Nove risposte sull’attacco alle petroliere nel Golfo dell’Oman
Spiegato nel modo più semplice possibile: cos'è successo esattamente? Quante versioni della storia ci sono? E soprattutto, perché?
di Elena Zacchetti
Giovedì due petroliere sono state attaccate nel Golfo dell’Oman, costringendo gli equipaggi a farsi soccorrere da altre navi che si trovavano nell’area. Sembra che l’attacco sia stato compiuto facendo esplodere mine navali posizionate sugli scafi, ma ci sono ancora diverse cose poche chiare nell’intera vicenda. Negli ultimi due giorni Iran e Stati Uniti si sono accusati a vicenda, e la tensione potrebbe creare altre situazioni pericolse. Abbiamo messo in fila nove domande e risposte, per fare un po’ di chiarezza.
1. Dov’è il Golfo dell’Oman?
Il Golfo dell’Oman, come si vede dalla mappa qui sotto, collega il mar Arabico con lo Stretto di Hormuz: sulla sponda nord c’è l’Iran, su quella sud c’è l’Oman. È un’area strategicamente molto importante, perché un terzo del commercio mondiale di petrolio – quello che riguarda il greggio estratto nei paesi del Golfo Persico – passa dallo Stretto di Hormuz (nel 2016 passarono dallo Stretto 18,5 milioni di barili di greggio al giorno). Chi controlla questo pezzo di mare controlla le sorti energetiche di diversi paesi del mondo.
2. Cosa è successo alle due petroliere, per certo?
Alle 6.21 di giovedì mattina una nave militare statunitense ha ricevuto il primo segnale di emergenza dalla Kokuka Courageous, petroliera giapponese partita dall’Arabia Saudita e diretta verso Singapore: diceva di essere stata danneggiata da un ordigno esplosivo che aveva provocato un incendio nella sala motori. Il secondo segnale di emergenza è arrivato alle 7 dalla Front Altair, petroliera norvegese proveniente dagli Emirati Arabi Uniti e diretta a Taiwan: anche il suo equipaggio parlava di un attacco, di diverse esplosioni e di un successivo incendio. Entrambe le navi sono state evacuate, senza che nessun membro degli equipaggi fosse ferito.
3. Qual è la versione del governo statunitense?
Gli Stati Uniti hanno accusato l’Iran. Giovedì sera l’esercito statunitense ha diffuso un video girato nel pomeriggio che sembra mostrare alcune Guardie rivoluzionarie – potente unità di élite dell’esercito iraniano responsabile di diverse operazioni militari all’estero – mentre rimuovono una mina inesplosa dallo scafo della Kokuka Courageous. Altre due foto (qui) mostrano il danno provocato dall’esplosione di una mina e la presenza di un’altra mina non esplosa sullo scafo della stessa petroliera.
Secondo il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, l’unico responsabile di questo attacco può essere l’Iran: porterebbero lì indizi di intelligence, il tipo di armi usate, il livello di esecuzione dell’operazione, alcuni precedenti e il fatto che nessun gruppo che opera nell’area sembra avere le risorse e le capacità per realizzare un’operazione così complessa.
4. Ci sono altre versioni?
Sì. C’è la versione di Yutaka Katada, il presidente della società giapponese a cui appartiene la Kokuka Courageous, che ha parlato di due «oggetti volanti» (forse due proiettili) visti dall’equipaggio e responsabili delle esplosioni. Un’altra versione dei fatti, anche se molto generica, è stata data dall’Iran, che ha negato qualsiasi coinvolgimento. Tra giovedì e venerdì il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, ha pubblicato alcuni tweet per sostenere che l’intera operazione avrebbe avuto l’obiettivo di sabotare la visita in corso in Iran del primo ministro giapponese Shinzo Abe: in pratica sarebbe stata un’operazione architettata appositamente per danneggiare l’Iran.
Reported attacks on Japan-related tankers occurred while PM @AbeShinzo was meeting with Ayatollah @khamenei_ir for extensive and friendly talks.
Suspicious doesn't begin to describe what likely transpired this morning.
Iran's proposed Regional Dialogue Forum is imperative.
— Javad Zarif (@JZarif) June 13, 2019
5. Perché è pericoloso quello che è successo?
L’attacco di giovedì non è il primo di questo tipo nel Golfo dell’Oman. Il 12 maggio scorso c’era stato un attacco simile contro quattro petroliere al largo degli Emirati Arabi Uniti, anche questo secondo gli Stati Uniti compiuto dall’Iran, storico rivale regionale degli Emirati e dell’Arabia Saudita. Un mese prima il governo iraniano aveva detto che se gli Stati Uniti avessero bloccato tutte le esportazioni iraniane, l’Iran avrebbe interrotto il flusso di petrolio nello stretto di Hormuz: aveva minacciato insomma di fare quello proprio quello che è successo giovedì, ha detto il segretario di Stato americano Mike Pompeo.
Il rischio ora è che si alzi ulteriormente la tensione, che potrebbe avere diverse conseguenze: un aumento significativo del prezzo del petrolio a livello mondiale, per esempio, o l’inizio di un conflitto tra potenze nemiche evitato di un soffio per mesi.
6. Chi è contro chi?
Semplificando un po’, gli schieramenti sono due: da una parte ci sono gli Stati Uniti e la maggior parte delle monarchie del Golfo Persico ricche di petrolio, soprattutto Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti; dall’altra c’è l’Iran appoggiato da alcuni alleati, tra cui i ribelli houthi dello Yemen e in parte il Qatar, che si trova in una posizione un po’ complicata. Lo scontro principale – e che va avanti da decenni, con momenti migliori e altri peggiori – è quello tra Iran e Arabia Saudita, che però non si è ancora combattuto direttamente e ha ramificazioni in molti altri paesi: per esempio in Yemen, dove i ribelli houthi appoggiati dagli iraniani combattono contro il governo dell’ex presidente yemenita appoggiato dai sauditi; o in Qatar, dove da due anni sauditi e alleati impongono un embargo quasi totale per punire il regime qatariota del suo semi appoggio a Teheran.
La rivalità Arabia Saudita-Iran è pericolosa anche perché si estende molto al di fuori dei rispettivi confini nazionali: se le tensioni diventano guerra in un posto, nessuno sa dire con certezza cosa accadrà negli altri posti.
7. Si è già combattuta qualche guerra nello Stretto di Hormuz?
Le preoccupazioni degli ultimi mesi non sono proprio infondate: c’è un precedente, una guerra nella guerra.
Per quasi tutti gli anni Ottanta Iran e Iraq rimasero incastrati in quello che fu definito «uno dei più inutili conflitti» mai combattuti in Medio Oriente. Nel 1984 iniziò la cosiddetta “tanker war”, la “guerra delle petroliere”: gli iracheni attaccarono i terminali petroliferi e altre infrastrutture iraniane nel nord del Golfo Persico, l’Iran rispose attaccando le petroliere che trasportavano petrolio iracheno. La situazione peggiorò progressivamente fino a che intervennero gli Stati Uniti, mettendo in piedi il più grande convoglio navale dalla Seconda guerra mondiale, scortando le navi dal Golfo Persico fino allo Stretto di Hormuz. In una di queste operazioni, nel 1987, ci fu anche uno scontro militare diretto tra Stati Uniti e Iran. Del pericolo che accada ancora una cosa simile ne hanno scritto in diversi negli ultimi giorni: tra gli altri, Robin Wright del New Yorker e Spencer Jakab del Wall Street Journal.
8. Come siamo arrivati a questo punto?
Ci sono molte ragioni che spiegano l’aumento delle tensioni degli ultimi mesi attorno allo Stretto di Hormuz, ma una in particolare sembra avere pesato più delle altre: la decisione di Trump di ritirare gli Stati Uniti dallo storico accordo sul nucleare iraniano, senza che ci fosse stata alcuna violazione dell’accordo da parte dell’Iran. Gli Stati Uniti hanno poi imposto nuove sanzioni all’Iran e hanno reso complicatissimo per i loro alleati, tra gli altri l’Unione Europea e il Giappone, fare affari con società ed enti iraniani.
L’obiettivo dichiarato da Trump era costringere il regime iraniano a rinegoziare un accordo sul nucleare più favorevole del precedente agli interessi degli Stati Uniti, ma ha pesato anche la sua fortissima alleanza con l’Arabia Saudita, con cui si è schierato dal primo giorno della sua presidenza in un modo che non ha precedenti. Finora Trump non è riuscito ad arrivare a niente, e sembra crederci sempre meno anche lui, ammesso che ne abbia mai avuto voglia davvero: il 27 maggio diceva che l’Iran avrebbe voluto negoziare, il 13 giugno che né gli iraniani né gli americani erano pronti a discutere di nucleare.
"I do believe Iran would like to talk". – 27 May
"I would much rather talk" – 5 June
"I understand they want to talk" – 6 June
"They are not ready, and neither are we!" – 13 June pic.twitter.com/TiYS2U4HOk
— Ali Vaez (@AliVaez) June 13, 2019
9. E ora che succede?
È molto difficile fare previsioni, sia per l’imprevedibilità dell’Iran, di cui non sempre si conoscono i rapporti di potere all’interno del regime, sia per l’imprevedibilità di Trump, che in questi primi anni di presidenza ha mostrato di essere molto confuso e condizionabile in politica estera (come è successo di recente sulla Libia). Per ora l’ultima crisi sembra non avere provocato conseguenze estreme. Se dovesse ricapitare in futuro, però, sarà la dimostrazione che lo Stretto di Hormuz, così come il Golfo Persico e il Golfo dell’Oman, sono diventati posti pericolosi, con tutto quello che ne potrà conseguire in termini di prezzo del petrolio e stabilità dell’intera area.