Per un istante, abbiamo riportato indietro nel tempo una particella (in una simulazione)

Ci è riuscito un gruppo di ricercatori con un computer quantistico, confermando che sarà complicatissimo – se non impossibile – andare nel passato

In film come Ritorno al Futuro, viaggiare indietro nel tempo è semplice quanto salire su una DeLorean e impostare il suo timer nel passato, ma nella realtà le cose sono molto più complicate di così, e spiegano perché a oggi nessuno sia mai riuscito a tornare indietro nel tempo (fino a prova contraria). La nostra esperienza quotidiana ci dice del resto che il tempo viaggia in una sola direzione, e che non si può tornare indietro. Un gruppo di fisici quantistici ha accettato la sfida ed è riuscito a riportare indietro una particella, seppure in una simulazione e per una frazione di secondo, come racconta Dennis Overbye sul New York Times.

I ricercatori, guidati da Gordey B. Lesovik dell’Istituto di Fisica e Tecnologia di Mosca (Russia), hanno utilizzato un computer quantistico dell’azienda informatica IBM per provare a riportare indietro nel tempo di un milionesimo di secondo (microsecondo) una particella elementare, all’interno di una simulazione. Il risultato è stato ottenuto forzando un poco la mano, con stratagemmi che difficilmente si verificherebbero in natura, a conferma di quanto sia difficile invertire il corso del tempo. Uno degli autori della ricerca ha detto al NYTimes: “Abbiamo dimostrato che invertire il tempo di anche una sola particella quantistica è un obiettivo insormontabile per la natura stessa”.

In linea puramente teorica, buona parte delle leggi della fisica sono reversibili: sono basate su formule matematiche, che funzionano sia in un senso, sia nell’altro. Il tempo nella realtà si comporta però in modi particolari e sembra essere relegato a una dimensione a senso unico. Quando siamo in bici possiamo decidere di girare a destra o sinistra, ma non abbiamo certo la possibilità di andare indietro nel tempo. La nostra stessa esistenza è relegata al presente e proiettata unicamente verso il futuro.


Secondo la meccanica quantistica – l’insieme di regole che descrive il comportamento della materia e della radiazione (e di conseguenza delle loro interazioni) – una particella non può invertire il proprio percorso muovendosi all’indietro nel tempo. Alla base della meccanica quantistica c’è il principio di indeterminazione di Heisenberg: semplificando molto, dice che in ogni dato momento si possono determinare solo la velocità o la posizione di una particella, ma non entrambe. Questa condizione comporta che nel caso di una particella come l’elettrone, per esempio, si debba usare un’entità matematica chiamata funzione d’onda, che esprime la probabilità di trovare una particella in un determinato luogo e condizione.

La funzione d’onda coinvolge sia il tempo sia lo spazio, e il modo in cui evolve è descritto dall’equazione di Schrödinger, che come tutte le equazioni funziona sia in un senso sia nell’altro. Ed è partendo da questo presupposto che Lesovik e i suoi colleghi si sono chiesti se fosse possibile portare indietro nel tempo una particella, seppure per un minuscolo istante.

Il problema: ingannevole è la meccanica quantistica più di ogni altra cosa. Come spiega Overbye nel suo articolo con una buona analogia, possiamo immaginare l’impresa che avevano davanti i ricercatori come quella per riportare indietro nel tempo una partita di biliardo. Se volessimo portare indietro alla sua posizione di partenza una biglia, sarebbe sufficiente colpirla con la stecca nel modo giusto per spingerla nella direzione opposta. Se però la biglia fosse quantistica, ci troveremmo a fare i conti con il principio di indeterminazione: potremmo solo decidere con che forza colpire la biglia o verso quale direzione, ma non entrambe le cose. E questo ci dice che il principio di indeterminazione ci impedirebbe di riportare la biglia quantistica indietro fino al suo punto di origine.

Una complicazione aggiuntiva è che, come abbiamo visto, nella fisica quantistica la biglia è in realtà un’onda: si diffonde nello spazio in modo analogo a come fanno le increspature sull’acqua quando gettiamo un sasso in uno stagno. Riportarla indietro implicherebbe invertire l’onda, una cosa che non riesce a fare nemmeno la natura.

I ricercatori hanno pensato di provarci con una simulazione, da realizzare attraverso un computer quantistico. A differenza di quelli tradizionali, i computer di questo tipo non calcolano il succedersi di 1 o 0 (bit), ma utilizzano i “qubit”, ognuno dei quali può essere 1 e 0 allo stesso tempo. Questa condizione rende i computer quantistici in grado di compiere calcoli molto più elaborati, e molto più velocemente, rispetto ai computer tradizionali. È per questo motivo che tutte le più grandi aziende informatiche – come Microsoft, Google e IBM – fanno a gara per perfezionare questa tecnologia e ottenere infine un computer quantistico stabile e con una potenza di calcolo finora inimmaginabile.


Per il loro esperimento, che richiedeva grandi capacità di calcolo, Lesovik e colleghi hanno usato un computer quantistico di IBM, con l’obiettivo di fare andare all’indietro una funzione d’onda. Il sistema di IBM utilizza solamente 5 qubit (ne esistono di più elaborati e potenti), ma i ricercatori hanno deciso di usarne due-tre al massimo, per ridurre le variabili ed eventuali complicazioni.

I qubit sono stati messi in una condizione iniziale che imitava quella di un atomo e sono poi stati “incastrati” tra loro, in modo che ciò che accadeva a uno di loro si riflettesse sugli altri (sfruttando il concetto di “azione a distanza”). I qubit sono stati poi stimolati con una microonda, per spingerli in uno stato più complesso rispetto a quello di partenza. Dopo un microsecondo, questa fase è stata fermata e i qubit sono stati sottoposti a un’altra microonda per invertirla. Nell’ultimo passaggio, la fase originaria è stata riavviata e come risultato i qubit sono diventati “più giovani” di un microsecondo.

È bene ricordare che il processo è stato il frutto di una simulazione, attraverso un algoritmo che si è però rivelato molto affidabile e che ha quasi sempre funzionato. Nell’85 per cento dei casi ha permesso infatti di riportare i qubit alla loro giovinezza quando ne sono stati usati un paio, mentre il tasso di successo è sceso al 50 per cento quanto si è trattato di compiere la stessa sperimentazione con tre qubit. Gli insuccessi sono stati causati da alcune imperfezioni che esistono ancora nel computer quantistico di IBM e all’instabilità che aumenta, man mano che si aggiungono ulteriori qubit.

In futuro, l’algoritmo sviluppato da Lesovik e colleghi potrebbe essere utilizzato per testare la taratura di computer quantistici, che avranno un numero molto più alto di qubit rispetto agli attuali nelle loro versioni sperimentali. La ricerca ci dice comunque che il risultato raggiunto nella simulazione è ben distante da cosa accade in natura e implica una grande quantità di complicazioni, difficilmente realizzabili in un processo naturale. Per ora, niente viaggi nel passato, grande Giove.