Perché avete visto la pubblicità di un pasturatore su Instagram
Probabilmente non sapete cosa sia ma è proprio per questo che l'app di e-commerce Wish ve lo ha fatto vedere: per incuriosirvi, e vendervi altre cose
È una cosa ormai risaputa: molte delle pubblicità che vediamo su internet, sui social network ma anche su altri siti (il Post compreso) sono annunci personalizzati. Significa che vediamo certi prodotti o servizi perché siamo stati profilati in qualche modo (con i cookie, per esempio) come potenziali consumatori per quei prodotti o servizi. Di solito è facile capire perché gli algoritmi che regolano gli annunci ce ne fanno vedere alcuni e non altri: è probabile che vediate molta pubblicità di automobili dopo aver passato del tempo cercando la vostra nuova auto, per dirne una. Ma se frequentate molto Facebook o Instagram potrebbe esservi capitato di vedere anche alcuni annunci che non c’entrano assolutamente nulla con le vostre preferenze e le vostre categorie anagrafiche e, anzi, che vi mostrano oggetti di cui non sapete la funzione: quelli dell’app di e-commerce Wish. Ad esempio quello dell’immagine qui sopra.
Forse qualcuno tra i lettori di questo articolo sa di cosa si tratta (è un pasturatore, si usa per attirare i pesci in alcuni tipi di pesca), molti altri no. Wish però ha diffuso questo annuncio soprattutto per i secondi e non i primi: fa parte di una strategia per incuriosire e spingere gli utenti dei social network a scaricare un’app. Il sito di notizie americano Vox l’ha spiegato in un articolo in cui ha cercato di stabilire se la strategia funzioni e se sia sufficiente per rendere sostenibile il modello di business di un’app di e-commerce.
Wish esiste dal 2011 (anche se prima del 2013 non vendeva nulla e somigliava più a Pinterest) e come Amazon ed eBay non vende un solo genere di prodotti, ma tantissime cose molto diverse tra loro. Principalmente abbigliamento femminile, piccoli dispositivi elettronici, bigiotteria, strani prodotti per la cura del corpo e accessori di vario genere. A prima vista le caratteristiche distintive della piattaforma (marketplace, in gergo tecnico) sono che è pensata per essere usata quasi esclusivamente da una app e non da un sito e che i prodotti in vendita costano pochissimo, anche quando sono tipologie di oggetti normalmente più costosi: ad esempio, cuffie simili agli AirPods di Apple sono in vendita a 1 euro, magliette a 3 euro, un set di sei coltelli da cucina a 15 euro. Per molti di questi prodotti è indicata un’altissima percentuale di sconto di fianco al prezzo, che, come succede anche su Amazon, non significa che abitualmente quegli oggetti costino davvero tanto di più. Altri prodotti sono addirittura gratis e ai clienti è chiesto solo di pagare le spese di spedizione. I negozi del mondo reale che assomigliano di più a Wish sono le catene “tutto a un euro”.
Grazie alla pubblicità su Instagram di Wish che capisce al volo che cosa dovrei comprare!!!!! pic.twitter.com/BGRACdF4n8
— Carolina (@carolinaselva11) May 4, 2019
Wish ha sede a San Francisco, in California, ma come accade su AliExpress, il sito di e-commerce rivolto a clienti internazionali del gruppo cinese Alibaba, i venditori che lo usano per proporre i propri prodotti sono in gran parte cinesi o si trovano in altri paesi del sud-est dell’Asia, ad esempio in Myanmar o in Indonesia. Per questo i prezzi dei prodotti che propone sono molto bassi e per questo, come capita su AliExpress, il fatto di pagarli poco si accompagna a uno svantaggio: non arriveranno mai in uno o due giorni, come quando si fanno acquisti su Amazon. Una redattrice del Post ha scaricato la app e ha ordinato un pacco di 10 fantasmini gratis, pagando solo 89 centesimi di euro di spese di spedizione: dovrebbe riceverlo in 16-29 giorni lavorativi.
Un po’ per il genere di prodotti e i loro prezzi, un po’ per i lunghi tempi di attesa, i clienti abituali di Wish non sono le persone relativamente giovani, istruite e benestanti che vivono nelle grandi città e non hanno tempo di fare acquisti in negozi fisici. Nel 2016, scrivendo su Medium, il fondatore e amministratore delegato di Wish Peter Szulczewski (è di origine polacca) aveva paragonato gli utenti dell’app agli elettori di Donald Trump: sarebbero la «metà invisibile» degli americani che veniva dimenticata dagli investitori della Silicon Valley (le élite) che sostenevano di non voler puntare su Wish perché «non conoscevano nessuno che ci avrebbe comprato qualcosa».
Gli affari di Wish vanno abbastanza bene, stando a quanto dice l’azienda: nel 2018 avrebbe raddoppiato o i suoi ricavi rispetto al 2017, raggiungendo 1,9 miliardi di dollari (circa 1,7 miliardi di euro). Wish non vende nulla direttamente, diversamente da Amazon, ma per ogni acquisto fatto attraverso la sua app ottiene il 15 per cento della vendita; inoltre i venditori pagano per promuovere i propri prodotti. Dal 2011, Wish ha raccolto 1,3 miliardi di dollari di finanziamenti e nel 2017 il suo valore è stato stimato in 8,7 miliardi di dollari. Nel 2018 poi l’app di Wish è stata la più scaricata nel mondo tra quelle di e-commerce: 161 milioni di persone ce l’hanno sul proprio telefono secondo la società di consulenza Sensor Tower.
Per ottenere questi risultati Wish ha speso moltissimo in marketing: è diventata sponsor dei Lakers, la squadra di basket dell’NBA di Los Angeles, ha prodotto uno spot con sette calciatori famosissimi (tra cui Gigi Buffon) trasmesso durante gli ultimi Mondiali, ma soprattutto ha sfruttato gli annunci personalizzati sui social network, del cui funzionamento Szulczewski è molto esperto avendo lavorato per anni da Google nel settore dedicato alla pubblicità. In questo ambito, Wish si è distinta dalla maggior parte degli inserzionisti: mostra pubblicità di prodotti bizzarri o comunque interessanti solo per ristrette e precise categorie di persone senza indicare di che oggetti si tratta, al fine di incuriosire gli utenti dei social network e spingerli a scaricare la app di Wish per soddisfare la propria curiosità. Chi non vorrebbe sapere perché un sito di e-commerce venda torte di vermi?
I’ve decided to document the bizarre things that Wish tries to market to me while unable to target me with personalised ads. We begin, of course, with the worms. pic.twitter.com/ASU6SwRBQX
— Dean Buckley (@deanfbuckley) 30 maggio 2019
Vox ha avuto la conferma che c’è una strategia di marketing dietro questi annunci da Glenn Lehrman, capo della comunicazione di Wish. Dopo il download dell’app, Wish ha altri sistemi per trattenere gli utenti e spingerli a fare acquisti, ad esempio una struttura simile alle sequenze di immagini di Instagram da un lato e a quella dei videogiochi (gli esperti di comunicazione la chiamano gamification) dall’altro. L’apparentemente infinita sequenza di immagini di prodotti a prezzi scontati ha un suo corrispettivo nel “mondo reale”: le vetrine dei centri commerciali. Nel caso di Wish invece di passeggiarci di fronte, si scrolla.
Per quanto riguarda la somiglianza con le app di giochi, su Wish c’è un “gira la ruota” di “offerte lampo”: ogni giorno si può sbloccare una serie di offerte valide per soli 10 minuti, in parte su prodotti che Wish pensa possano interessare all’utente in base al suo genere (quando si installa l’app si viene interrogati in merito), in parte in base alle sue ricerche. Le ricerche comunque non sono il principale motore degli acquisti: solo il 15-20 per cento delle vendite su Wish avviene in seguito a una ricerca, nella maggior parte dei casi sono dovute all’impulso di comprare un prodotto dopo averlo visto disponibile a un prezzo bassissimo.
Lehrman ha detto a Vox che in media gli utenti di Wish scorrono la app per guardare i prodotti in vendita per 20 minuti al giorno; più di metà degli utenti che fanno un acquisto, torna per farne un altro. Sicuramente c’entrano le tattiche usate da Wish per ri-attirare gli utenti, tra cui mandare molti messaggi email: nei primi quattro giorni dopo il download dell’app la redattrice del Post ne ha ricevute 9.
Nonostante i successi però Wish non è ancora in attivo, anche perché spende moltissimo in marketing. Per riuscire a crescere e aumentare i propri guadagni cercherà di far sì che attraverso la sua app vengano venduti anche prodotti più costosi (e per cui Wish riceve commissioni più alte) e di aumentare il proprio catalogo con prodotti di marchi riconoscibili. Negli Stati Uniti ha per esempio cominciato una collaborazione con Kraft per vendere prodotti alimentari non deperibili e vorrebbe vendere sempre di più stock fallimentari di capi di abbigliamento di marca.
Per poter vendere più prodotti di marchi riconoscibili Wish dovrà sistemare le proprie regole su resi, rimborsi e controllo dei falsi per accontentare i venditori occidentali: per ora, secondo Marketplace Pulse, società di consulenza nel settore dell’e-commerce, l’87 per cento dei 139 milioni di venditori di Wish sono in Cina, solo il 7 per cento negli Stati Uniti. Gli Stati Uniti sono però il paese in cui Wish ha il maggior numero di utenti, e i paesi europei sono nel complesso quelli da cui viene fatto il maggior numero di acquisti.
La principale sfida che Wish dovrà affrontare però è legata a Donald Trump. Le politiche sui commerci internazionali dell’attuale amministrazione americana potrebbero complicare le cose per una società i cui affari si basano sulle spedizioni di merci dalla Cina. Finora Wish ha potuto tenere basse le spese di spedizione grazie a un accordo del 2011 tra le poste cinesi e quelle americane per cui ci sono tariffe speciali per i pacchi che pesano meno di 2 chilogrammi. Lo scorso ottobre Trump annunciò che avrebbe ritirato gli Stati Uniti dall’Unione postale universale (UPU), l’agenzia dell’ONU che coordina il sistema postale mondiale e che, secondo Trump, favorirebbe la Cina perché considerandola un paese in via di sviluppo mantiene molto basse le tariffe di spedizione verso gli Stati Uniti. È dunque probabile che prossimamente i prezzi di Wish non potranno più essere tanto bassi, almeno negli Stati Uniti. Per questo Wish sta investendo per usare magazzini locali sia lì che in Europa: i prezzi si alzeranno un po’, ma i tempi di spedizione saranno più brevi, fino a meno di una settimana.