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  • Sabato 1 giugno 2019

San Francisco è un disastro

Ed è un disastro le cui colpe sono interamente dei Democratici, sia i politici che gli elettori, scrive la stampa statunitense

(Justin Sullivan/Getty Images)
(Justin Sullivan/Getty Images)

A distanza di poche ore, il New York Times e il Washington Post hanno pubblicato due articoli che descrivono con toni estremamente critici la situazione di San Francisco, la città californiana capitale della tecnologia mondiale che da anni è diventata una delle più diseguali, invivibili e costose degli Stati Uniti. Gli affitti, i prezzi delle case o il costo di un pranzo a San Francisco sono alti come quasi da nessun’altra parte; la popolazione è demograficamente tra le meno variegate delle zone urbane del paese. Come in praticamente tutte le grandi città americane, da anni San Francisco è governata dai Democratici, che hanno fallito nel contenere questa deriva e che ancora recentemente hanno bloccato misure che avrebbero potuto migliorare la situazione, con il sostegno del loro elettorato.

San Francisco si trova nel Nord della California ed è in realtà un’area relativamente piccola, di poco oltre 120 chilometri quadrati, all’estremità della penisola di San Francisco. Oltre i confini della città vera e propria sorge una vasta area urbana che comprende posti come San Mateo, Palo Alto, Mountain View, Cupertino, Santa Clara, San Jose, Oakland dall’altra parte della baia. Alcuni di questi nomi li conoscerete già, perché ospitano le sedi di alcune delle più importanti aziende di tecnologia al mondo: Apple, Google, Facebook, Uber, Tesla, Hewlett Packard, Visa, Netflix e centinaia di altre.

Queste aziende si sono stabilite a San Francisco nell’arco di decenni, ma è stata in particolare l’ultima ondata, quella degli ultimi quindici anni, a cambiare radicalmente la città. Farhaad Manjoo, che si occupa di tecnologia sul New York Times, ha scritto che a San Francisco «l’economia sta esplodendo, ma nessuno ne è particolarmente convinto». Un quinto degli abitanti della California fatica a sostenersi economicamente, e dal 2010 le persone che hanno lasciato lo stato sono triplicate; eppure a San Francisco una persona ogni 11.600 abitanti è un miliardario. Il reddito annuo per potersi permettere una casa di medie dimensioni è di oltre 320mila dollari, con un prezzo medio di 1,6 milioni di dollari per una casa monofamiliare. L’affitto medio di una casa con una camera da letto è di 3.700 dollari al mese.

A San Francisco c’è una delle più alte popolazioni di senzatetto degli Stati Uniti: sono circa 7.500 su 880mila abitanti, quasi 1 ogni 100 persone. Recentemente il New York Times ha raccontato di come molto vivano rovistando nella spazzatura delle case dei super-ricchi. Le attività commerciali storiche chiudono con una certa frequenza perché gli stipendi offerti ai dipendenti sono troppo bassi per vivere in città; spesso vendono i locali ai fondi di investimento che ci costruiscono nuovi appartamenti di alta fascia. I negozi che sopravvivono, o quelli nuovi che aprono, hanno prezzi proibitivi: nelle zone degli uffici del centro città è comune pagare 20 dollari per un’insalata.

L’articolo del New York Times accusa fin dal titolo di essere i responsabili di questa crisi i “white liberals”, cioè i bianchi progressisti. Per quanto riguarda l’orientamento politico, infatti, San Francisco è una città governata dai Democratici ininterrottamente dal 1968. L’altro aspetto della accusa di Manjoo riguarda la composizione demografica della città: ha una delle più basse percentuali di afroamericani tra i grandi centri urbani americani, con solo il 5,5 per cento. Un tempo San Francisco era uno dei centri della cultura nera del paese, e cinquant’anni fa la percentuale era molto più alta, al 13,4 per cento. Girando per il centro della città, racconta Karen Heller sul Washington Post, si incontrano principalmente uomini, soprattutto bianchi e asiatici, e principalmente giovani. A San Francisco ci sono meno bambini che in qualsiasi altra grande città americana, il 13,4 per cento della popolazione.

Da anni in città si scontrano due correnti: quella dei NIMBY (“Not In My Backyard”), che preferisce la gentrificazione attuale alla prospettiva di costruire nuove case (aumentare l’offerta immobiliare abbasserebbe il valore degli immobili, e permetterebbe l’acquisto a persone con redditi inferiori), fin qui ben più forte e numerosa; l’altra è quella dei YIMBY, cioè chi al contrario vuole frenare le speculazioni e adottare misure per rendere più sostenibile la vita in città.

I primi sono spesso accusati di non preoccuparsi delle conseguenze che questi fenomeni possono avere sul tessuto sociale cittadino: è una delle critiche principali mosse all’ex sindaco Ed Lee, che a partire dal 2011 approvò delle sostanziose esenzioni fiscali per le grandi società di tecnologia, per attrarle nell’area di San Francisco. Questo ha portato migliaia di posti di lavoro molto ben pagati in città, ma ha aumentato notevolmente il costo della vita per tutti gli altri. Il problema, secondo gli YIMBY, è anche che chi si è trasferito a San Francisco per queste aziende è molto interessato al posto di lavoro, e poco al futuro della città di per sé. Per dare un’idea di come la quotidianità di San Francisco sia influenzata dalle società di tecnologia: ogni giorno le sue strade sono percorse da 45mila autisti di Uber e Lyft, le due principali app di autonoleggio con autista; a Philadelphia, che ha una superficie quasi tripla e una popolazione quasi doppia, ce ne sono circa 25mila.

Questo sviluppo non è stato sostenuto da adeguati piani per controllare i prezzi degli affitti e mantenere il numero di case a disposizione degli abitanti: negli ultimi anni nell’area di San Francisco sono stati creati oltre 676mila posti di lavoro, e sono state costruite soltanto 176mila nuove abitazioni. Questo, ovviamente, ha fatto aumentare moltissimo i prezzi delle case, senza che venissero prese vere contromisure. La scorsa settimana i parlamentari della California – governata dai Democratici, che hanno la maggioranza in entrambe le camere – hanno accantonato una proposta che prevedeva la conversione di case monofamiliari in condomini in alcune zone densamente abitate. La motivazione è stata che avrebbe diminuito la qualità della vita nei quartieri in questione, e che avrebbe spinto molte persone a trasferirsi lungo le già trafficate strade percorse quotidianamente dai bus che trasportano i dipendenti delle aziende della Bay Area.

Come nota Manjoo, la questione delle case è poco presente nelle agende dei candidati alle primarie del Partito Democratico: l’unica che ne sta parlando e che ha un piano al riguardo è la senatrice Elizabeth Warren. Dice Manjoo:

Quello che i Repubblicani vogliono fare con i centri di detenzione e i muri di confine, i progressisti benestanti Democratici lo stanno facendo con lo sviluppo urbanistico e gli argomenti NIMBY. Preservare «l’identità del posto» e «il controllo locale», mantenere scarse e inaccessibili le case: l’obiettivo di entrambe le parti è lo stesso, tenere fuori le persone.