Catiuscia Marini non si dimette più?
Il consiglio regionale dell'Umbria ha respinto le dimissioni della presidente grazie a un voto decisivo: il suo
Il consiglio regionale dell’Umbria ha respinto le dimissioni della presidente Catiuscia Marini, che lei stessa aveva annunciato il 16 aprile dopo le notizie su un’inchiesta della procura di Perugia – per cui è indagata – su alcune irregolarità che sarebbero state commesse in concorsi per assunzioni in ambito sanitario. La cosa curiosa è che il consiglio regionale ha respinto le dimissioni di Catiuscia Marini grazie a un solo voto: quello della stessa Catiuscia Marini. La votazione si è conclusa infatti con undici voti favorevoli al respingimento e sarebbe passata soltanto con la maggioranza assoluta dei voti, cioè undici. Marini ha deciso di votare e di votare per respingere le sue dimissioni.
Catiuscia Marini, che è presidente dell’Umbria dal 2010, un mese fa aveva comunicato le sue dimissioni con una lettera in cui diceva: «Ritengo doloroso, ma giusto, rassegnare ora le mie dimissioni da Presidente della Regione Umbria, perché ritengo di tutelare così l’Istituzione che ho avuto l’onore di guidare, salvaguardare l’immagine della mia regione e della mia comunità e al tempo stesso avere la libertà di dimostrare la mia correttezza come persona e come amministratore pubblico». Ora in molti si chiedono se non abbia cambiato idea: anche dentro il Partito Democratico nazionale, che secondo i giornali ha seguito con preoccupazione quello che è successo.
Repubblica oggi scrive che «al Nazareno sono rimasti di sasso» e che «tutto si aspettavano tranne che Catiuscia Marini votasse contro le sue stesse dimissioni». Stando alla ricostruzione di Repubblica e degli altri giornali di oggi, Marini avrebbe detto al PD che la sua maggioranza intendeva sottoporre all’aula una mozione per respingere le sue dimissioni, ma soltanto «per l’onore delle armi»: lei avrebbe ringraziato l’aula e avrebbe confermato le dimissioni un minuto dopo. Non è andata così: la mozione è passata solo grazie al suo voto (che lei ha definito soltanto «tecnico»), e dopo il voto le dimissioni non hanno avuto seguito. Sempre da Repubblica:
«Una roba mai vista» reagisce l’entourage del segretario. Lasciando a Gentiloni l’onere di dar voce allo sconcerto: «Se si sceglie di dimettersi lo si fa per tutelare la dignità della propria Regione e l’onore del proprio partito: credo non si debba e non si possa tornare indietro».
Marini ha sostenuto che in quanto parte della maggioranza era suo diritto votare la mozione, e in serata ha avuto un lieve malore per cui è stata accompagnata in ospedale. Lo statuto regionale prevede ora che abbia 15 giorni per prendere una decisione sulle sue dimissioni, e a Repubblica ha detto che valuterà come muoversi lunedì, «in piena autonomia». Marini però è ancora in ospedale e secondo i medici, le cui impressioni sono state raccolte dall’ANSA, dovrà restare a riposo assoluto per almeno cinque giorni a causa del forte stress di questo periodo.
Il PD teme che Marini voglia far passare qualche giorno e decidere dopo le elezioni europee, quindi tra una settimana, quando il quadro politico potrebbe essere molto diverso da quello odierno, scrivono i giornali di oggi: e collegano l’atteggiamento di Marini – la cui storia politica è avvenuta tutta dentro i partiti della sinistra italiana – a una ripicca nei confronti del segretario del Partito Democratico, Nicola Zingaretti, accusato di averla scaricata frettolosamente («malati di giustizialismo», aveva detto lei stessa un mese fa). Sempre Repubblica:
È però convinta che dopo il 26 maggio tutto potrebbe precipitare, a cominciare dal governo nazionale, e allora l’Umbria per il PD sarà l’ultimo dei problemi. Scavallare quella data è perciò una questione di vita o di morte. E infatti: «Oggi si è dimostrato che la maggioranza in Consiglio c’è, ci sono le condizioni per andare avanti», insiste la governatrice. E pazienza se ora è il vicepresidente Paparelli a minacciare un passo indietro per far mancare i numeri in aula. C’è in ballo la fiducia, un patto non rispettato.
Marini sostiene anche che il PD la stia trattando in modo particolarmente brusco perché lei è donna, e non per ragioni politiche o giudiziarie: ha parlato di «una sorta di accanimento terapeutico quando il presidente di regione è una donna, e non viene esercitato con la stessa forza e virulenza quando è un uomo. È un tema che consegno soprattutto alle donne che si vorranno candidare oltre a quelle che sono già in quest’aula». Il riferimento è probabilmente al caso di Mario Oliverio, presidente della Calabria eletto col PD e indagato, al quale il partito non ha chiesto di dimettersi.