I media si scansano
Un saggio di Fabio Martini della Stampa racconta il ruolo laterale e protagonista insieme del giornalismo italiano negli sviluppi politici, da Berlusconi a quelli che ci sono ora
Fabio Martini, inviato della Stampa che da molti anni è uno dei più importanti ed esperti giornalisti che si occupano di politica sulle testate maggiori, ha scritto per il trimestrale Rivista di Politica una estesa e accurata – e assai critica – ricostruzione del ruolo dei mezzi di informazione italiani nella costruzione degli sviluppi politici dalla fine della “Prima Repubblica” a oggi: con particolare attenzione alla loro partecipazione al successo dei “populismi” italiani e agli sviluppi più attuali. Questi sono alcuni passaggi di Martini, il testo completo è qui.
Una complicità “involontaria”, quella del populismo mediatico, tipica degli ultimi decenni, ma che si intreccia con una complicità di più antica data. Il giornalismo italiano ha scritto grandi pagine in tutte le stagioni – dal pre-fascismo al dopo-Tangentopoli – ma senza mai sentire come propria una vocazione al quarto potere e interpretando semmai una tendenza al fiancheggiamento di tutti i poteri. Poteri non necessariamente di governo. Anche di opposizione. Con un consociativismo diffuso in tutti i rami dell’informazione: i giornalisti giudiziari sono indulgenti con i magistrati, i critici cinematografici con i grandi registi e lo stesso vale per il giornalismo sportivo, culturale, sindacale, per non parlare di quello economico. Con una tentazione comune: partecipare al gioco, consigliare il potente. Condizionarlo. Dettargli la linea.
[…] oggi i vecchi media – per quanto meno creduti di un tempo – sono capaci di “produrre” più effetti politici che nel passato. Proprio nello spirito del proverbiale affresco di Forcella vale la pena riprendere la riflessione critica e autocritica, intanto da parte di quei giornalisti – come chi scrive – che sono “autori” del racconto della politica di questi anni. Se l’escalation delle forze anti-sistema in Italia sinora è stata nettamente più potente che altrove – anche più degli Stati Uniti, dove Donald Trump ha preso quasi tre milioni in meno di Hillary Clinton – le ragioni non possono che esser tante e tra queste è interessante mettere a fuoco se e quale sia stato il concorso dei media.
[…] Ma il genere giornalistico che si afferma in questi anni – e diventerà presto tipico della tradizione italiana – è il retroscena. Una “testatina” che nasce nell’autunno del 1990[7] con l’idea di accendere i riflettori dietro la scena, scavando tra parole, pensieri e fatti che prendono luce per effetto della capacità del giornalista. Un lavoro che, quando è ben fatto, è di grande soddisfazione per il lettore. Per molti anni un luogo di qualità. Ma come tutti i generi di successo, inflazionandosi, da una parte diventa maniera, dall’altro attira l’interferenza interessata dai politici. Come ha spiegato una volta per tutte nel 2017 Guido Quaranta, per tanti anni pioniere solitario di un giornalismo irriverente: «Oggi mi sembra che i retroscena siano dettati dai politici, sui giornali finiscono le frasi che loro hanno interesse a far uscire, per scambiarsi qualche messaggio in codice».
Oltretutto nel retroscena le notizie vere talora si intrecciano con virgolettati apocrifi e notizie più orecchiate che vere. Teoricamente notizie destabilizzanti e invece raramente scattano le smentite. O perché il politico di turno (o il suo spin-doctor) sono gli autori occulti di quelle indiscrezioni. Oppure perché è comodo far credere che la notizia sia vera. Anche se è falsa. Ma la parziale deformazione della realtà si consuma per tante vie. Per non perdere troppo terreno dalla tv, i grandi giornali hanno dato sempre maggior spazio ad una titolazione enfatica, un fenomeno che ha fatto scrivere a Pietro Citati: «Grandi titoli irreali annunciano gli avvenimenti; e spesso non hanno alcun rapporto coi fatti né coi resoconti, come una incantevole musica astratta».
In definitiva i retroscena e i titoli irreali sono due porti franchi nei quali vero, parzialmente vero e falso convivono. In definitiva sui giornali – oltre a tanto e solido prodotto professionale – si esprime un linguaggio convenzionale, al confine tra verità ed esagerazione, al quale finiscono per assuefarsi sia chi scrive, sia chi legge. Tutti pienamente consapevoli che ciò che è pubblicato, può essere vero, esagerato, ma anche falso. E alla lunga questo fenomeno, da una parte erode la credibilità dei giornali e al tempo stesso sdogana la categoria del verosimile, che al momento opportuno sarà sposata con entusiasmo dai politici.
(leggi per intero su Rivista di Politica)
– Luca Sofri: Servi vostri