A Hong Kong si protesta ancora
Nonostante la sospensione dell'emendamento sull'estradizione, decine di migliaia di persone sono scese in strada contro la leader Carrie Lam e la Cina
Nonostante la decisione di ieri del governo di Hong Kong di sospendere il contestato emendamento sull’estradizione in Cina, oggi decine di migliaia di persone sono scese in strada per manifestare. Il tentativo della leader di Hong Kong, Carrie Lam, di disinnescare le proteste non è andato quindi a buon fine; alcuni oppositori ora chiedono le sue dimissioni. Molti la accusano di non aver chiesto scusa per le violenze della polizia, che durante le proteste hanno portato al ferimento di 81 persone, e per l’arresto di 11 manifestanti; sospettano anche che la sospensione sia solo una tattica per indebolire l’opposizione e che l’intenzione di Lam sia di riproporre l’emendamento in autunno.
Le proteste sono iniziate di mattina a Victoria Square, la piazza più importante della città; molti erano vestiti di nero e reggevano cartelli in cui accusavano la Cina di uccidere gli abitanti di Hong Kong. Alcuni portavano fiori bianchi come segno di lutto per un manifestante, morto sabato nel tentativo di appendere uno striscione di protesta su una montagna. Non ci sono ancora stime ufficiali ma gli organizzatori parlano di un milione di persone, come già accaduto domenica scorsa. Anche a Taiwan, nella capitale Taipei, alcuni studenti hanno manifestato a sostegno di Hong Kong e contro l’ingerenza cinese.
Molti commentatori si sono interrogati sul futuro di Lam, che si trova nel mezzo dell’insoddisfazione dei cittadini e quasi certamente del governo cinese. Emily Lau, attivista ed ex leader del Partito Democratico di Hong Kong, ha detto a BBC che «Pechino è molto arrabbiata con Carrie Lam, e la considera un’inetta. Quindi penso che sia in grave pericolo».
L’emendamento avrebbe consentito di estradare nella Cina continentale, a Taiwan e Macao, le persone accusate di avere commesso reati gravi come omicidio e stupro; secondo gli oppositori, però, avrebbe esposto di più Hong Kong al problematico e illiberale sistema giudiziario cinese, che utilizza spesso pretestuosamente accuse come queste per minacciare i dissidenti, con la conseguenza di ridurre l’autonomia della città-isola che fino al 1997 era controllata dal Regno Unito.