Un’indagine governativa canadese ha definito “genocidio” l’uccisione e la sparizione di 1017 donne native dal 1980 al 2012
In Canada è stato diffuso un lungo rapporto sull’indagine governativa sulla morte e la sparizione di 1.017 donne e ragazze di origine nativa americana tra il 1980 e il 2012: la conclusione dell’indagine è che le morti di queste donne possano considerarsi un «genocidio», termine scelto per definire «un insieme di pratiche sociali» tra cui varie forme di violenza permesse da «azioni e omissioni dello stato basate sul colonialismo e sull’ideologia coloniale». Di fatto il rapporto incolpa lo stato per le morti e le sparizioni delle donne di origine nativa perché non ha fatto nulla per impedire la violenza contro di loro. In alcuni casi ad esempio le indagini di polizia sarebbero state condotte in modo superficiale a causa dell’etnia delle vittime.
L’indagine, durata quasi tre anni e voluta dal governo del primo ministro Justin Trudeau, era iniziata nel settembre del 2016. Per portarla a termine sono state intervistate più di duemila persone, tra vittime di violenze e loro parenti. Per l’indagine sono stati spesi 92 milioni di dollari canadesi, l’equivalente di 60 milioni di euro. L’intero rapporto è lungo 1.200 pagine e contiene molte raccomandazioni per il governo e per i canadesi, tra cui quella di imparare a conoscere le culture delle etnie indigene del Canada.
Secondo il rapporto in Canada le probabilità per le donne di origine nativa americana di essere uccise o di sparire sono 12 volte più alte che per le altre donne che vivono nel Paese. In un comunicato Marion Buller, la presidente della commissione che ha condotto l’inchiesta, ha detto: «Nonostante le diverse circostanze e le diverse origini sociali delle donne uccise o sparite, tutte sono connesse alla marginalizzazione economica, sociale e politica, aal razzismo e alla misoginia presente nella società canadese».