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  • Giovedì 4 luglio 2019

La storia della donna dell’Alabama incriminata per la morte del suo feto

Le avevano sparato alla pancia durante una lite ed era stata accusata di aver provocato "intenzionalmente" la morte del bambino non nato: ora è stata scagionata

Marshae Jones
(Jefferson County Sheriff’s Office via AP)
Marshae Jones (Jefferson County Sheriff’s Office via AP)

La procuratrice distrettuale dell’Alabama ha deciso di non perseguire Marshae Jones, una 28enne che lo scorso dicembre quando era incinta era stata ferita alla pancia da un proiettile ed era stata poi incriminata per la morte del suo feto, a Pleasant Grove. Quella decisione era stata presa da un grand giurì, una giuria composta da cittadini estratti a sorte, chiamata a stabilire se le prove raccolte contro una persona siano sufficienti a iniziare un processo. Jones, che era incinta di cinque mesi, era stata accusata di omicidio, ritenendo che fosse stata lei a iniziare il litigio che era poi degenerato, e che avesse «causato intenzionalmente la morte» del feto creando le condizioni perché un’altra donna le sparasse. La procuratrice ha spiegato la decisione dicendo: «Ci dobbiamo chiedere se sia appropriato ritenere qualcuno legalmente colpevole delle azioni che hanno portato alla morte di un bambino non nato. Non ci sono vincitori, solo colpevoli, questa è la triste realtà».

Secondo la ricostruzione della polizia, la lite tra Jones e un’altra donna, una 23enne di nome Ebony Jemison, sarebbe iniziata in un parcheggio. Jones avrebbe continuato a provocare Jemison anche quando questa era entrata in macchina per mettere fine al litigio; a quel punto però Jemison aveva preso un fucile e aveva sparato a Jones. Altri testimoni hanno raccontato che Jemison avrebbe sparato a terra un colpo di avvertimento e che il proiettile avrebbe poi colpito la pancia di Jones. Inizialmente la polizia aveva incriminato Jemison per la morte del bambino, ma il grand giurì aveva stabilito che aveva agito per legittima difesa e aveva ritenuto invece responsabile Jones. Il tenente della polizia aveva detto che «l’indagine ha mostrato che l’unica vera vittima era il bambino non nato» e che «è stata la madre del bambino a iniziare e continuare il litigio», e quindi doveva essere considerata responsabile per la sua morte anche se era stata Jemison a sparare.

La storia era stata ripresa dalla stampa di tutto il mondo a fine giugno, quando Jones era stata arrestata su richiesta del grand giurì. Le associazioni in difesa dei diritti delle donne e dei neri (Jones è nera) avevano criticato l’arresto, sostenendo che la storia fosse un esempio della durezza con cui vengono trattate le donne incinte e non bianche in stati come conservatori come l’Alabama, e della forza di stereotipi come quello sulle “donne nere che non sanno fare le mamme”; mostrava anche i rischi degli argomenti di chi vorrebbe equiparare i diritti del feto a quelli dei bambini nati.

A Pleasant Grove, una città di 10.000 persone nella periferia di Birmingham, la maggior parte delle persone è favorevole alle armi ma è contraria all’aborto e molte persone pensano che «un bambino non nato abbia gli stessi diritti di uno vivo», come ha raccontato al New York Times Sharonda Hall, una 38enne laureata in diritto penale. L’Alabama è uno dei 38 stati degli Stati Uniti ad avere leggi sull’omicidio del feto e a maggio ha approvato una legge che vieta quasi completamente l’aborto, anche nei casi di stupro o incesto; prevede anche 10 anni di carcere per i medici che proveranno a praticarne uno, e 99 anni se lo porteranno a termine; la legge entrerà in vigore a novembre. Lo scorso novembre gli elettori dell’Alabama avevano votato a favore di un referendum per emendare la Costituzione statale affinché riconoscesse «la santità della vita non nata e i diritti dei bambini non nati».