Perché queste leggi contro l’aborto negli Stati Uniti
Solo quest'anno ne sono state approvate in quattro stati, pur sapendo che sono incostituzionali: lo scopo è arrivare alla Corte Suprema
Solo quest’anno in quattro stati degli Stati Uniti sono stati approvate leggi che vietano l’aborto oltre le sei settimane dal concepimento, un termine che di fatto limita moltissimo la possibilità di interrompere una gravidanza. Il 15 maggio l’Alabama ha approvato un disegno di legge che vieta l’aborto in tutto lo stato, anche nei casi di stupro e incesto, un divieto quasi totale in qualsiasi fase della gravidanza. Il giorno dopo il Senato del Missouri ha approvato una legge che vieta l’aborto dopo le otto settimane. Dopo qualche giorno ancora, il Senato della Louisiana ha approvato l’introduzione di un emendamento alla Costituzione statale che abolisce il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza.
Negli Stati Uniti l’aborto resta legale a livello federale, come stabilito dalla sentenza della Corte Suprema conosciuta come Roe v. Wade del 1973, ma non c’è una legge unica che ne regoli le modalità in tutto il paese: ogni stato ha le proprie norme che stabiliscono quali sono i criteri e i limiti entro i quali poter interrompere una gravidanza. Il fatto che l’aborto sia diventato legale grazie a una sentenza e non a una legge, unito alla presenza di movimenti antiabortisti molto più forti di quanto siamo abituati a vedere in Europa, rende l’aborto una questione molto dibattuta: e negli ultimi mesi c’è stato un definitivo salto di qualità contro la libertà di scelta delle donne che ha un obiettivo finale preciso: capovolgere la sentenza Roe v. Wade e vietare completamente l’aborto.
Intanto, qualche dato
Visti i recenti sforzi dei legislatori per limitare la procedura, si potrebbe pensare che gli aborti negli Stati Uniti siano in aumento. In realtà sono ai minimi storici: tra il 2006 e il 2015 il tasso di aborti negli Stati Uniti è diminuito del 26 per cento, raggiungendo il livello più basso mai registrato (i dati sono dei Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie, un importante organismo di controllo sulla sanità pubblica degli Stati Uniti). La principale ragione del calo, dicono gli esperti, non è una legislazione più severa in materia: è un migliore accesso alla contraccezione. «Quando i contraccettivi non sono disponibili, le donne ricorrono all’aborto», ha spiegato a Vox Diana Greene Foster, docente dell’Università della California esperta in materia: «Quando i contraccettivi sono maggiormente disponibili, il ricorso all’aborto diminuisce». La riforma sanitaria voluta e approvata tra molte controversie dall’amministrazione del presidente Barack Obama e conosciuta come “Obamacare” ha anche reso più accessibili alcune coperture contraccettive a lungo termine.
La maggior parte delle donne che scelgono di interrompere una gravidanza inoltre ha già dei figli, mentre gli antiabortisti presentano il tutto come una scelta tra abortire o diventare genitori. I dati del Guttmacher Institute, che si occupa di politiche sull’aborto negli Stati Uniti, dicono che a partire dal 2014 il 59 per cento delle persone che avevano abortito aveva già partorito almeno un figlio. Se i gruppi religiosi sono alcuni dei principali sostenitori dei movimenti antiabortisti, la maggior parte delle persone che hanno scelto l’interruzione di gravidanza, nel 2014, si è identificata come religiosa: il 17 per cento come protestanti, il 13 per cento come evangelici e il 24 per cento come cattolici.
La maggior parte degli aborti si verifica, infine, all’inizio della gravidanza, nonostante la discussione si concentri molto sui cosiddetti “aborti tardivi”, che è il modo con cui chi si oppone all’aborto chiama le interruzioni di gravidanza avvenute dopo le ventuno settimane circa. L’espressione “aborto tardivo” non è un termine medico, ma un’espressione usata dagli antiabortisti per definire i termini della discussione: oltre il 90 per cento degli aborti negli Stati Uniti avviene entro il primo trimestre. Solamente l’1,4 per cento degli aborti avviene a 21 settimane di gestazione o dopo, secondo Planned Parenthood, un’associazione che si occupa di servizi sanitari alle donne, e spesso a causa della scoperta di un’anomalia fetale grave o della difficoltà di accesso immediato alla procedura.
Le restrizioni
Nel 2019 quattro stati governati dai Repubblicani – Kentucky, Mississippi, Ohio e Georgia – e dove i Repubblicani sono molto condizionati politicamente ed economicamente dai movimenti antiabortisti, hanno approvato i cosiddetti heartbeat bill, leggi che riducono la scadenza per accedere all’interruzione a sole sei settimane: a quando cioè molte donne non sanno ancora nemmeno di essere incinte, prima che possano essere riscontrate malformazioni e prima che, comunque, ci sia un vero e proprio “battito cardiaco” (a sei settimane l’embrione pulsa, ma non ha un organo cardiaco vero e proprio: lo stesso uso dell’espressione “battito cardiaco” da parte degli antiabortisti è discusso e contestato). Chi sostiene la libertà di scelta delle donne ha affermato che la nuova legge si traduce, di fatto, in un divieto all’aborto legale e sicuro. Prima del 2019 altri stati avevano introdotto gli heartbeat bill (Iowa e North Dakota nel 2013). In una decina di altri stati, infine, secondo il Guttmacher Institute, leggi simili sono o sono state in discussione.
Banning #abortion at six weeks has emerged as a leading tactic for anti-abortion politicians & activists, with the ultimate goal of challenging #RoevWade at the U.S. #SCOTUS. https://t.co/j9EV135XxT #StopTheBans pic.twitter.com/4ETWk8H9P4
— Guttmacher Institute (@Guttmacher) April 14, 2019
Qualche giorno fa il Senato dell’Alabama ha approvato un disegno di legge, poi firmato dalla governatrice Repubblicana Kay Ivey, che vieta l’aborto in tutto lo stato, anche nei casi di stupro e incesto: prevede che una donna possa abortire solo nel caso in cui la gravidanza metta a repentaglio la sua vita. I medici che proveranno a praticare un’operazione del genere rischieranno di essere condannati a 10 anni di carcere e a 99 anni se ne porteranno una a termine.
Il 16 maggio il Senato del Missouri ha approvato una legge che vieta l’aborto dopo le otto settimane di gravidanza, rispetto al precedente limite di 22. La legge consente di abortire solo in caso di emergenza medica e non fa eccezione in caso di stupro o incesto. I medici che praticano l’aborto dopo le 8 settimane potranno essere condannati a 15 anni di carcere. La legge è già stata firmata dal governatore del Missouri, il Repubblicano Mike Parson, ed entrerà in vigore il prossimo 28 agosto.
L’ultimo stato in ordine di tempo è la Louisiana che ha approvato l’introduzione di un emendamento alla Costituzione statale, proposto da una Democratica, che abolisce il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza. Inoltre è in discussione, sempre su proposta di un senatore Democratico, una legge sul “battito cardiaco” del feto.
Il Guttmacher Institute ha scritto che tra il primo gennaio 2019 e il 20 maggio 2019 sono state introdotte 378 restrizioni all’aborto in tutta la nazione e che il 40 per cento di queste aveva a che fare direttamente con il divieto di aborto: «Non è raro vedere centinaia di restrizioni sull’aborto introdotte ogni anno, ma questa proporzione elevata di divieti proposti non ha precedenti e segnala un sostanziale cambiamento di tattica a livello statale». E ancora: «Che si tratti di divieti a 20, 18, 12 o 6 settimane, o di un divieto totale come il disegno di legge approvato in Alabama, tutti questi percorsi portano allo stesso obiettivo: arrivare a uno scontro legale presso la Corte Suprema degli Stati Uniti per annullare il diritto all’aborto».
Nessuna di queste leggi è ancora in vigore, ma
Poiché contraddicono apertamente la sentenza Roe v. Wade, molte di queste nuove leggi restrittive sono state bloccate dai tribunali o sono al centro di azioni legali che porteranno a un blocco. Ma in molti casi è proprio questo il loro scopo finale: portare il caso fino alla Corte Suprema, per provare a cambiare le leggi federali sull’aborto.
Fino a qualche tempo fa la strategia degli antiabortisti era meno radicale: spesso avevano proposto e approvato leggi che vietavano uno dei metodi più comuni con cui l’interruzione viene praticata nel secondo trimestre (la D&E, dilatazione ed evacuazione) e avevano complicato i regolamenti delle cliniche o le questioni relative alle coperture assicurative, cercando di ostacolare l’accesso all’aborto rendendolo molto più complicato (e spesso riuscendoci). Proposte estreme come gli heartbeat bill non erano sostenute nemmeno da alcuni gruppi antiabortisti molto influenti, perché convinti che leggi con questo impianto non sarebbero sopravvissute ai ricorsi e alle sentenze della Corte Suprema. Dal 2018, però, la strategia dei movimenti contro la libera scelta delle donne è cambiata. Il presidente Trump ha infatti nominato due giudici conservatori alla Corte Suprema, Brett Kavanaugh e Neil Gorsuch, con posizioni più rigide sull’aborto. I movimenti anti-scelta sanno dunque che queste nomine sposteranno a destra le sentenze della Corte per molti anni, e sperano anzi che queste leggi arrivino alla Corte Suprema nella speranza che l’aborto possa essere dichiarato illegale.
Alcuni legislatori che sostengono gli heartbeat bill hanno esplicitamente affermato di considerarli come potenziali sfide a Roe v. Wade. Il senatore repubblicano dell’Iowa Rick Bertrand, dopo l’approvazione nel suo stato della norma sul “battito cardiaco”, e l’annunciato ricorso di Planned Parenthood, aveva dichiarato che la legge poteva «essere un mezzo di cambiamento e un’opportunità per capovolgere la Roe v. Wade». E la deputata dell’Iowa Shannon Lundgren: «La scienza e la tecnologia sono progredite in modo significativo dal 1973», anno dell’approvazione della Roe v. Wade: «È tempo che la Corte Suprema faccia un bilancio». In una recente intervista al Washington Post, Lori Viars, attivista anti-scelta dell’Ohio, ha detto: «Sappiamo che le forze pro-aborto faranno causa, e questo è parte del processo. Vogliamo che questo disegno di legge arrivi alla Corte Suprema. È stato scritto con questo scopo». Terri Collins, membro della Camera dei rappresentanti dell’Alabama ha affermato: «Quello che sto cercando di fare è riuscire a portare il caso di fronte alla Corte Suprema in modo che Roe v. Wade possa essere rovesciata».
Potrebbe non funzionare, per l’Alabama, poiché quella legge non prevede eccezioni per lo stupro e l’incesto. Tuttavia, ci sono più di una dozzina di casi riguardanti l’aborto ad un passo dalla Corte Suprema, e la Corte potrebbe scegliere di analizzarne uno per riesaminare la legge federale. Gli anti-abortisti non si azzardano a sperare che la Corte Suprema possa stabilire che l’aborto è incostituzionale, ma si augurano che decida di lasciare libertà agli stati; questo permetterebbe ai Repubblicani di poter abolire l’aborto stato per stato, almeno dove governano.
Annullare le restrizioni sull’aborto
Chi sostiene la libertà di scelta delle donne si sta preparando a tutte le eventualità per cercare di dare agli stati il diritto di proteggere l’aborto in modo che, se la Roe v. Wade venisse rovesciata, le persone potranno comunque avere accesso alla procedura.
Un esempio recente è l’approvazione, nello stato di New York, del Reproductive Health Act, una legge che consente l’aborto oltre le 24 settimane di gestazione ad alcune condizioni (se il feto non è vitale o se ci sono gravi rischi per la salute della donna), che rimuove qualsiasi riferimento all’aborto dal Codice penale, e che definisce il concetto di “persona” come essere umano “nato e vivo”. Un altro recente tentativo di allentamento delle restrizioni è avvenuto in Virginia, dove è stata presentata una proposta di legge per ampliare le circostanze di accesso all’aborto entro il terzo trimestre. L’Oregon, nel 2017, ha promulgato una legge che protegge il diritto all’interruzione di gravidanza attraverso la copertura di una serie di servizi di assistenza alla salute riproduttiva.
Il Guttmacher Institute ha raccomandato che di fronte agli «incessanti e coordinati» attacchi alla libera scelte delle donne «gli stati possano e debbano intraprendere azioni chiare per proteggere ed espandere l’accesso all’aborto»: ci sono diverse tattiche che possono perseguire, come fornire coperture assicurative, garantire l’accesso alle informazioni, sostenere l’accesso delle adolescenti alla procedura, prevenire la violenza clinica o aumentare i servizi e i medici che forniscono le interruzioni. E infine: «Mentre i responsabili delle politiche statali devono essere vigili nel difendersi dalla raffica di divieti all’aborto, questa è un’opportunità per immaginare e codificare i diritti che vanno oltre quelli stabiliti da Roe v. Wade e pensare a un futuro di assistenza all’aborto esteso, accessibile, praticabile e senza stigmi».
“Aborto: Le Nuove Crociate” (titolo originale “Avortement – Les Croisés Contre Attaquent”) è un film di 52 minuti prodotta da Arté nel 2017 delle registe Alexandra Jousset e Andrea Rawlins-Gaston, in lingua originale con sottotitoli in italiano a cura da Non Una di Meno, che racconta l’attacco all’aborto in Europa e la lobby internazionale anti-abortista, dagli Stati Uniti alla Russia.