È un buon mese per le serie tv
Alcune interessanti novità – su tutte "Chernobyl", di cui si parla benissimo – e un po' di graditi ritorni: come la quinta stagione di "Black Mirror" o la seconda di "Big Little Lies"
Ormai è difficile tenere il passo di tutte le serie tv che escono. Ogni settimana ne arrivano di nuove: prodotte e rese disponibili da canali tradizionali, canali via cavo, canali satellitari e servizi di streaming. Un tempo le nuove serie più importanti arrivavano in autunno o in primavera ma ora, data la competizione e la frammentazione dell’offerta, ne arrivano sempre. Capita anche che ci siano momenti in cui si concentrino un notevole numero di serie tv che per tema, materiale d’ispirazione o nomi di chi ci ha lavorato sembrano stare un gradino sopra le altre. Giugno è uno di quei momenti: perché ci sono tre importanti ritorni e almeno altri tre nuovi arrivi.
Visto che già si fa fatica a trovare il tempo per guardarle, le serie, è probabile che pochi abbiano anche il tempo da dedicare alla scelta delle serie da guardare. Qui avanti ci sono un paio di coordinate per capire, a seconda dei gusti e delle passioni, su cosa puntare.
Good Omens (dal 31 maggio su Amazon Prime Video)
Una cosa che accomuna le altre serie che stanno per arrivare è che non sono particolarmente allegre. Quindi, se tra le altre cose andate in cerca di qualche risata, questa è quella che fa al caso vostro, perché parla dell’Apocalisse ma lo fa con umorismo.
È tratta da un libro del 1990 di Terry Pratchett e Neil Gaiman (autore anche di American Gods, che però è molto più cupa). Il titolo italiano del libro è Buona apocalisse a tutti! e parla di un angelo e un demone che si conoscono da migliaia di anni e provano insieme a evitare l’Apocalisse, e per farlo devono trovare l’anticristo, che è un ragazzo di 11 anni. I due protagonisti sono interpretati da Michael Sheen e David Tennant. Nella versione originale Dio ha la voce di Frances McDormand e Satana ha la voce di Benedict Cumberbatch. L’arcangelo Gabriele è John Hamm.
Quindi: ci sono ottimi attori e una storia brillante e vivace, tratta da un libro di successo, scritto da un autore di culto (Gaiman) che è anche stato produttore e sceneggiatore della serie. È da guardare se vi piace Gaiman, se vi è piaciuta American Gods, o – come ha fatto notare Marco Villa su IL (il magazine del Sole 24 Ore) – se siete fan di Doctor Who. Chi ne parla bene ha apprezzato soprattutto le scene con i due protagonisti (compresa quella che racconta la loro millenaria “amicizia“, secondo alcuni quasi una storia d’amore). Chi ne parla male dice che la serie è troppo fedele al libro e quindi inutilmente complicata e piena di personaggi secondari che funzionano meno bene dei due protagonisti.
When They See Us (dal 31 maggio su Netflix)
È una miniserie che racconta un caso di cronaca famosissimo negli Stati Uniti: la storia di cinque adolescenti – quattro neri e un sudamericano – che nel 1989 furono ingiustamente accusati di aver assalito una donna a Central Park, a New York. La storia va poi avanti fino al 2014, quando si concluse la vicenda giudiziaria dei cinque. Ma non è un documentario: ci sono cioè attori che interpretano i protagonisti della vicenda, non solo immagini di archivio o interviste ai protagonisti. L’autrice di When They See Us è Ava DuVernay, la regista di Selma – La strada per la libertà e di XIII emendamento.
Negli Stati Uniti se ne sta parlando molto per due motivi: perché la storia è davvero famosa (tutti i principali siti e giornali hanno in questi giorni più di un articolo sulla serie e la vicenda) e perché la mini-serie (composta da quattro episodi, l’ultimo dei quali lungo 88 minuti) è stata in genere molto apprezzata. Daniel D’Addario ha scritto su Variety che la serie è migliore dalle tante altre serie di “true-crime” (quelle che rievocano veri casi giudiziari) perché è più interessata alla vicenda e ai suoi significati che «al volgare piacere che le vicende true-crime spesso offrono agli spettatori. Sophie Gilbert ha scritto sull’Atlantic:
A DuVernay non interessa re-investigare il caso e nemmeno scavare nelle circostanze da cui è generato. Il suo interesse è raccontare cinque individui le cui identità furono cancellate e riscritte [dai media e dal processo nei loro confronti] prima ancora che potessero finire la terza media.
La quinta stagione di Black Mirror (dal 5 giugno su Netflix)
Da mercoledì sarà disponibile la quinta stagione, formata da tre episodi. È difficile basarsi sul passato per dire come saranno questi nuovi episodi, perché l’unica cosa che accomuna gli episodi di Black Mirror è che sono scritti dallo stesso autore (Charlie Brooker) e che parlano a vario modo di un futuro non piacevole per colpa di qualche tipo di tecnologia o di suo uso. La quarta stagione andò in onda nel 2017 (alcuni episodi piacquero di più, altri di meno) e nel frattempo è uscito anche il film interattivo Bandersnatch, che di certo ha fatto parlare di sé.
Far parlare di sé è proprio il principale merito dei 22 episodi di Black Mirror usciti fin qui. I tre della quinta stagione parleranno di una sorta di bambola-robot-intelligenza-artificiale di una pop star interpretata da Miley Cyrus, di un autista (interpretato da Andrew Scott, il prete della seconda stagione di Fleabag) che si sfoga contro la pervasività della tecnologia nella sua vita e di una coppia la cui vita matrimoniale è resa complicata dalla presenza delle app e della realtà virtuale. Ma sono episodi di Black Mirror: è difficile parlarne in modo generico, senza poterne anticipare le spesso spiazzanti svolte.
La terza stagione di The Handmaid’s Tale (dal 6 giugno su TIM VISION)
La prima stagione della serie si fece notare, apprezzare e premiare (con importanti premi Emmy e un Golden Globe per la migliore serie drammatica). Era tratta da un libro famoso e apprezzato e usciva in un periodo in cui il mondo distopico in cui era ambientata sembrava essere particolarmente rilevante. La seconda stagione, che andava oltre il libro con una nuova storia, è piaciuta molto meno, anche perché a detta di molti insisteva troppo su certi elementi, senza portare granché avanti le vicende e senza avere la profondità della prima.
La terza stagione continua a essere ambientata in un futuro distopico in cui una teocrazia totalitaria asservisce le donne ai voleri degli uomini e la protagonista continua a essere una di queste donne, interpretata da Elizabeth Moss. I critici che l’hanno vista scrivono in genere cose migliori rispetto a quelle scritte dopo la seconda stagione: l’opinione generale è che la serie continui a essere di ottimo livello per la recitazione, le scenografie, la messa in scena e i costumi, ma che, così come nella seconda stagione, la sceneggiatura sia di livello inferiore rispetto a quella della prima stagione (l’unica direttamente ispirata al romanzo). Nella sua recensione, Daniel Fienberg dell’Hollywood Reporter ha scritto di non aver perdonato «la fastidiosa e indifendibile» scelta fatta da June, la protagonista, nel finale della passata stagione, ha criticato la trama, spesso «fastidiosamente ripetitiva», ma ha anche parlato di episodi «pieni di elementi da ammirare e rispettare».
Un’altra recensione che si è fatta notare è quella di Emily VanDerWerff, che su Vox ha raccontato la sua storia di donna transgender: prima si chiamava Todd VanDerWerff e ha scritto di aver scelto il nome Emily per via di un personaggio della serie.
Chernobyl (dal 10 giugno su Sky Atlantic)
In questo caso si fa piuttosto in fretta a parlarne. Perché parla di un evento noto a chiunque – il disastro nucleare dell’aprile 1986 – ma di cui molti non sanno i tanti dettagli. E perché, semplicemente, molti critici ne parlano come della miglior serie dell’anno. Come fa notare un recente articolo dell’Economist, oltre che ai critici sta piacendo anche agli utenti che, votandola su IMDb, le stanno assegnando voti altissimi. Al momento il voto della serie è 9,7 su 10, in base ai voti di più di 100mila utenti.
È co-prodotta da HBO e Sky UK, è una miniserie in cinque episodi e parla del disastro ma soprattutto di quello che successe dopo. Per chi volesse iniziare a portarsi avanti, è ispirata al libro Preghiera per Černobyl’.
Too Old to Die Young (dal 14 giugno su Amazon Prime Video)
È una serie molto attesa soprattutto per essere la “serie di” Nicolas Winding Refn, regista di Drive e Solo Dio perdona. Due dei dieci episodi della serie (ma il quarto e il quinto, non i primi due) sono stati presentati a Cannes (già questo un segno delle ambizioni della serie) e, tra le serie di questo elenco, è quella più di nicchia e per pochi. Parla di un poliziotto, interpretato da Miles Teller, e di un boss della droga, e delle loro “strade che si incontrano dopo un violento atto di vendetta”. Su Wired Gabriele Niola ne ha parlato così:
Too Old to Die Young non somiglia alle solite serie tv, innanzitutto non ne ha la scrittura incalzante e densa di misteri da svelare. La si dovesse posizionare in un ipotetico spettro di ritmo e capacità di acchiappare lo spettatore sarebbe molto vicina a Twin Peaks: tempi dilatati, dialoghi molto parchi e con botta e risposta distanziati tra di loro, ma immagini pazzesche. Come negli ultimi film di Nicolas Winding Refn è evidente che le decisioni sono prima di tutto visive, seguono un criterio che soddisfa l’occhio, mentre la trama cerca di stare al passo come può. Di Drive questa serie ha solo lo spunto: un poliziotto di Los Angeles di notte è al servizio di criminali per quelli che sembrano regolamenti di conti: uccide ma pretende che si tratti di bastardi conclamati. O almeno così sembra.
La seconda stagione di Big Little Lies (dal 18 giugno su Sky Atlantic)
La prima stagione, che avrebbe dovuto essere una mini-serie senza seguito, piacque davvero molto. Era tratta da un libro di Liane Moriarty, era diretta dal regista di cinema Jean-Marc Vallée e aveva tra le protagoniste molte attrici molto famose: Nicole Kidman, Reese Witherspoon, Laura Dern, Shailene Woodley e Zoë Kravitz. La seconda stagione non avrà più Vallée alla regia (sarà sostituito da Andrea Arnold) ma in compenso si è aggiunta al cast Meryl Streep: sarà la madre di Perry Wright, il personaggio interpretato da Alexander Skarsgård. La prima stagione parlava di come la vita apparentemente perfetta di alcune donne e madri in realtà non lo era per niente.