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  • Sabato 18 maggio 2019

Guida alle elezioni europee in Irlanda

Innanzitutto si vota il 24 maggio, e non il 26 come in Italia: e oltre alle europee ci sarà anche un referendum per semplificare le norme sul divorzio

(Jeff J Mitchell/Getty Images)
(Jeff J Mitchell/Getty Images)

Come si può immagine, Brexit è il tema principale della campagna elettorale per le elezioni europee in Irlanda. Non solo è l’unico paese che condivide un confine fisico con il Regno Unito, ma i due paesi sono strettamente legati da un punto di vista storico e culturale, economico e demografico. Il fatto però che l’Unione Europea si sia sempre e nettamente schierata dalla parte dell’Irlanda nei negoziati, ha fatto sì che gli irlandesi abbiano sviluppato molta più fiducia nelle istituzioni europee rispetto alla media (come emerso anche dall’ultimo Eurobarometro).

Con 4,8 milioni di abitanti, l’Irlanda è uno degli stati membri più piccoli in termini di popolazione, e rappresenta poco più dell’1 per cento della popolazione dell’intera Unione Europea. Dopo Brexit avrà diritto ad eleggere 13 eurodeputati a Strasburgo e Bruxelles, invece degli 11 che furono eletti nel 2014, ma fino a che il Regno Unito non lascerà l’Unione i due seggi che spetteranno all’Irlanda dopo la redistribuzione di quelli britannici saranno in sospeso.

Al momento ci sono 59 candidati, che si contenderanno gli 11 seggi in tre circoscrizioni: Dublino, Nord Ovest e Sud. In Irlanda si vota il 24 maggio (a differenza dell’Italia, dove si vota il 26).

Anche in Irlanda, in vista del voto, si è parlato molto della dicotomia fra europeisti ed euroscettici. L’Irish Times, il più importante giornale irlandese, ha scritto che «la struttura dell’Unione Europea per come l’abbiamo conosciuta finora è sotto minaccia per l’ascesa dei partiti populisti in tutto il continente, che sicuramente otterranno una forte rappresentanza nella prossima legislatura».

Una delle domande principali che si pone il Times è se questo trend prenderà piede anche in Irlanda, dove finora i partiti storici sono riusciti a mantenere il consenso grazie al modo in cui in questi anni hanno gestito Brexit, più o meno uniti di fronte al «nonsense che arriva dall’altra parte del mare». La solidarietà mostrata dagli altri paesi europei e dalle istituzioni nei confronti dell’Irlanda in questa situazione potrebbe influenzare il voto degli irlandesi verso partiti più europeisti e tradizionali, in controtendenza rispetto ad altri paesi dell’UE.

I temi più importanti per gli irlandesi in vista delle europee, oltre Brexit

Secondo un recente sondaggio dell’Eurobarometro, i temi più stringenti per gli elettori irlandesi sono l’immigrazione, il terrorismo, l’economia e i cambiamenti climatici.


In generale i cittadini irlandesi sono tra i più entusiasti dell’appartenenza all’Unione Europea dopo quelli del Lussemburgo: l’85 per cento ha una buona opinione dell’UE, mentre solo il 10 per cento ne ha un’opinione negativa, diversamente dalla media UE, per cui le percentuali sono rispettivamente 62 per cento e 11 per cento. Inoltre, il 75 per cento è più che soddisfatto del modo in cui le istituzioni europee funzionano (la media UE è del 50 per cento).

Da quando è entrata nell’Unione Europea, nel 1973, l’Irlanda è cambiata moltissimo, passando dall’essere un paese periferico che dipendeva in larga misura ancora dal Regno Unito in una economia fiorente, con i tassi di crescita tra i più alti di tutti i 28 paesi UE (anche grazie ad alcune politiche fiscali che secondo alcuni l’hanno trasformata in una specie di paradiso fiscale). Generalmente considerato un paese conservatore e cattolico, negli ultimi anni l’Irlanda ha subito anche un profondo cambiamento a livello sociale, come hanno dimostrato i risultati positivi dei due referendum per l’approvazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso e per la legalizzazione dell’aborto.

Nonostante questo, tradizionalmente in Irlanda le elezioni europee sono considerate al terzo posto in quella che è stata definita la “gerarchia delle elezioni”, dietro a quelle per il rinnovo del Parlamento – che in Irlanda è diviso in due camere, il Dáil Éireann, la camera bassa, e il Seanad Éireann, il senato – e alle amministrative (che però a questo giro si terranno in concomitanza con le europee il 24 maggio, assieme anche a un referendum sul divorzio).

I partiti irlandesi

I principali partiti irlandesi che si contendono il potere da quando l’Irlanda è diventata ufficialmente una Repubblica nel 1948 sono quattro: il Fine Gael (FG), Fianna Fáil (FF), Sinn Féin (SN) e il Partito laburista irlandese (che storicamente ha governato assieme a FG come partner di minoranza).

Fine Gael significa letteralmente “la famiglia degli irlandesi”. Il partito è stato fondato nel 1933 e attualmente il suo leader, Leo Varadkar, guida un governo di minoranza – in Irlanda il primo ministro viene anche chiamato con il nome celtico di Taoiseach – sostenuto da altri partiti all’interno del Dáil che però formalmente non fanno parte del governo: Varadkar è di origini indiane e irlandesi ed è il primo primo ministro dichiaratamente omosessuale e il più giovane nella storia del paese. Il Fine Gael è di orientamento conservatore e liberale e al Parlamento Europeo siede con il Partito Popolare Europeo (PPE), il gruppo politico di centrodestra dove stanno anche la CDU della cancelliera tedesca Angela Merkel e Forza Italia.

Anche il Fianna Fáil (i “soldati del destino”) è un partito conservatore e teoricamente le sue posizioni sono molto affini a quelle del Fin Gael, ma per motivi storici, che risalgono alle lotte per l’indipendenza contro il Regno Unito, i due partiti sono sempre stati rivali e si sono alternati alla guida del paese dagli anni Trenta ad oggi. A Strasburgo è alleato dei partiti liberali e siede nell’ALDE – che però dalla prossima legislatura non esisterà più.

Il terzo attore principale nella politica irlandese è il partito nazionalista di sinistra Sinn Féin (SF – “noi stessi” in gaelico irlandese), molto più affermato in Irlanda del Nord, dove per anni si è schierato a favore della riunificazione dell’isola e dell’indipendenza da Londra. Di recente però ha guadagnato anche un notevole sostegno in Irlanda. A Belfast, la capitale dell’Irlanda del Nord, il Sinn Féin è il secondo partito più grande, dopo il Partito democratico unionista (quello che sostiene il governo di Theresa May a Londra e che non vuole saperne del backstop).

Il partito di Varadkar controlla 49 seggi su 158 ed è sostenuto dal voto di 7 deputati indipendenti: il governo regge grazie a un accordo raggiunto con FF che ha deciso di non sedere con l’opposizione e non votare contro le proposte del governo. All’opposizione siedono invece lo Sinn Féin e diversi partiti minori.

Brexit ha avuto un impatto molto significativo sulle dinamiche politiche in Irlanda: tecnicamente l’accordo tra FF e FG doveva terminare in autunno, ma per via della situazione incerta dall’altra parte del Mare d’Irlanda hanno deciso di prolungarlo ancora pur di non tornare al voto e lasciare il paese senza un governo operativo in un momento così delicato. Tutti i partiti sono comunque concordi nel voler proteggere gli Accordi del Venerdì Santo, che nel 1998 misero fine alle violenze con l’Irlanda del Nord, e che potrebbero essere messi in pericolo da un’eventuale uscita del Regno Unito senza alcun accordo con l’UE.

La possibilità di non raggiungere un accordo su Brexit e una possibile uscita unilaterale del Regno Unito dall’unione doganale e dal mercato unico hanno alimentato il timore di un ritorno a una frontiera chiusa con l’Irlanda del Nord. Di recente la tensione è tornata alta come non accadeva da anni. Il mese scorso a Londonderry – la città al confine tra le due Irlande nota anche semplicemente come Derry – ci sono stati degli scontri a fuoco in cui è morta una giornalista di 29 anni, Lyra McKee, che stava assistendo alle proteste per conto del suo giornale. Secondo diversi analisti una delle ragioni che hanno alimentato le violenze è stato lo stallo delle trattative su Brexit, e l’incertezza sulle conseguenze che avrà sull’Irlanda.

Una delle discussioni più importanti degli ultimi mesi su Brexit si è concentrata proprio sul cosiddetto backstop, ovvero quel meccanismo inserito nell’accordo trovato dall’Unione Europea e dal governo britannico che serve ad evitare a tutti i costi la creazione di un confine rigido tra Irlanda e Irlanda del Nord. Il governo irlandese è stato il principale sponsor di questo meccanismo, che prevede che a determinate condizioni l’Irlanda del Nord rimanga di fatto all’interno del mercato unico europeo, diversamente dal resto del Regno Unito. Ma non tutti lo vogliono: gli unionisti del DUP temono che rimanere nell’unione doganale sia il primo passo per la riunificazione dell’isola sotto il controllo di Dublino.

Chi andrà a Strasburgo?

Molto probabilmente il Fine Gael otterrà la maggior parte dei voti (il 30 per cento) e invierà quattro deputati al Parlamento europeo, un segno incoraggiante di ripresa dopo che alle elezioni generali del 2016, le ultime, aveva perso oltre venti seggi ottenendo solo il 25 per cento. Appena dietro, il risultato migliore lo farà il Fianna Fáil: è dato al 24 per cento e riuscirà a guadagnare un seggio in più passando dagli attuali due a tre. Il Sinn Féin si aggirerà intorno al 20 per cento dei voti e porterà due o tre seggi al gruppo della sinistra radicale.

Il sistema elettorale irlandese per le europee

Dal 1999, quando è entrato in vigore il trattato di Amsterdam, in tutti i paesi dell’Unione Europea si eleggono i rappresentanti al Parlamento Europeo attraverso un sistema proporzionale: le uniche due eccezioni sono concesse a Malta e proprio all’Irlanda, dove viene usato il voto singolo trasferibile. È una pratica tipica del mondo anglosassone secondo cui un unico voto permette all’elettore di stilare una classifica dei candidati sulla scheda elettorale, in base alle proprie preferenze.

Molto probabilmente in Irlanda l’affluenza aumenterà nel 2019 rispetto al 2014, quando fu intorno al 52 per cento, anche a causa di Brexit e della centralità che ha assunto all’interno del dibatto nazionale irlandese. Ma bisogna anche tener conto del fatto che l’Irlanda è uno dei paesi che ha più restrizioni per gli elettori che vivono all’estero (nonostante abbia una delle più grandi comunità di cittadini emigrati in Europa). L’unico modo per votare, infatti, è recarsi fisicamente ai seggi: non esiste il voto postale, tranne in casi eccezionali, né quello dall’estero. Solo i diplomatici e i militari in missione possono votare fuori dal territorio irlandese.

E il referendum?

Il divorzio fu introdotto in Irlanda soltanto nel 1995, con un referendum che fu approvato per pochissimi voti. La legge che lo regola però rimane piuttosto antiquata: prevede che una coppia possa divorziare solo se dimostra di essere separata da quattro anni. Il referendum del 24 maggio chiederà agli irlandesi se intendono ridurre questo lasso di tempo (nel frattempo il governo ha fatto capire che proporrà di portarlo a due anni). BBC ha scritto che per via della concomitanza con le europee il referendum è stato un po’ trascurato dai giornali e dagli istituti di sondaggi: si pensa però che la proposta di cambiare la legge attuale otterrà facilmente la maggioranza dei voti.

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Questo articolo fa parte di una serie di guide alle elezioni europee del 2019. Qui trovate tutte le altre pubblicate finora.