Come è andato il secondo dibattito dei Democratici
Hanno partecipato altri dieci candidati alle primarie, tra cui l'ex vicepresidente Joe Biden, Bernie Sanders e Kamala Harris
Giovedì sera – quando in Italia era la notte tra giovedì e venerdì – si è tenuto il secondo confronto televisivo tra i candidati del Partito Democratico alla presidenza degli Stati Uniti, che competeranno nelle elezioni primarie dal prossimo febbraio. Si è trattato del secondo appuntamento del primo dibattito, che era iniziato la sera precedente con i primi dieci candidati. Sul palco di NBC a questo giro ce n’erano altri dieci (sono state organizzate due serate proprio perché ci sono molti candidati), mentre altri sono stati esclusi perché non soddisfano i requisiti decisi dal partito per partecipare ai dibattiti. I candidati sono quindi tantissimi e i dibattiti televisivi programmati dal partito saranno in tutto dodici.
I sondaggi – che a questo punto della campagna elettorale vanno presi con enorme cautela – descrivono fin qui una situazione molto equilibrata, con cinque candidati davanti agli altri: l’ex vicepresidente Joe Biden, il senatore Bernie Sanders, la senatrice Elizabeth Warren, il sindaco Pete Buttigieg, la senatrice Kamala Harris. Nel primo dibattito l’unica favorita era Warren, mentre gli altri erano dati dai sondaggi dallo zero al tre per cento nei sondaggi: questo aveva portato alla predominanza di Warren e delle sue idee mentre gli altri cercavano di sgomitare per farsi notare. Nella seconda serata invece la competizione è stata più agguerrita, vista la presenza dei quattro grossi favoriti: Sanders, Biden, Buttigieg e Harris; oltre a loro c’erano il senatore Michael Bennet, la senatrice Kirsten Gillibrand, l’ex governatore John Hickenlooper, il deputato Eric Swalwell, la scrittrice Marianne Williamson e l’imprenditore Andrew Yang.
Il dibattito è stato dominato dagli attacchi all’ex vicepresidente Joe Biden, che ha dovuto giocare quasi sempre in difesa. In particolare i suoi avversari hanno cercato di distanziare la sua immagine da quella dell’ex presidente Barack Obama, di mettere in dubbio l’idea che sia l’unica figura in grado di unificare il Paese e di mostrare come rappresenti un mondo passato e non sia più in grado di rispondere alle sfide e alle complessità di oggi. Biden, che non partecipava ad un dibattito da sette anni, si è dovuto difendere su molti fronti: il suo operato, le sue opinioni personali, le sue posizioni sull’immigrazione e sull’aborto.
Il momento più “bruciante”, ha scritto il New York Times, è arrivato quando la senatrice Kamala Harris – figlia di padre giamaicano e madre indo-americana – lo ha incalzato sul “tema della razza”. Dopo aver esordito con “non penso che lei sia razzista”, ha ricordato che negli anni Settanta si era opposto al cosiddetto busing. Fu uno dei modi usati dal governo per mettere fine alla segregazione razziale mescolando gli studenti, che venivano trasportati sull’autobus in scuole diverse da quella di quartiere (e quindi un bambino nero che si sarebbe ritrovato in una scuola di soli neri finiva per frequentarne una anche con bianchi). Harris ha raccontato che «c’era una bambina in California che faceva parte del programma per favorire l’integrazione dei neri nelle scuole pubbliche e ogni giorno veniva portata a scuola dall’autobus. E quella bambina ero io».
Biden si è difeso ricordando il suo passato a sostegno dei diritti civili degli afroamericani e ha attaccato Harris su un suo punto debole, quello di essere stata per sei anni procuratrice generale della California, dalla parte dell’accusa e non della difesa del popolo. La sua risposta è rimasta comunque meno impressa di quella di Harris che, scrive il New York Times, è quella che questa notte si è impegnata di più per far avanzare la sua candidatura e «ha ricordato ai Democratici perché erano stati così affascinati dalla sua decisione di candidarsi», lo scorso gennaio. Harris ha anche mostrato di essere molto abile nei dibattiti: Biden per esempio, pur difendendosi bene, ha mostrato dei momenti di insicurezza e ha interrotto raramente gli altri, e lo stesso si può dire di Sanders «le cui idee hanno dominato, ma lui no», come ha scritto il New York Times.
Quattro anni fa Sanders e Warren erano considerati tra i Democratici più di sinistra in circolazione, spesso accusati di essere “dei socialisti”. Ora le loro posizioni sono diventate maggioritarie nel partito Democratico: quando Sanders ha chiesto chi avrebbe sostenuto il “Medicare for all” (cioè l’estensione dell’attuale programma Medicare, che fornisce assistenza sanitaria pubblica agli anziani, a tutti) hanno alzato la mano sia Harris che Gillibrand. Sull’immigrazione tutti i candidati hanno espresso idee di sinistra e si sono detti favorevoli alla depenalizzazione dell’immigrazione illegale, che diventerebbe una violazione amministrativa, e all’estensione anche agli immigrati senza documenti dei servizi sanitari del governo.
L’altro candidato ben messo nei sondaggi, Pete Buttigieg – il giovane sindaco gay di South Bend, in Indiana, reduce di guerra, figlio di un emigrato maltese, che ha studiato a Harvard e conosce sette lingue – ha passato il tempo a elencare i buoni risultati della sua amministrazione e a limitare i danni per le critiche che gli sono state fatte dopo l’uccisione da parte della polizia della sua città di un uomo nero di 54 anni. Buttigieg è considerato al momento il candidato preferito degli elettori liberali e istruiti, ma deve cercare di conquistare il sostegno degli afroamericani e delle minoranze e di dimostrarsi in grado di tenere testa, in un eventuale dibattito per la presidenza, agli attacchi aggressivi di Trump.