L’epidemia di ebola in Congo è un casino
Ha già provocato quasi mille morti, ma gli sforzi per fermarla sono resi più complicati dalla scarsa fiducia verso le ONG e dalle notizie false
In nove mesi, la nuova epidemia di ebola nella Repubblica Democratica del Congo ha contagiato quasi 1400 persone e ne ha uccise quasi 900. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) si tratta della seconda epidemia di ebola più grande in assoluto, dopo quella che colpì l’Africa occidentale tra il 2014 e il 2016, quando morirono più di 11mila persone, ma la risposta delle organizzazioni umanitarie è complicata dall’instabilità dell’area e dalla riluttanza della popolazione locale a farsi vaccinare.
Alla fine di luglio dell’anno scorso l’OMS aveva dichiarato conclusa l’epidemia di ebola iniziata l’aprile precedente, ma ad agosto c’era stata una nuova serie di casi nelle regioni del Nord Kivu e dell’Ituri, una zona di conflitto in cui le persone vivono da decenni nella paura delle milizie armate, della polizia e dei soldati. I nuovi casi di ebola non erano legati alla precedente epidemia, ed erano stati provocati da un diverso ceppo del virus, lo Zaire ebolavirus, molto più violento e letale. Quella che è iniziata la scorsa estate è diventata la decima epidemia di ebola a colpire il paese.
Il 19 aprile alcuni uomini armati avevano fatto irruzione in un centro per il trattamento dei malati di ebola a Butembo, nel Nord Kivu, una delle aree più colpite dall’epidemia, durante una riunione della squadra medica: gli aggressori avevano ritirato tutti i cellulari dei presenti e si erano messi a sparare, ferendo due persone e uccidendo il dottore che dirigeva il centro. Alcune ore dopo, un gruppo di persone armate di machete aveva cercato di incendiare di nuovo il centro dell’ospedale a Katwa, a 10 chilometri da Butembo, gestito da Medici senza frontiere, che già a febbraio era stato incendiato una prima volta.
Contattato in seguito all’attacco, il direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha detto all’Economist che ormai sta diventando sempre più difficile convincere i membri del suo staff ad andare nella regione e molto probabilmente il risultato sarà un aumento del numero di casi di ebola: «Ogni volta che c’è un attacco la nostra risposta all’epidemia rallenta e il numero di casi aumenta immediatamente: quando il virus ottiene il vantaggio, avanza senza sosta». Prima dell’attacco di febbraio c’erano circa 30 nuovi casi alla settimana; ora il numero di nuovi casi di ebola oscilla tra i 70 e i 110 alla settimana.
Ad aprile l’OMS aveva dichiarato che il rischio di diffusione nei paesi vicini, come l’Uganda, il Ruanda e il Burundi, era molto alto, e aveva chiesto a questi paesi di iniziare a vaccinare gli operatori sanitari. Per riuscire a tenere sotto controllo la diffusione dell’epidemia, sarebbe necessario mappare il movimento delle persone attraverso i confini, soprattutto di chi è più a rischio di contagio, ma è quasi impossibile che l’OMS riesca a sobbarcarsi anche questo ulteriore lavoro quando i suoi operatori sanitari non sono al sicuro.
L’OMS si è finora rifiutata di dichiarare che l’epidemia abbia raggiunto il livello di emergenza nazionale, l’unico modo per chiedere più risorse anche al governo della Repubblica Democratica del Congo. Per ora continua ad applicare i protocolli che hanno funzionato per le epidemie precedenti e che tra le altre cose prevedono una sepoltura immediata e in sicurezza dei morti, per evitare che il virus si diffonda ancora di più. Inoltre è partita da subito la campagna di vaccini, ma finora solo 87 mila persone sono state vaccinate su un milione che vive nell’area. A marzo il New York Times scriveva che a breve i vaccini a disposizione del Congo sarebbero terminati, all’incirca tra maggio e la metà di settembre.
Le difficoltà principali, oltre agli attacchi dei gruppi violenti, è che le persone non si fidano degli operatori sanitari: circa il 40 per cento delle persone che contraggono il virus non si presenta nei centri allestiti per la cura e muore nelle proprie abitazioni. In questo modo aumenta il rischio di contagio per i familiari, gli operatori sanitari e i pazienti delle cliniche locali dove queste persone potrebbero essersi recate per curare i primi sintomi della malattia: secondo i medici dell’OMS circa il 30 per cento delle persone che hanno contratto il virus è stato contagiati nelle cliniche dove si era recato per curare altri tipi di malattie.
Inoltre gli abitanti del posto sono indispettiti dall’enorme dispiegamento di risorse per combattere il virus, quando la loro regione era stata largamente ignorata fino a quel momento dagli aiuti umanitari. Anche la diffusione di notizie false di matrice complottista non aiuta: alcuni gruppi politici che si oppongono al governo centrale di Kinshasa avevano diffuso la notizia che il governo stava usando l’ebola per sterminare i nande, il più grande gruppo etnico della regione, mentre, dopo l’esclusione dei collegi elettorali di Butembo e Beni dalle elezioni generali di dicembre per evitare il diffondersi dell’ebola, diversi politici avevano accusato la commissione elettorale di averlo fatto per favorire il candidato appoggiato dal presidente uscente Joseph Kabila, Emmanuel Ramazani Shadary.