C’è stata una grande sorpresa nella boxe
Il nuovo campione mondiale dei pesi massimi è uno che a guardarlo non si sarebbe detto, e ha battuto il predestinato contro tutti i pronostici
Nella notte tra sabato e domenica, al Madison Square Garden di New York, il mondo del pugilato ha assistito a uno dei risultati più sorprendenti della sua storia recente, da molti paragonato alla vittoria di Buster Douglas contro Mike Tyson del 1990. Il campione mondiale dei pesi massimi, l’inglese Anthony Joshua, detentore dei titoli di quattro delle cinque maggiori federazioni internazionali, è stato battuto per KO tecnico al settimo round da uno sfidante fin lì sconosciuto a cui nessuno dava la minima possibilità: il paffuto statunitense di origini messicane Andy Ruiz Jr.
Anthony Joshua era arrivato a New York come la nuova immagine del pugilato moderno. Un adone di 29 anni con un fisico perfetto: 1 metro e 98 centimetri di altezza per 113 chili di muscoli, sostenuti da una corporatura da boy builder, longilinea e proporzionata. Di origini nigeriane, moderatamente religioso, ex muratore “salvato” dalla boxe dopo una condanna per rissa ricevuta una decina di anni fa. Nel 2012 terminò la carriera fra i dilettanti con un oro olimpico a Londra; l’anno successivo iniziò a combattere da professionista, dove divenne subito una “macchina da KO”.
Fino a sabato scorso, la sua carriera professionistica diceva 22 incontri disputati e 22 vittorie, 21 delle quali finite con l’avversario stordito al tappeto. Dall’incontro del 2017 con il vecchio campione ucraino Wladimir Klitschko, sconfitto allo stadio Wembley di Londra davanti a 90.000 spettatori, la sua popolarità era cresciuta moltissimo.
A questo punto della carriera, per Joshua la consacrazione negli Stati Uniti era considerata una tappa obbligatoria. L’incontro del Madison Square Garden era stato organizzato proprio per accrescerne la popolarità in Nord America in vista di un successivo match contro il miglior pugile statunitense in attività, Deontay Wilder, campione del mondo WBC.
Inizialmente Joshua avrebbe dovuto sfidare l’americano Jarrell Miller, un trashtalker con 23 vittorie e un pareggio in 24 incontri disputati. Ma poco più di un mese fa Miller è stato trovato positivo a tre sostanze dopanti, perdendo quindi la possibilità di affrontare Joshua a New York. Al suo posto si era fatto avanti Andy Ruiz Jr., che aveva trovato i pareri positivi degli organizzatori e dell’entourage di Joshua dopo che questi avevano ricevuto il rifiuto del cubano Luis Ortiz.
Andy Ruiz ha 29 anni ed è nato e cresciuto in California in una famiglia di immigrati messicani. Per raddrizzarne l’indole violenta, da ragazzo fu introdotto nel mondo del pugilato, in cui riuscì a incanalare la sua aggressività. Allenato dal cubano Fernando Ferrer, da dilettante totalizzò 105 vittorie a fronte di sole 5 sconfitte, dimostrandosi capace di perseguire una buona carriera anche a un livello superiore. Il suo primo incontro da professionista lo tenne nel 2009: negli ultimi dieci anni ha combattuto in 34 match vincendone 33.
Ruiz è esattamente l’opposto di Joshua. È alto dieci centimetri in meno, ma il peso è lo stesso. È grassoccio insomma, e per quanto si possa allenare rimarrà così, dopo anni di pasti consumati ai fast food e abitudini alimentari non propriamente da campione del mondo: è solito mangiare almeno uno Snickers prima di combattere. Quando combatte arrossisce dalla fatica, sul ring può risultare impacciato e buffo, ma è estremamente efficace e adora mandare al tappeto “sbruffoni muscolosi con gli addominali scolpiti”.
Quello che ha portato Ruiz a diventare un pugile professionista di tutto rispetto, anche prima di sconfiggere Joshua, è l’abilità nel boxare. È infatti un pugile estremamente tecnico che conosce tutti i movimenti fondamentali della disciplina, dalla difesa all’attacco. Il fatto di essere circa dieci centimetri più basso della media dei pesi massimi lo aiuta a neutralizzare gli attacchi avversari, schivandoli. Ruiz non ha un colpo decisivo da KO, ne ha tanti: colpendo ripetutamente sia sopra la cintura che alla testa finisce per stordire chi ha davanti.
Ci sono poi le sue caratteristiche personali, che lo rendono probabilmente unico. Ha uno stile molto aggressivo e, come ha detto di recente uno dei suoi preparatori, «Andy è il tipo di pugile che una volta sul ring, se lo colpisci in faccia diventa un diavolo». Ed è esattamente ciò che è successo al Madison Square Garden sabato notte, quando alla terza ripresa, dopo essere andato al tappeto per la prima volta e aver ricevuto altri potenti pugni in faccia, Ruiz ha iniziato ad attaccare Joshua quando tutti invece si aspettavano che l’inglese fosse vicino a chiudere l’incontro.
Nel terzo round Joshua è andato al tappeto due volte ed è rimasto in balia dell’aggressività di Ruiz fino al settimo round, ricevendo una quantità impressionante di pugni. Joshua è andato a terra altre due volte, e all’ultima ha sputato il paradenti per guadagnare qualche secondo. Una volta tornato all’angolo, però, non ha risposto agli inviti dell’arbitro, che ha quindi decretato la fine dell’incontro e la vittoria per KO tecnico di Ruiz, il primo campione mondiale dei pesi massimi messicano e probabilmente il più inaspettato.
Joshua ha pagato un approccio sbagliato all’incontro, probabilmente preso sottogamba e senza la giusta mentalità. A New York tutti si aspettavano una vittoria convincente che allontanasse i dubbi legati a una certa inconsistenza che ancora circolavano sul suo conto, e che continueranno a esserci. I due pugili si incontreranno a breve in una rivincita prevista dal contratto firmato un mese fa. La sconfitta però ha inevitabilmente intaccato l’immagine di Joshua, oltre che l’andamento di tutto il pugilato internazionale. Il match contro Ruiz doveva essere soltanto una tappa di avvicendamento a quello ritenuto molto più rilevante contro Deontay Wilder, dove in ballo ci sarebbe stata la riunificazione dei titoli mondiali.