto che veniva stampato ogni giorno, il Customers’ Afternoon Letter, che nel 1889 diventò ufficialmente il Wall Street Journal, un giornale di quattro pagine che usciva di pomeriggio e che «rispondeva a un bisogno crescente di notizie oggettive sul mondo degli affari e dei mercati in un mercato emergente, dove l’industria stava crescendo ma era intralciata da informazioni poco trasparenti e affidabili», come ha ricordato il direttore Matt Murray nell’editoriale dedicato all’anniversario. Da allora il WSJ «è stato in prima linea nel raccontare la storia di trasformazione del capitalismo americano e i suoi molteplici effetti sulle vite degli americani e sul mondo».
A poco più di dieci anni dalla sua nascita, nel 1902 la Dow Jones venne acquistata dal giornalista Clarence Barron, considerato il padre del giornalismo finanziario moderno. Quando morì, nel 1928, il giornale passò alla sua famiglia, che ne ha mantenuto il controllo fino al 2007. Nell’agosto di quell’anno la Dow Jones venne acquistata per 5,6 miliardi di dollari da Murdoch, già proprietario del gruppo editoriale News Corporation ora diventato News Corp, del canale tv conservatore Fox News, del londinese Times e del tabloid newyorkese New York Post.
Il WSJ si impose negli anni Quaranta, grazie al boom economico che rese più utile e necessario un giornale finanziario, e a Bernard Kilgore, managing editor (una sorta di caporedattore) dal 1941 al 1965: fu lui a inventarsi la prima pagina con la celebre rubrica What’s News e a organizzarne la distribuzione a livello nazionale, che passò dalle 33 mila copie giornaliere del 1941 al milione e centomila copie dell’anno in cui morì, nel 1967. Fu sempre sotto la sua guida che, nel 1947, il giornale vinse anche il suo primo Premio Pulitzer, per gli editoriali di William Henry Grimes. L’ultimo è del 2019, vinto per la cronaca nazionale grazie alle inchieste sul sistema con cui Trump pagò due donne perché non parlassero, durante la campagna elettorale del 2016, delle relazioni sessuali che aveva avuto con loro.
Il premio riflette bene la spaccatura avvenuta nella redazione dopo l’elezione di Trump alla presidenza: da un lato quella investigativa che si occupa delle notizie, che ha trattato Trump come qualsiasi altro presidente; dall’altro quella che cura gli editoriali, fortemente sbilanciata verso Trump. In particolare la sezione delle opinioni venne criticata per aver rilanciato, nel novembre 2016, la falsa accusa di Trump che alle elezioni avessero votato milioni di persone che non ne avevano il diritto, e poi ancora per aver invitato due volte alle dimissioni Robert Mueller dal suo ruolo di procuratore speciale per le indagini sulle interferenze della Russia durante le elezioni 2016. Le polemiche e il malcontento interno portarono alle dimissioni il britannico Gerard Baker, direttore dal 2013 al giugno 2018; il suo posto è stato preso dallo statunitense Matt Murray.
Oltre che per la difesa su Trump, recentemente il WSJ è molto criticato anche per le sue posizioni sul cambiamento climatico, tanto che si è affermato come punto di riferimento per scettici e negazionisti del riscaldamento globale. Climate Feedback, un sito che fa fact checking su come la stampa scrive di cambiamento climatico, assegna quasi sempre un voto da “basso” a “molto basso” agli articoli che escono sul WSJ sull’argomento. Il WSJ in passato aveva assunto posizioni simili sulle cause delle piogge acide e sui danni del fumo passivo. Non sono invece cambiate nel tempo le posizioni liberali e liberiste del giornale.
Per celebrare i suoi 130 anni di storia, il Wall Street Journal ha pubblicato uno speciale dove raccoglie le prime pagine con i fatti più importanti che ha raccontato: dalla nascita dei film a colori alla crisi petrolifera del 1973, dalle battaglie delle donne per pari diritti sul lavoro alla creazione dell’euro.