Cosa sappiamo del bombardamento sui migranti a Tripoli
Il numero dei morti è salito a 53, e secondo l'ONU durante l'attacco le guardie hanno sparato ai migranti che stavano provando a fuggire dal centro
Il numero dei morti per il bombardamento del centro di migranti nei pressi di Tripoli, avvenuto nella notte fra martedì e mercoledì, è salito a 53. I feriti sono almeno 130. Lo ho fatto sapere l’ONU in un rapporto che contiene notizie aggiornate a mercoledì 3 luglio. Fra i morti ci sono anche sei bambini. Il rapporto contiene diversi dettagli sulla dinamica del bombardamento: secondo alcune fonti consultate dall’ONU, per esempio, nei primi minuti del bombardamento le guardie hanno sparato ad alcuni migranti che stavano provando a fuggire dal centro.
Nelle prime ore dopo il bombardamento, il governo di unità nazionale di Fayez al Serraj aveva incolpato dell’attacco le milizie del maresciallo Khalifa Haftar, che controllano quasi tutta la Libia e che da mesi stanno portando avanti un attacco per conquistare anche Tripoli. Lunedì Haftar aveva annunciato una nuova offensiva per prendere il controllo di Tripoli, dove si combatte da settimane una guerra civile. Un portavoce del suo esercito ha negato a Reuters ogni coinvolgimento nell’attacco al centro di detenzione.
Giovedì, però, il ministro dell’Interno del governo di unità nazionale Fathi Bashagha ha incolpato dell’attacco gli Emirati Arabi Uniti, uno dei principali paesi stranieri che assieme all’Egitto appoggiano l’esercito di Haftar. Parlando col Wall Street Journal, Bashaga ha detto che il suono degli aerei utilizzati durante l’attacco ricorda quello dei jet americani F-16 in dotazione agli Emirati Arabi Uniti.
L’idea che Haftar possa avere chiesto l’aiuto dei suoi alleati stranieri è coerente con alcune sue dichiarazioni: nei giorni precedenti aveva spiegato che il suo esercito aveva esaurito i «metodi tradizionali» per occupare Tripoli. Il giornalista del Foglio Daniele Raineri, che si occupa principalmente di terrorismo, ha spiegato che le forze di Haftar «possono contare su aiuti e tecnologia militare che arrivano da fuori», e non ha escluso attacchi su obiettivi non militari:
«L’idea che i piloti di Haftar risparmieranno i civili della capitale è un’illusione tragica. Le forze di Haftar sono le stesse che hanno raso al suolo alcuni quartieri di Bengasi nel corso della battaglia – durata tre anni, tra il 2014 e il 2017 – per riprendere la città dalle mani degli estremisti. Ma almeno in quel caso si trattava di combattere una lotta esistenziale contro bande islamiste che includevano lo Stato islamico, nel caso di Tripoli invece si bombarda per soddisfare l’ambizione di Haftar»
Le violenze degli ultimi giorni sono solo le ultime di una lunga serie. La Libia è un posto quasi completamente nel caos, dove manca stabilità politica e militare e dove da anni si sta combattendo una guerra civile tra diverse milizie locali. Negli ultimi anni la Libia è diventato anche il posto da cui partono la maggior parte dei migranti diretti in Europa via mare e per questo gli ultimi due governi italiani hanno stretto accordi con le autorità di Tripoli per aumentare i controlli e limitare le partenze.
L’Italia ha per esempio finanziato e fornito mezzi alla cosiddetta Guardia costiera libica, legata al governo di Serraj e di fatto gestita dalle stesse milizie che guadagnano anche con il traffico di esseri umani e con la gestione dei centri di detenzione per migranti. Diverse inchieste giornalistiche e dell’ONU hanno mostrato come in questi centri i migranti subiscano violenze, torture, abusi e violazioni dei loro diritti fondamentali.