Cosa sappiamo dell’impatto ambientale degli assorbenti

Non ci sono molti studi in materia, ma tra tutti i rifiuti che produciamo non sono i peggiori e presto forse si potrà riciclarli

Assorbenti e tamponi in una farmacia di Londra, nel 2016 (AP Photo/Alastair Grant)
Assorbenti e tamponi in una farmacia di Londra, nel 2016 (AP Photo/Alastair Grant)

La settimana scorsa si è parlato molto di assorbenti igienici, perché la maggioranza di governo ha deciso di non abbassare l’IVA su questi e altri prodotti usati dalle persone con le mestruazioni, come proposto dal Partito Democratico. In particolare è stato criticato Francesco D’Uva, capogruppo alla Camera dei Deputati del Movimento 5 Stelle, che durante una puntata di Omnibus, su La7, aveva detto che tra le ragioni per cui l’IVA non è stata abbassata c’è l’impatto ambientale degli assorbenti e ha consigliato alle donne di usare le coppette mestruali e gli assorbenti di tessuto riutilizzabili. Molti sui social network lo avevano accusato di ipocrisia, dato che nemmeno sulle coppette è stata abbassata l’IVA, oltre che di arroganza per aver detto alle donne come gestire le mestruazioni e cosa fare con il proprio corpo.

Al di là dei commenti di D’Uva, però, esiste una questione sull’impatto ambientale di assorbenti e prodotti simili. Negli ultimi anni vari metodi per raccogliere il sangue mestruale alternativi ai comuni assorbenti usa e getta – che hanno un alto contenuto di plastica – hanno avuto una certa diffusione, anche grazie a una maggior attenzione all’ambiente e alla riduzione dei rifiuti. Tuttavia non ci sono veri e propri studi sull’argomento, quindi non è semplice farsi un’idea di cosa convenga fare per essere più ecologisti riguardo alla gestione delle mestruazioni. Abbiamo provato a mettere in ordine quello che si sa sull’argomento, spiegando perché nei prossimi anni le cose potrebbero cambiare.

Quanti assorbenti si usano
A oggi non esistono studi affidabili e completi – cioè pubblicati su riviste scientifiche dopo adeguate revisioni di esperti: peer-reviewed, in gergo tecnico – che abbiano stimato l’impatto ambientale di assorbenti e tamponi, né che abbiano calcolato se sia più sostenibile usare gli uni o gli altri, o quali altri metodi alternativi per raccogliere il sangue mestruale siano preferibili.

Tuttavia ci si può comunque fare un’idea con una riflessione indicativa, partendo da una stima di quanti assorbenti e tamponi vengono usati ogni anno. Il numero di assorbenti usati ogni mese da una singola persona con le mestruazioni può variare molto a seconda dell’intensità del flusso e della sua durata (dai due ai sette giorni), che cambiano nel corso della vita: non è mai stata calcolata una media, ma si può dire che sia un numero compreso tra 5 e 20. Il 65 per cento della popolazione mondiale (7 miliardi e mezzo) ha un’età compresa tra i 15 e i 64 anni e dato che le donne sono più o meno la metà degli uomini, sempre facendo una stima a grandi linee, si può dire che più o meno 2 miliardi di persone hanno oggi periodicamente le mestruazioni.

Ipotizzando cicli regolari, dunque con cadenza mensile, si può dire che ogni anno vengono usati tra i 120 e i 480 miliardi di assorbenti usa e getta e tamponi. La stima è calcolata per eccesso, dato che molte donne nel mondo non hanno accesso a questi prodotti e usano metodi più tradizionali per raccogliere il sangue mestruale.

Se si considera una singola donna, ipotizzando 40 anni di ciclo mestruale, dai 12 ai 52 anni di età, si può dire che in una vita consumerà tra i 3mila e i 10mila tra assorbenti e tamponi: il numero può variare anche a seconda delle gravidanze e di e di altre possibili sospensioni del ciclo, per esempio quelle di chi sceglie di non avere le mestruazioni prendendo la pillola anticoncezionale. È numero considerevole ma, distribuito nell’arco di 40 anni, non è così rilevante se si considerano tutti gli altri rifiuti che si producono. In un anno, in media, i cittadini italiani producono 500 chili di rifiuti a testa: è evidente che l’impatto degli assorbenti e dei tamponi di una singola ragazza o donna, che sono circa 250 in un anno tenendosi larghi, non sono una fonte di inquinamento da rifiuti significativa.

Se si considera la produzione totale, però, vale comunque la pena fare delle valutazioni sull’impatto ambientale. Non ci sono dati sulla quantità di assorbenti e tamponi usati che ogni anno finiscono nelle discariche o negli inceneritori italiani, ma secondo le stime di Fater, l’azienda che produce gli assorbenti Lines e i pannolini Pampers, ogni anno nel nostro paese si producono 900mila tonnellate di prodotti assorbenti (compresi pannolini per bambini e adulti che soffrono di incontinenza) usati. Sono pari a circa il 2,5 per cento dei rifiuti solidi urbani: gli assorbenti e i tamponi non sono quindi una delle principali fonti da inquinamento da rifiuti, anche se, considerati insieme ai pannolini, non sono trascurabili.

Cosa si può fare per ridurre l’impatto sull’ambiente delle proprie mestruazioni
Negli ultimi anni molte delle persone che hanno le mestruazioni e si preoccupano dell’impatto sull’ambiente degli assorbenti hanno cominciato a usare le coppette mestruali: sono piccoli oggetti di plastica che si inseriscono all’interno della vagina e raccolgono il sangue mestruale fino a quando non vengono rimossi e svuotati. Sono a forma di coppa, si ripiegano per essere inseriti e sul fondo hanno una parte allungata (un gambo) o a forma di anello per essere facilmente afferrati. MeLuna, l’azienda tedesca che produce le coppette migliori secondo i test di Wirecutter, l’affidabile sito di recensioni di prodotti del New York Times, dice che le sue coppette (il cui costo è compreso tra i 15 e i 20 euro) possono essere usate in sicurezza per 5-10 anni continuativi.

Un’alternativa agli assorbenti usa e getta e ai tamponi per chi non si trova bene a usare dispositivi da inserire in vagina (tra le altre le bambine, dato che molte hanno la prima mestruazione a 10-12 anni) sono gli assorbenti lavabili e le mutande progettate per fare anche da assorbenti, che però richiedono una manutenzione impegnativa e non sono adatti a chi ha un flusso mestruale intenso.

Pensando all’ambiente ma soprattutto alle bambine e alle ragazze più giovani, nel 2017 l’azienda italiana Intimaluna ha introdotto sul mercato gli assorbenti EcoLuna: non contengono plastica e, a detta dell’azienda produttrice, non sono solo biodegradabili come in generale gli assorbenti fatti di cotone (ne esistono di diversi marchi, per le pelli più sensibili) ma anche compostabili, cioè si degradano totalmente in meno di sei mesi: altri assorbenti di cotone non lo fanno a causa della quantità di colla che contengono.

L’uso degli EcoLuna (che si possono acquistare online qui, e dal prossimo martedì anche in un negozio di Intimaluna a Milano) non comporta la dispersione di plastica nell’ambiente, tuttavia a oggi non possono essere gettati nell’umido: non tanto per i materiali di cui sono fatti, ma per come funzionano gli impianti di compostaggio.

Il Consorzio Italiano Compostatori (CIC), uno degli enti europei che certificano quali prodotti possano essere processati dagli impianti di compostaggio a amministrazioni locali e aziende della raccolta dei rifiuti, ha detto al Post che a oggi non ci sono assorbenti o tamponi che hanno la certificazione Compostabile CIC, indispensabile perché gli impianti di compostaggio accettino come rifiuti le cose che non sono scarti alimentari. Il Consorzio ha spiegato che inoltre, anche se un assorbente fosse prodotto seguendo gli standard dell’Unione Europea per i prodotti compostabili, quasi sicuramente non sarebbe accettato come rifiuto negli impianti di compostaggio: non sono attrezzati per trattare questi prodotti, che una volta usati contengono sostanze biologiche umane, dato che non ci sono regole sul loro trattamento a livello igienico-sanitario.

Una novità interessante, per il riciclaggio
Nei prossimi anni l’impatto ambientale degli assorbenti potrebbe cambiare, proprio a partire dall’Italia, grazie a una notizia degli ultimi giorni. Il 15 maggio il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha firmato un decreto, soprannominato “decreto end of waste”, che stabilisce a livello nazionale che i cosiddetti “prodotti assorbenti per la persona” (PAP), cioè i pannolini, i pannoloni, gli assorbenti e i tamponi, possano essere riciclati e diventare materie prime seconde. Dunque possono essere usati per produrre nuovi prodotti da mettere in commercio.

Grazie a questo decreto l’unico impianto al mondo attualmente esistente per il riciclaggio di questi prodotti potrà cominciare a funzionare non solo in via sperimentale. Si trova in provincia di Treviso ed è stato progettato e avviato (nel 2017) grazie a una collaborazione tra Contarina, una società di gestione dei rifiuti locale, e FaterSMART, una divisione di Fater, che appartiene per metà al gruppo farmaceutico Angelini e per metà alla multinazionale americana Procter & Gamble.

All’interno dello stabilimento i materiali di cui sono fatti i prodotti assorbenti vengono completamente riciclati. Il primo passaggio prevede che pannolini e simili, senza mai essere maneggiati manualmente, siano inseriti in una autoclave, cioè un recipiente chiuso ermeticamente in cui grazie a temperature e pressioni molto alte si ottiene una sterilizzazione dei rifiuti, e smembrati. Dopodiché i diversi materiali vengono essiccati e separati tra cellulosa, polimeri superassorbenti e altri tipi di plastica. Proprio perché usati per fare prodotti che entrano in contatto con la pelle delle persone, sono materiali di qualità molto alta. Alla fine del processo i materiali che si ottengono sono completamente inodori e possono essere riutilizzati per fabbricare nuovi oggetti.


FaterSMART ha detto al Post che se il sistema di riciclaggio dei prodotti assorbenti per la persona fosse attivato in tutta Italia creerebbe più di mille posti di lavoro solo per far funzionare gli impianti, e porterebbe un indotto totale da un miliardo di euro l’anno. Riciclare i pannolini sarebbe vantaggioso anche per molti cittadini, perché dovrebbero pagare tasse dei rifiuti (TARI) più basse. Perché abbia senso costruire nuovi impianti però le amministrazioni locali devono introdurre sistemi per la raccolta differenziata dei pannolini: in alcuni comuni esistono già e le regioni più avanti in questo ambito – come Abruzzo, Marche e Puglia – si sono già informate per realizzare un proprio impianto. Perché gli impianti siano sostenibili però devono gestire 10mila tonnellate di prodotti assorbenti all’anno: quelle che vengono prodotte da un bacino di almeno un milione di persone. Per questo perché il riciclaggio di assorbenti si diffonda è necessario potenziare la raccolta differenziata.

E la questione dell’IVA?
Dal 2015 la tassazione sugli assorbenti, che in Italia sono sottoposti all’aliquota ordinaria del 22 per cento, è diventata un tema di discussione e lotta politica femminista in molti paesi d’Europa e del mondo. In molti chiedono da tempo che vengano rimosse o ridotte le aliquote che non tengono conto del fatto che le mestruazioni non sono una scelta e che quindi i prodotti per raccogliere il sangue mestruale sono indispensabili: pensano che sia ingiusto che assorbenti, tamponi e coppette non siano considerati beni di prima necessità, e anzi siano sottoposti, ad esempio in Italia, a un’aliquota superiore a quella di alimenti di lusso come il tartufo (tassato al 4 o al 10 per cento), dei preparati omeopatici (che non servono a nulla, tassati al 10 per cento), dei francobolli da collezione (10 per cento) e delle opere d’arte (1o per cento), tra le altre cose.

Tra i paesi in cui le richieste hanno avuto un seguito ci sono il Canada, dove dal 2015 gli assorbenti non sono più tassati, e la Francia dove le imposte su assorbenti, coppette e tamponi sono state abbassate dal 20 al 5,5 per cento. In Scozia invece è stato avviato un progetto per distribuire gratuitamente assorbenti e simili a donne e ragazze di famiglie a basso reddito.

Il 14 maggio, per spiegare perché il governo non ha voluto abbassare l’IVA sui prodotti per la gestione delle mestruazioni, la presidente della commissione Bilancio della Camera Carla Ruocco aveva detto che farlo avrebbe un costo eccessivo per lo stato: secondo i calcoli della ragioneria di stato, abbassare l’IVA al 10 per cento farebbe perdere allo stato 212 milioni di euro l’anno; abbassarla al 5 più di 300 milioni.

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