In Spagna si negozia, si negozia e si negozia
Dopo mesi di campagna elettorale, dopo le elezioni politiche e quelle europee, un governo non c'è ancora e non si è capito chi si alleerà con chi
Nell’ultimo mese in Spagna si è votato molto. Il 28 aprile ci sono state le elezioni nazionali, quelle per rinnovare il parlamento di Madrid, mentre il 26 maggio si è votato per le europee, per eleggere i parlamenti di diverse comunità autonome (le nostre regioni, all’incirca) e per cambiare i sindaci di alcune città, tra cui Barcellona. Da aprile a oggi, però, si è deciso molto poco: in Spagna non c’è ancora un governo, e molte amministrazioni regionali e locali sono bloccate per mancanza di maggioranze chiare. Una delle poche certezze è che il Partito Socialista (PSOE) del primo ministro uscente, Pedro Sánchez, è andato molto bene quasi ovunque ma non ha i numeri per fare da solo, e ha bisogno di alleati.
Il risultato è che i vari partiti politici spagnoli hanno iniziato a negoziare su diversi livelli – locale, regionale e nazionale – per ottenere ciascuno il massimo grazie ad alleanze e promesse di appoggi esterni. La situazione attuale è piuttosto intricata, soprattutto a livello nazionale.
Sánchez è il vincitore di tutte le ultime elezioni. Nel corso dell’ultimo anno è riuscito a far uscire il Partito Socialista dalla crisi peggiore della sua storia, facendolo diventare il primo partito per numero di voti e aumentando i suoi consensi nonostante un anno di governo di minoranza. Dopo le elezioni di aprile – dove il PSOE ha ottenuto 123 seggi, quasi il doppio di quelli del Partito Popolare (PP) arrivato secondo – Sánchez ha preferito prendere tempo: voleva aspettare il voto delle europee, per vedere se riusciva a mostrarsi così forte da formare un governo da solo con l’appoggio esterno di altre forze politiche. È stata una strategia vincente. Unidas Podemos, lista elettorale di sinistra che dopo le politiche reclamava spazio nel nuovo possibile governo guidato da Sánchez, è andata male alle europee, perdendo potere negoziale verso il PSOE.
Il problema per Sánchez, però, è rimasto trovare una maggioranza che lo appoggi. Al momento le soluzioni prese in considerazione dal PSOE sembrano essere due, una a sinistra e una a destra.
Un’opzione possibile sembra quella di includere nel governo Sánchez esponenti di Unidas Podemos senza però usare l’espressione «coalizione»: questo permetterebbe ai Socialisti di mantenere una chiara posizione predominante e allo stesso tempo contare sui 42 seggi di Unidas Podemos e dei partiti suoi alleati (come En Comú Podem, coalizione elettorale catalana vicina a Podemos). Anche se dovessero trovare un accordo, i due partiti non avrebbero però la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento: gliene mancherebbero 11, che dovrebbero cercare facendo alleanze con forze politiche più piccole, per esempio con i partiti nazionalisti non indipendentisti (Sánchez non vorrebbe ripetere l’ultima esperienza di governo con gli indipendentisti catalani, che non finì bene).
L’altra opzione, per ora più improbabile, potrebbe essere allearsi con Ciudadanos, partito di centrodestra liberale – più destra che centro, da un po’ di tempo a questa parte – guidato da Albert Rivera. Il problema è che ci sono molte resistenze, sia nel PSOE che in Ciudadanos.
Dentro Ciudadanos i più ostili a un accordo con il PSOE sono quelli che da tempo appoggiano la politica di Rivera di spostare il partito sempre più a destra. Alle elezioni europee, però, questa strategia sembra non avere pagato: la distanza tra Ciudadanos e il PP è cresciuta, l’obiettivo di diventare il primo partito della destra spagnola si è allontanato e l’ala centrista ha riacquisito forza, chiedendo di valutare la possibilità di un accordo con il PSOE. Rivera ha già detto che l’alleato naturale del suo partito è il PP, ma allo stesso tempo ha istituito un comitato che negozierà i diversi accordi di governo possibili, sia con il PP che con il PSOE. All’interno dello stesso PSOE ci sono diverse resistenze a un accordo con Ciudadanos. Venerdì Isabel Celaá (PSOE), ministra dell’Istruzione e portavoce del governo uscente, ha ribadito che l’interlocutore privilegiato del PSOE è Unidas Podemos, ma ha aggiunto che i Socialisti lasceranno aperte le porte anche a eventuali negoziati con Ciudadanos.
Considerato che la destra non ha i numeri per governare, sembra esserci solo un’altra opzione, nel caso in cui Sánchez non trovasse una maggioranza che lo appoggi: che si torni a votare.
La situazione rimarrà bloccata finché la presidente del Congresso, Meritxell Batet, non porterà la lista dei parlamentari eletti al re Felipe VI, che dovrà poi affidare l’incarico per formare un governo a uno dei candidati. Si sta andando a rilento non solo per volontà del PSOE, ma anche per una questione legale che coinvolge Jordi Sànchez, uno degli indipendentisti catalani in carcere e sotto processo per i fatti accaduti in Catalogna nel settembre-ottobre 2017. Sànchez è stato eletto deputato e il suo partito, Junts per Catalunya (lo stesso dell’ex presidente catalano Carles Puigdemont), lo ha indicato come rappresentante per partecipare alle consultazioni con il re. Sànchez ha chiesto al Tribunale Supremo l’autorizzazione per uscire di prigione, ma non si sa ancora la risposta: è possibile che il Tribunale Supremo risponda alla richiesta di Sànchez lunedì, scrive il País.