Radio Radicale chiude martedì?
Il tempo per rinnovare la convenzione scadrà il 20 maggio: il M5S dice che non verrà rinnovata, mentre la Lega ha chiesto una proroga di sei mesi
Mercoledì 15 maggio, durante un’audizione in Commissione di Vigilanza della Rai, Vito Crimi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Editoria, ha annunciato ancora che il governo non ha intenzione di prorogare la convenzione stipulata nel 1994 con Radio Radicale. La convenzione, che da allora era stata sempre rinnovata, ha permesso alla storica emittente radiofonica di trasmettere le sedute integrali del Parlamento – e moltissimi altri eventi di pubblico interesse – in cambio di un finanziamento da 10 milioni di euro l’anno. La convenzione scadrà il 20 maggio: se il governo deciderà di non rinnovarla, come annunciato, dal giorno successivo Radio Radicale dovrà sospendere le trasmissioni.
«Sulla convenzione con Radio Radicale ad oggi non c’è nessuna volontà di prorogare la convenzione; sull’archivio ci stiamo ragionando, ma quella è una questione del tutto diversa», ha detto Crimi, che ha aggiunto però la propria incompetenza sul caso di Radio Radicale, sottolineando che la questione spetta al ministero dello Sviluppo economico (MiSE), guidato dal capo del suo partito, Luigi Di Maio. Lo stesso giorno delle dichiarazioni di Crimi, però, la Lega ha presentato un emendamento al cosiddetto “decreto crescita” che prevederebbe una proroga della convenzione a Radio Radicale di altri sei mesi, per 3,5 milioni di euro invece di 5. Al termine di questo periodo si aprirebbe una nuova gara che contemplerebbe anche il coinvolgimento di Rai Parlamento, che già trasmette parte delle sedute parlamentari.
Poco prima della presentazione dell’emendamento, Matteo Salvini, ministro dell’Interno e leader della Lega, aveva parlato così della chiusura di Radio Radicale: «Non ne faccio una questione politica, io difendo la libertà di parola di tutti, anche di Radio Radicale, che è un peccato cancellare con un tratto di penna. Spazi di recupero economico ce ne sono sulla tv pubblica, con cui si pagherebbero metà delle radio italiane». Di Maio non si è espresso sulla questione: le sue ultime dichiarazioni sulla vicenda risalgono a fine aprile. Secondo un retroscena di Federico Mollicone, deputato di Fratelli d’Italia e membro della Commissione di Vigilanza sulla Rai, Di Maio di recente gli avrebbe detto di «non voler passare alla storia come quello che ha fatto chiudere Radio Radicale» e di volersi adoperare per trovare una soluzione. Mollicone dice che Di Maio starebbe pensando a un piano di salvataggio di Radio Radicale che coinvolga anche la Rai, ma non ha specificato in che modo dovrebbe avvenire.
L’intenzione del governo di non rinnovare la convenzione era stata espressa già da diverse settimane, ma le opposizioni e un ampio movimento di opinione avevano chiesto un ripensamento entro il 21 maggio, per permettere all’emittente di non chiudere e continuare a trasmettere le sedute parlamentari. Crimi aveva spiegato la decisione del governo dicendo che Radio Radicale aveva usufruito per 25 anni di quella convenzione senza nessuna gara. Emma Bonino, storica leader dei Radicali, aveva definito le parole di Crimi «totalmente imprecise», rispondendogli che Radio Radicale aveva vinto regolarmente una gara nel 1994 e che da allora aveva sempre chiesto che il servizio venisse sottoposto a nuove gare per l’assegnazione.
Come si è arrivati a questo punto
Da anni Radio Radicale riceve due forme di finanziamento pubblico, uno principale da 10 milioni, che le viene riconosciuto dal ministero dello Sviluppo economico in cambio della trasmissione delle sedute parlamentari, e uno da 4 milioni all’anno come forma di sostegno all’editoria, che però è destinato a cessare entro il 2022. Alla fine dello scorso anno il governo aveva detto di non voler rinnovare più alcun finanziamento a Radio Radicale, ma un emendamento alla legge di bilancio proposto da Renato Brunetta (Forza Italia) aveva garantito metà del finanziamento principale per altri sei mesi: quindi 5 milioni di euro fino al 30 giugno 2019.
Crimi ha detto che a dicembre il governo aveva fatto a Radio Radicale una proposta di proroga di un anno a 5 milioni di euro, ma l’emittente aveva deciso di rinnovare la convenzione per sei mesi a 5 milioni di euro. «Se avessero accettato, oggi non ci saremmo trovati in questa situazione, ma avremmo un rinnovo per un anno a un costo ragionevole. Voglio ricordare che la convenzione con Radio Radicale è frutto di un bando di gara del ’94, in forza di un decreto legge non convertito, ma rinnovato identico subito dopo. Poi rinnovato una terza volta, poi decaduto e reiterato per 17 volte, cioè 34 mesi. Se oggi uno provasse a fare una cosa del genere, ci sarebbe l’insurrezione dei costituzionalisti», ha detto Crimi.
In una nota firmata dal comitato di redazione, l’organo di rappresentanza sindacale dei giornalisti, Radio Radicale ha replicato a Crimi dicendo di prendere atto della decisione del governo e aggiungendo che «per tentare di giustificare questa decisione il sottosegretario ha descritto una realtà che non corrisponde ai dati oggettivi eludendo le due questioni principali su cui il governo continua a non rispondere: perché porre fine ad un servizio pubblico di interesse generale riconosciuto dall’Agcom e dalla gran parte del mondo politico, accademico, della cultura, dell’informazione e dalla società civile; quale sarà il destino degli oltre cento giornalisti, tecnici, archivisti, amministrativi, dipendenti delle società esterne che perderanno il posto di lavoro».
Andrea Marcucci, capogruppo del PD al Senato, ha chiesto che ci sia «una rivolta in Italia» contro la possibile chiusura dell’emittente, mentre il senatore Dario Stefano l’ha descritta come «un attentato alla democrazia e alla libertà». Il deputato del PD Roberto Giachetti, che ha militato a lungo nel Partito Radicale, ha deciso di iniziare uno sciopero della sete per chiedere il salvataggio della radio e ha fatto appello a Salvini e Di Maio perché agiscano presto in questo senso: «So perfettamente che c’è una campagna elettorale nella quale ci si mena dalla mattina alla sera. Ci sono molte cose che distraggono, ma non possiamo consentire che in questi 6 giorni che ci restano Radio Radicale finisca nel dimenticatoio e nella distrazione del quotidiano scimmiottamento della politica».
La storia di Radio Radicale
Radio Radicale venne fondata nel 1976 da un gruppo di membri del Partito Radicale, a cui da allora è sempre rimasta molto legata. L’editore della radio è l’associazione politica Lista Marco Pannella, di cui fanno parte i quattro storici collaboratori del fondatore del partito, Marco Pannella: Maurizio Turco, che ne è anche il presidente, Rita Bernardini, Laura Arconti e Aurelio Candido. Fin dalla fondazione la radio si è occupata soprattutto di informazione politica, trasmettendo in particolare le sedute del Parlamento, e facendolo, per i primi 15 anni di attività, a spese del partito. Il suo motto è una frase dell’economista e presidente della Repubblica Luigi Einaudi: «Conoscere per deliberare».
Oltre alle sedute parlamentari, alle assemblee e riunioni pubbliche di vari partiti e a numerosi programmi di informazione politica, sulla radio si potevano ascoltare anche i lunghi discorsi del leader del partito Pannella e le sue storiche discussioni con l’allora direttore della radio, Massimo Bordin, morto lo scorso 17 aprile a 67 anni e divenuto celebre per la sua apprezzatissima rassegna stampa quotidiana “Stampa e regime”.
Alla fine degli anni Ottanta la radio entrò in crisi e fu avviato l’esperimento di “Radio Parolaccia“: senza soldi con cui realizzare programmi, la radio trasmise per oltre un mese e senza alcun filtro i messaggi registrati dagli ascoltatori. La situazione della radio si stabilizzò quando il governo decise di estendere alle radio di partito il finanziamento pubblico fino a quel momento destinato solo a giornali. Radio Radicale divenne così ufficialmente l’emittente del Partito Radicale. Nel 1994, durante il governo Berlusconi, con cui Pannella aveva stabilito un accordo politico alle precedenti elezioni, la situazione migliorò ancora grazie alla convenzione ottenuta per trasmettere le sedute parlamentari a pagamento. Radio Radicale era stata l’unica emittente radiofonica a partecipare al bando.