La Chiesa dovrebbe abolire i sacerdoti
Lo ha proposto sull'Atlantic un importante vaticanista ed ex sacerdote, con molti argomenti
Il numero di giugno della rivista Atlantic contiene un lungo articolo che propone una misura drastica per risolvere i molti problemi e scandali che riguardano la Chiesa cattolica: abolire i sacerdoti, cioè la classe di persone che per ordine della Chiesa sono le uniche a cui viene permesso compiere una serie di riti fondamentali per la dottrina cattolica, come celebrare la Messa e assolvere i fedeli dai peccati. Più precisamente, l’articolo propone di abolire il presbiterato, cioè la condizione di sacerdote come la conosciamo oggi: una condizione riservata ai maschi che comporta teoricamente la decisione di astenersi dai rapporti familiari e sessuali.
La proposta dell’articolo non è particolarmente nuova o originale: i criteri di selezione della propria classe dirigente variano da religione a religione, e anche all’interno di alcune confessioni cristiane la persona incaricata di gestire le principali pratiche di culto può essere una donna, persino sposata. Ma negli ambienti cattolici si parla raramente di tesi così radicali, perdipiù argomentate in maniera solida. Un altro motivo di interesse riguarda l’autore dell’articolo: James Carroll è un noto giornalista e saggista americano che si occupa di Chiesa – attualmente è il vaticanista del New Yorker – e soprattutto è stato per molti anni un sacerdote della Chiesa cattolica, prima che decidesse di cambiare mestiere.
La tesi di fondo di Carroll è che l’atteggiamento auto-conservatore della classe dirigente cattolica – che chiama clericalismo, con un termine preso in prestito dall’analisi storica – ha portato la Chiesa a non mettere mai in discussione ruoli e strutture che erano nate secoli fa, in un mondo completamente diverso: su tutti proprio il sacerdozio, che Carroll definisce «tossico» e inadatto a interpretare gli insegnamenti di Gesù Cristo nel mondo contemporaneo.
Carroll racconta di essersi unito alla Chiesa in un periodo storico molto particolare, in cui il mondo cattolico fece il più grande tentativo di modernizzazione e apertura della sua storia. Parliamo del Concilio Vaticano II, una riunione di tutti i vescovi del mondo che approvò diverse riforme liturgiche – fra cui la partecipazione attiva dei fedeli alla Messa, che non doveva più essere celebrata in latino – e dottrinali, come quella che poneva i membri del clero come “servitori” della comunità, e non più leader indiscussi. Scrive Carroll:
A quei tempi ero un adolescente e vivevo coi miei genitori in una base militare in Germania, ma prestai molta attenzione al discorso portato avanti da Papa Giovanni XXIII a Roma. Una volta fermò la sua automobile mentre passava davanti alla sinagoga principale della città per salutare i fedeli ebrei che stavano bighellonando dopo la funzione. In precedenza aveva ordinato che da una popolare preghiera fosse rimosso l’aggettivo “perfido” riferito agli ebrei.
In un campo dopo l’altro, il Concilio si occupò di problemi di fondo che riguardavano l’etica, l’onestà e la giustizia sociale, avviando un profondo esame di coscienza della Chiesa come istituzione. Mi sentivo parte della generazione del Concilio. A tempo debito sarei diventato un sacerdote, fra l’altro di un ordine religioso che assorbì la visione di Papa Giovanni (quello dei paolisti) e così io stesso diventai un sostenitore di quella visione.
Come ricordano molti studiosi della Chiesa, al Concilio Vaticano II fece seguito una reazione da parte degli ambienti conservatori, forse spaventati dalla portata del cambiamento. Diverse riforme auspicate dal Concilio non vennero attuate e di lì a pochi anni, nel 1978, fu eletto Papa uno dei leader della fazione dei conservatori, cioè Giovanni Paolo II. Il sacerdozio e più in generale il funzionamento del clero non furono interessati da alcuna riforma. Continua Carroll:
I miei cinque anni da sacerdote, che pure passai nell’ala più liberale della Chiesa, mi fecero assaggiare il fetido gusto della casta. Il clericalismo, con il suo culto della segretezza, la misoginia teorizzata dalla dottrina, la repressione sessuale che pratica e il suo potere gerarchico giustificato dalle minacce di finire all’inferno, sono alla base delle storture della Chiesa cattolica. L’ossessione dei membri del clero per il proprio status cancella anche i meriti dei sacerdoti “buoni”, e distorce il messaggio di amore disinteressato verso il prossimo che la Chiesa aveva avuto il compito di diffondere.
Carroll sostiene che l’invenzione di una classe dirigente fortemente gerarchizzata e con restrizioni così severe alla propria vita personale non fosse mai stata teorizzata da Gesù Cristo: come prova, adduce il fatto che nei Vangeli non sia prescritto né il celibato – tranne una citazione in un passo molto criptico – né l’obbedienza totale ai leader religiosi, tanto che per molto tempo il Papa fu semplicemente il vescovo di Roma (ottenne la preminenza fra gli altri vescovi soltanto alla fine di una lunga battaglia politica, nel basso Medioevo).
Molte delle cariche e dei ruoli che oggi diamo per scontati sono stati costruiti soltanto più tardi, secoli dopo la nascita delle prime comunità cristiane, che invece erano sostanzialmente egalitarie. La suddivisione gerarchica e amministrativa in diocesi con a capo dei vescovi, per esempio, risale all’epoca dell’imperatore romano Costantino e del successivo editto di Tessalonica (380 d.C.) che rese il cristianesimo religione di stato.
Il celibato divenne la norma soltanto nel Medioevo dopo che fu assorbito il pensiero di un celebre studioso cristiano, Agostino d’Ippona. L’interpretazione del peccato originale dell’uomo compiuto dai personaggi biblici di Adamo ed Eva come un peccato di natura sessuale – tipico del pensiero medievale, che condannava la maggior parte dei piaceri materiali – ebbe il duplice effetto di criminalizzare la sessualità e costringere la donna ad assumere una posizione subalterna, perché colpevole di avere indotto in tentazione il maschio. Da allora, scrive Carroll, «la repressione del desiderio ha trasformato il normale impulso erotico [di un sacerdote] in un inferno sociale e psicologico».
L’istituzione del celibato aveva anche ragioni concrete: nel Medioevo la Chiesa era un vero e proprio regno con terreni e vari possedimenti, e impedire ai membri del clero di avere figli significava cancellare il rischio che i loro discendenti potessero avanzare delle pretese territoriali. Nella società contemporanea, ovviamente, un rischio del genere non esiste più: eppure l’astinenza sessuale viene ancora oggi predicata, i rapporti sessuali stigmatizzati, e la donna viene ancora largamente considerata come subalterna all’uomo (tanto che le viene precluso qualsiasi ruolo dirigenziale). Scrive Carroll:
A un certo punto il tratto esclusivamente maschile della Chiesa e la sua misoginia diventarono inseparabili dalla sua struttura. La colonna portante del clericalismo è semplice: le donne sono subalterne agli uomini. I fedeli comuni sono subalterni ai sacerdoti, che sono “ontologicamente” superiori perché appartengono alla Chiesa. Dato che il celibato rimuove eventuali legami familiari o altre obbligazioni, i sacerdoti sono stati incastrati in una gerarchia che replica il sistema feudale in uso nel Medioevo.
Una struttura così verticale ed elitaria finisce inevitabilmente per tendere all’autoconservazione del proprio status e del potere acquisito: motivo per cui diventa impermeabile agli stimoli esterni:
«Dovremmo sorprenderci del fatto che uomini abituati a considerarsi tanto potenti – quasi come alter Christus, un altro Gesù Cristo – possano smarrirsi nell’egocentrismo? O che abbiano difficoltà a distanziarsi da un sistema feudale che garantisce loro una comunità e le eventuali promozioni, per non parlare poi di uno status a cui i fedeli laici non potranno mai accedere? Oppure, ancora, che la Chiesa preveda la scomunica per ogni donna che celebri una Messa, e nessuna punizione del genere per un sacerdote pedofilo? Il clericalismo si autoalimenta e si sostiene da solo: fiorisce nella segretezza, e pensa solo a se stesso»
La prassi dell’autoconservazione diventa evidente, per esempio, quando la Chiesa deve occuparsi delle conseguenze della repressione sessuale che impone ai membri del clero. È successo in Pennsylvania, dove un recentissimo rapporto di un tribunale ha stabilito che negli ultimi decenni circa 300 sacerdoti hanno compiuto abusi sessuali su minori, in Irlanda, in Germania, e in diversi altri paesi: in tutti questi casi, scrive Carroll, «la Chiesa ha messo a tacere le vittime, spostato l’attenzione delle forze dell’ordine, e protetto i violentatori».
Caroll spiega che all’inizio del pontificato di Papa Francesco sperava che la Chiesa potesse cambiare: ma dopo alcuni gesti incoraggianti, per esempio scusarsi ripetutamente per gli abusi compiuti da membri del clero, «non ha detto una parola su chi cresce questi “lupi” o li mette in libertà: peggio, ha ignorato la natura specifica di questo crimine sottolineando che le violenze e gli abusi sui minori accadono ovunque, come se i reati compiuti dal clero cattolico non fossero poi peggiori».
Oggi Carroll ha smesso di andare a messa, e dice di avere dentro di sé «un oceano di lutto» per le condizioni della Chiesa. Ma al contempo, sostiene che la Chiesa possieda gli anticorpi per occuparsi dei propri problemi: e come cambiò radicalmente durante gli ultimi decenni dell’Impero Romano, così potrebbe farlo di nuovo, in futuro.
Il futuro arriverà senza farsi notare, passo dopo passo, come fa sempre […] Ma arriverà. Fra un secolo la Chiesa cattolica esisterà ancora, contateci. Se in passato fu appropriato, per la Chiesa, adottare strutture politiche del tempo – la Roma imperiale, l’Europa feudale – perché non dovrebbe assorbire i valori e la forma della democrazia liberale?
Potrebbe non essere inevitabile, ma è una possibilità. La Chiesa che immagino sarà governata dai fedeli, sebbene il verbo “governare” sarà meno appropriato di “servire”. Ci saranno dei leader che condurranno le preghiere della loro comunità, e a causa della ricca tradizione riusciranno a toccare delle corde nel profondo della storia umana, e questi nuovi leader potrebbero essere chiamati sacerdoti: ma fra di loro ci saranno anche le donne, e persone sposate. Saranno ontologicamente uguali a chiunque altro, e non dovranno la loro fedeltà a un capo feudale.