Come ricordano gli animali
Scimpanzé, ratti, delfini e topi si preparano al futuro ripensando al loro passato, dimostrando di fare tesoro dei loro ricordi
Frans de Waal è un primatologo olandese, uno studioso dei primati non umani tra i più stimati e conosciuti al mondo, anche grazie alla sua lunga attività da divulgatore. Nel suo ultimo libro, Mama’s Last Hug (non ancora tradotto in italiano), de Waal racconta ricerche e studi che hanno analizzato la capacità degli animali di ricordare, rielaborando le loro esperienze passate per prepararsi al futuro. Questi processi, con diversi gradi di complessità, sono svolti da animali appartenenti a numerose specie tra cui scimpanzé, uccelli e perfino topi e ratti.
Un topo che si trova davanti a un bivio, per esempio, impiega di solito qualche secondo prima di decidere come proseguire. Secondo gli studi più recenti, prima di arrivare a una decisione un topo deve proiettare se stesso nel futuro. Le analisi dell’attività nel loro ippocampo, la parte del cervello con un importante ruolo nel gestire la memoria, hanno evidenziato come i topi mettano a confronto i ricordi dei percorsi già compiuti, per immaginare i loro percorsi futuri. Questo implica che un topo sia in grado di distinguere tra un’esperienza già vissuta e un’azione che invece non ha ancora svolto, una condizione che richiede una sorta di “io primordiale”.
Secondo alcuni, le conclusioni su questa consapevolezza di sé potrebbero essere azzardate, perché derivano dal modo in cui funzioniamo noi. Per decidere che strada prendere a un bivio, facciamo in parte ricorso alla consapevolezza di noi stessi, condizione che viene quindi usata come una prova per dire che lo stesso debba avvenire in altri animali che mostrano comportamenti simili. È una derivazione interessante, ma come spiega de Waal può essere rischiosa: “Fa affidamento sull’assunto che ci possa essere solo un modo di risolvere un problema”.
Tra gli esperimenti più interessanti sulla memoria e i ricordi negli animali c’è quello di David e Ann Premack, due psicologi che negli anni Novanta eseguirono diversi test con Sarah, una scimpanzé. In sua presenza, uno sperimentatore inseriva una banana in una scatola e una mela in un’altra scatola. Dopo qualche minuto, lo sperimentatore si mostrava a Sarah mentre mangiava una banana o una mela, poi lasciava la stanza lasciando alla scimpanzé la possibilità di controllare le scatole.
Sarah aveva davanti a sé un bel dilemma: aveva visto lo sperimentatore mangiare uno dei due frutti, ma non aveva idea di come se lo fosse procurato. Nella maggior parte dei casi, Sarah sceglieva di andare a controllare la scatola col frutto che non era stato mangiato dallo sperimentatore: se lui aveva mangiato una banana, la scimpanzé ispezionava la scatola con la mela, e viceversa. Secondo i ricercatori, Sarah aveva concluso che lo sperimentatore si fosse procurato il frutto da uno delle due scatole e che avesse senso dedicarsi all’altro frutto, sicuramente ancora nel contenitore.
Buona parte degli animali, avrebbero scritto in seguito i Premack, non si comportano in questo modo: avrebbero semplicemente notato un tizio che mangiava un frutto, senza farsi molte domande sulle sorti del contenuto delle due scatole. Gli scimpanzé cercano una sequenza negli eventi, trovando una logica.
Le ricerche più recenti nel campo delle neuroscienze indicano che la coscienza è una capacità che ci consente sia di immaginare il futuro, sia di trovare relazioni negli eventi passati. Gli studi sugli animali stanno portando nuovi indizi circa la loro capacità di fare qualcosa di simile.
Da tempo i ricercatori sanno che i ratti evitano gli alimenti che in precedenza si sono rivelati tossici, anche se questi hanno indotto in loro nausea e malessere diverse ore dopo averli assunti. Questo comportamento non può essere spiegato con una semplice associazione e sembra implicare il ricorso a un ricordo, che consenta di ripensare agli alimenti assunti per escludere quelli che hanno avuto effetti negativi. Un processo simile a quello che seguiamo noi stessi quando subiamo un’intossicazione alimentare e decidiamo di non andare più al ristorante che ce l’ha causata, o di non consumare particolari alimenti.
Altri studi sembrano confermare il fatto che i ratti siano in grado di usare i loro ricordi, riproducendoli nel loro cervello. Queste “memorie episodiche” sono una cosa diversa rispetto all’apprendimento associativo, come quello che interessa un cane quando impara a rispondere al comando “seduto” perché sa che facendolo riceverà in premio qualcosa, di solito un croccantino. L’addestratore in questo caso sa che deve dare il premio subito, per rinforzare nel cane l’effetto positivo di avere ubbidito a un comando. La memoria episodica funziona invece diversamente e indica la capacità di ripensare autonomamente a un evento specifico, nei propri ricordi.
Le memoria episodica ha probabilmente un ruolo nel comportamento di alcuni scimpanzé del Parco nazionale di Taï nella Costa d’Avorio. La primatologa olandese Karline Janmaat ha osservato come questi animali si organizzino per essere i primi a raggiungere gli alberi da frutta, battendo la concorrenza di altre specie e prendendosi qualche rischio in più di essere cacciati dai predatori.
Si svegliano prima dell’alba e si mettono in marcia verso gli alberi dai quali hanno già mangiato, dimostrando di ricordare quali sono quelli più ricchi di frutta. Sanno inoltre che per raggiungere gli alberi più distanti dovranno svegliarsi ancora prima, rispetto a chi raggiunge le piante più vicine. Janmaat ritiene che questo sia un indizio circa la capacità degli scimpanzé di avere un’idea delle distanze e del tempo necessario per coprirle, serbando inoltre il ricordo delle strategie migliori per ottenere una ricca colazione.
De Waal ricorda che ci sono inoltre studi interessanti sulla metacognizione, che fa riferimento alla consapevolezza di sapere qualcosa:
Mettiamo che qualcuno mi chieda se preferisco rispondere a una domanda sulla musica pop dei Settanta o sui film di fantascienza. Sceglierei sicuramente la prima categoria, perché è ciò che conosco meglio. So che cosa conosco. Questo tipo di esperimenti sono stati condotti su animali (compresi primati, uccelli, delfini e ratti), dimostrando che anche loro hanno diversi livelli di sicurezza su ciò che sanno. Eseguono alcuni compiti senza esitazione, mentre in altri casi non riescono a trovare una soluzione, mostrando di essere in dubbio.
Al delfino Natua fu proposto un test nel quale doveva indicare se stesse sentendo un tono alto o basso, toccando con il muso la paletta corrispondente. Quando la prova era relativamente semplice, Natua nuotava a grande velocità verso la paletta giusta per dare la risposta, dimostrando una certa consapevolezza nel conoscere la risposta corretta. Nei casi di incertezza, invece, rimaneva molto più a lungo a nuotare nella vasca prima di rispondere. In diversi casi, Natua toccava la paletta che indicava una rinuncia e la richiesta di una nuova prova, a indicazione di essere consapevole di non riuscire a superare il test.
Gli esperimenti per testare la capacità degli animali di maturare una certa consapevolezza dei loro ricordi offrono ancora risultati discordanti, rendendo molto difficile la formulazione di conclusioni affidabili. Negli ultimi anni, comunque, le ricerche hanno portato elementi convincenti circa la capacità degli animali di muoversi consapevolmente lungo la dimensione temporale, facendo tesoro delle loro esperienze e conoscenze acquisite. Il fatto di compiere decisioni facendo affidamento sui ricordi, conclude de Waal, può indicare la loro capacità di provare emozioni, e dovremmo quindi iniziare a prestare attenzione a come determinate esperienze li facciano sentire.