Lo scandalo nella magistratura italiana, spiegato
L'inchiesta per corruzione su un magistrato romano ha esposto le pratiche relazionali e spartitorie con cui vengono decise e influenzate nomine e promozioni
«O sapremo riscattare con i fatti il discredito che si è abbattuto su di noi o saremo perduti». Con queste parole David Ermini si è rivolto ieri all’assemblea plenaria del Consiglio superiore della magistratura (CSM), l’organo di autogoverno dei giudici di cui è vicepresidente – il presidente è il capo dello Stato – nonché quello incaricato di distribuire promozioni e punizioni e di assegnare le migliaia di magistrati italiani nelle varie sedi distribuite per il paese.
Il discredito a cui si riferisce Ermini, ex deputato del PD e uno degli otto membri del CSM scelti dal Parlamento, è quello scaturito dall’indagine per corruzione che ha coinvolto uno dei più celebri e potenti magistrati italiani, Luca Palamara, ex membro del CSM ed ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati (una specie di sindacato della categoria). Secondo le accuse, Palamara avrebbe ottenuto soldi e regali da alcuni lobbisti vicini a importanti imprenditori per influenzare alcune sentenze. Palamara sarebbe poi venuto a conoscenza dell’indagine su di lui grazie alle sue amicizie tra i colleghi. A quel punto avrebbe cercato di influenzare la nomina del prossimo procuratore di Perugia, in modo da avere un alleato a capo dei magistrati che stavano indagando su di lui (la procura di Perugia è infatti competente per le indagini sui magistrati di Roma, come Palamara).
Nel corso dell’indagine sono emersi altri dettagli che, anche se direttamente hanno poco a che fare con il caso, hanno rivelato come numerosi componenti del CSM si siano incontrati con politici di vari schieramenti per concordare nomine e promozioni di giudici in questa o quella sede giudiziaria. Lo stesso Palamara trattava con alcuni colleghi per essere promosso a procuratore aggiunto di Roma e sistemare al vertice della procura un suo alleato, in sostituzione di quello che considerava un suo nemico, il procuratore Giuseppe Pignatone, andato in pensione lo scorso maggio.
Secondo quanto emerso dall’indagine, diversi magistrati hanno partecipato a riunioni con Palamara o con altri politici (si parla soprattutto di due esponenti del PD di area renziana: l’ex ministro Luca Lotti e l’ex sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri), sembra con lo scopo di accordarsi su nomine e promozioni. Le molte notizie e indiscrezioni degli ultimi giorni hanno portato alle dimissioni o all’autosospensione di cinque dei sedici membri togati del CSM (cioè quelli provenienti dalla magistratura). Alcuni di loro sono indagati per aver favorito Palamara rivelandogli delle indagini in corso nei suoi confronti, ma la maggior parte per il momento non sembra abbia commesso reati ma che si sia invece limitata a comportamenti compromettenti e imbarazzanti per la categoria.
Oggi tutti i principali quotidiani hanno intervistato importanti magistrati che hanno espresso sdegno e preoccupazione per quanto è accaduto. «In gioco c’è la credibilità istituzionale della nostra funzione», ha detto per esempio il vicepresidente dell’ANM Luca Poniz al Corriere della Sera. Giuseppe Cascini, membro del CSM, ha detto a Repubblica che l’attuale scandalo gli ricorda l’inizio degli anni Ottanta, quando si scoprì che moltissimi magistrati erano affiliati alla loggia massonica eversiva “P2”. Marzio Breda, veterano dei giornalisti che seguono il presidente della Repubblica, scrive che Sergio Mattarella è «scandalizzato» e «profondamente contrariato», e che per questo ha ordinato che si proceda rapidamente alle elezioni suppletive per sostituire quei consiglieri del CSM che si sono autosospesi o dimessi.
Altri giornali sottolineano come l’inchiesta di questi giorni stia portando alla luce fatti e comportamenti che sono da tempo ben noti agli addetti ai lavori. Da sempre, sostengono giornalisti come Filippo Facci su Libero, i magistrati si autogovernano in maniera del tutto indipendente, stabilendo promozioni e nomine sulla base di logiche politiche interne alla loro categoria. La magistratura è infatti del tutto autonoma dagli altri poteri dello Stato ed è divisa in “correnti” (come “Unità per la Costituzione” e “Magistratura Democratica”) che funzionano in modo non molto diverso dai partiti politici: alcune sono più centriste, altre più vicine alla sinistra oppure alla destra.
Queste fazioni si contendono la guida del “sindacato” ANM e poi, all’interno del CSM, decidono procedimenti disciplinari e promozioni alleandosi e scontrandosi tra loro e con i componenti “politici” del Consiglio (come il vicepresidente Ermini). Secondo Facci, quella rivelata dall’inchiesta «è solo una guerra di nomine interne alla magistratura che verranno comunque decise dalla magistratura, la quale renderà conto soltanto a se stessa».
Il sistema giudiziario italiano è da tempo considerato il meno efficiente tra tutti quelli dei grandi paesi europei. I processi, in particolare quelli civili, sono lentissimi, anche perché i tribunali non hanno abbastanza personale e sono cronicamente a corto di risorse. Tutti i tentativi di riformare il sistema fino a questo momento sono rimasti bloccati, in particolare per il frequente sospetto che siano spesso riforme “interessate” con le quali una parte del ceto politico mirerebbe a tutelarsi da eventuali procedimenti giudiziari. Il risultato di questo stallo è che la fiducia degli italiani nella magistratura, anche se è ancora alta rispetto a quella nei confronti della politica, è in costante calo da quasi vent’anni.