“Un uomo solo al comando”
Settant'anni fa ci fu una delle più grandi imprese del ciclismo e dello sport, che tra moltissime altre cose rese famosa questa frase
Nel 2012 la Gazzetta dello Sport chiese a un centinaio di giornalisti di tutto il mondo di votare la migliore e più importante tappa della storia del Giro d’Italia. Fu probabilmente una delle votazioni più banali di sempre: non poteva che vincere la Cuneo-Pinerolo del 1949, la 17ª tappa del 32° Giro d’Italia. Non è solo la più nota tappa della storia del Giro d’Italia: è considerata una delle più grandi imprese ciclistiche di sempre, tra le più grandi della storia dello sport. Il merito è soprattutto della persona che la vinse, Fausto Coppi. La Cuneo-Pinerolo si corse il 10 giugno 1949, settant’anni fa.
Nel 1949, durante quel Giro d’Italia, Fausto Coppi era già Fausto Coppi: aveva vinto due Giri, uno prima e uno dopo la guerra, e una notevole serie di altre gare. Per di più l’aveva fatto correndo contro Gino Bartali, che giusto un anno prima aveva vinto il suo secondo Tour de France (secondo alcuni contribuendo a salvare l’Italia da un possibile colpo di Stato). Bartali aveva 34 anni, Coppi 29: erano i favoriti, come succedeva a quasi ogni corsa a cui partecipassero. Nelle prime tappe la maglia rosa la indossò soprattutto Adolfo Leoni, che a un certo punto era arrivato ad avere quasi dieci minuti di vantaggio su Coppi; tappa dopo tappa, però, Coppi aveva recuperato, soprattutto grazie alle salite. Prima della 17ª tappa Coppi era secondo: a meno di un minuto da Leoni e con quasi dieci minuti di vantaggio sul secondo, Bartali.
La Cuneo-Pinerolo del 10 giugno 1949 sarebbe considerata difficilissima anche oggi: figuratevi settant’anni fa, con biciclette pesanti, cambi duri e macchinosi e strade spesso sterrate. Era lunga 254 chilometri e per collegare Cuneo e Pinerolo, tra loro distanti poco più di 50 chilometri, passava dalla Francia, con salite e discese da alcuni dei più alti passi alpini dell’area, anche oltre i duemila metri d’altezza. In ordine, i passi erano: Maddalena, Vars, Izoard, Monginevro e Sestriere.
Leoni era un velocista più che uno scalatore, e Bartali era lontano. In quella tappa difficilissima a Coppi sarebbe bastato non perdere troppo tempo da Bartali e guadagnare qualcosa su Leoni: niente di così complicato. Invece decise di attaccare sulla prima delle cinque salite, a 192 chilometri dal traguardo; riuscì a staccare tutti e restare in testa fino all’arrivo, su quel percorso, a quelle altitudini, per tutto quel tempo, da solo. Coppi arrivò a Pinerolo un po’ più di nove ore dopo essere partito da Cuneo. Il secondo, Bartali, arrivò quasi 12 minuti dopo.
L’impresa della Cuneo-Pinerolo la videro in pochissimi – la tv non c’era e in cima a quei passi non riuscirono a salire in molti – ma entrò nella storia anche grazie a quelli che la raccontarono. Il radiocronista Mario Ferretti, per esempio, aprì il suo collegamento con una frase destinata a essere ricordata a lungo e utilizzata ancora oggi nei contesti più diversi, anche fuori dal ciclismo:
Un uomo solo al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto Coppi.
Tra i giornalisti a seguito del Giro c’era anche lo scrittore Dino Buzzati. Nel suo resoconto del giorno successivo parlò di Ettore e Achille e di una «tappa divoratrice di uomini», descrivendo così le vicende di Coppi e Bartali:
Non ne rivedremo più che due fino a Pinerolo. Il fuggiasco e l’inseguitore, i due massimi eroi, disputantisi a denti stretti il regno. Gli altri rimasero di dietro, sempre più indietro, separati da valloni e precipizi, lottando tra di loro strenuamente, ma ormai erano fuori di questione. Tutto era concentrato là, nel contrasto tra i due solitari e l’ansia teneva i cuori.
E poi:
La vittoria si pose al fianco di Coppi fino dal primo istante del duello. In chi lo vide non ci fu più dubbio. Il suo passo su quelle salite maledette aveva una potenza irresistibile. Chi lo avrebbe fermato? Ogni tanto per alleviare il tormento del sellino si sollevava sui pedali e pareva, tanto era leggero, che volesse distendere le membra per eccesso di vitalità, come fa l’atleta al destarsi da un lungo sonno. Si vedevano i muscoli, sotto la pelle, simili a serpenti straordinariamente giovani, che dovessero uscire dall’involucro.
Buzzati concluse il suo articolo sulla più grande impresa di Coppi parlando di Bartali.
Un vinto oggi, Bartali, per la prima volta. E questo è amaro anche perché ci ricorda intensamente la nostra comune sorte. Oggi per la prima volta Bartali ha capito di essere giunto al suo tramonto. E per la prima volta ha sorriso. Coi nostri occhi, passandogli accanto, abbiamo constatato il fenomeno. Uno dal bordo della via lo ha salutato. E lui, voltando un po’ la testa da quella parte, ha sorriso, lo scorbutico, lo scostante, l’antipatico, l’intrattabile orso dall’eterna grinta di scontento, proprio lui ha sorriso. Perché lo hai fatto, Bartali? Non sai di aver distrutto così l’ispido incanto che ti difendeva? Gli applausi, gli evviva della gente ignota cominciano a esserti cari? Così terribile è dunque il peso degli anni? Ti sei arreso finalmente?
Un altro dei corridori che gareggiarono in quella tappa, Alfredo Martini (in seguito anche commissario tecnico della nazionale), disse concentrandosi sul percorso più che sull’impresa: «Quando stavo rientrando in albergo, a tappa conclusa, mi entrò nella testa che quel tracciato non lo aveva visionato alcuno. Una tappa impostata sulla carta geografica, ma mai visionata». Diversi resoconti ricostruirono poi meglio altre vicende: si seppe per esempio che Coppi aveva attaccato in quel momento perché Bartali si era attardato per un problema. Martini disse: «Non partiva mai quando aveva Bartali a ruota. Glielo aveva detto Cavanna [suo massaggiatore e confidente]: “Quello in salita non lo stacchi. Ma se ti lascia un po’ di margine, vai. Tu sei miglior cronoman: quello non ti prende più”».
Un altro resoconto di quella tappa, meno famoso ma ugualmente esaustivo, lo fece Pierre Chany, giornalista dell’Equipe:
Nella poltiglia del Maddalena, l’ho visto [Coppi] venire via dagli altri. Sfangava, quasi sollevando la bicicletta. Lo accompagnai fino a un paesino francese, mi pare Barcelonette. Lo lasciai andare. Entrai in una trattoria. Ordinai un pasto completo dagli ‘hors-d’oeuvre al caffè. Mangiai con tempi da buongustaio. Fumai una sigaretta. Chiesi il conto. Pagai. Uscii. Stava passando il sesto.
Coppi poi quel Giro lo vinse, così come il successivo Tour de France e molte altre gare, prima di morire di malaria nel 1960. Il 15 settembre di quest’anno ci sarà invece il centenario dalla sua nascita.